La Cassazione accoglie il ricorso dell'ente, ricordando che l'esclusione del socio può avvenire solo per gravi motivi e senza la necessità che l'escluso contesti preventivamente l'addebito salvo che lo statuto lo prevedi espressamente.
La Corte d'Appello di Genova accoglieva l'opposizione del convenuto e annullava la delibera assunta dal consiglio di amministrazione di un'associazione.
Quest'ultima propone ricorso in Cassazione lamentando la violazione dell'
Svolgimento del processo
- che è proposto ricorso, affidato a due motivi, avverso la sentenza della Corte d'appello di Genova del 13 giugno 2019, la quale ha, in riforma della decisione del Tribunale di Savona che aveva respinto la domanda, accolto l'opposizione dell'associato ai sensi dell'art. 24 c.c., annullando la Delib. assunta dal consiglio di amministrazione della "Pubblica Assistenza Croce Verde" di (omissis) 28 maggio 2014, e la Delib. del collegio dei probiviri 8 ottobre 2014;
- che resiste l'intimato con controricorso;
- che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis c.p.c..
Motivi della decisione
- che i motivi del ricorso possono essere come segue riassunti:
1) violazione e falsa applicazione dell'art. 24 c.c., il quale non richiede affatto la previa contestazione all'associato dei fatti che ne abbiano comportato l'esclusione, nè tale adempimento è previsto dallo statuto, art. 13, che si limita a richiedere, per la pronuncia di "radiazione", la deliberazione del c.d.a., senza che possa ravvisarsi un procedimento disciplinare, trattandosi del diritto di associazione; nella specie, inoltre, l'associato aveva potuto innanzi ai probiviri espletare tutte le sue difese, prima di adire l'autorità giudiziaria, dopo avere cioè ricevuto la delibera consiliare, in cui venivano elencati tutti i gravi fatti che avevano indotto l'ente all'esclusione;
2) violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 132 c.p.c., perchè la corte del merito ha affermato, pur dopo avere ritenuto il motivo assorbito, che l'associato non era stato posto in grado di operare la contestazione dei fatti allegati dall'associazione a fondamento dell'esclusione, in quanto a lui ignoti: tuttavia, in tal modo la sentenza impugnata è incorsa in ultrapetizione, in quanto controparte aveva lamentato soltanto la mancanza della previa convocazione, non chiedendo alcunchè circa le ragioni sottese alla cd. radiazione; in ogni caso, sul punto la corte territoriale espone una motivazione apparente o contraddittoria, avendo, dapprima, essa stessa riconosciuto che le condotte imputate erano state in dettaglio menzionate nel verbale del c.d.a. del (omissis), e, poi, sostenuto che egli sarebbe stato all'oscuro degli addebiti mossigli;
- che la corte del merito, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che: a) l'associato è stato escluso ("radiato") dall'ente senza la previa contestazione degli addebiti, peraltro enunciati nella deliberazione consiliare di esclusione; b) il collegio dei probiviri, dal medesimo adito secondo le norme statutarie lamentando tale vizio, lo aveva ascoltato, confermando l'esclusione dall'ente; c) lo statuto associativo non è stato prodotto dal ricorrente, se non tardivamente in sede di appello, ma, comunque, il medesimo, art. 13, riprodotto negli atti di parte, prevede come causa di esclusione l'aver "compiuto atti disonorevoli o mancato ai doveri sociali" o "arrecato danno materiale o morale ai beni e al prestigio dell'associazione": tuttavia, l'appellante non era stato sentito prima del provvedimento, mentre la previa contestazione è necessaria, in ragione della natura disciplinare dell'esclusione; d) ne risulta assorbito il motivo concernente la mancata confutazione, da parte dell'escluso, dei fatti integranti gli addebiti, ritenuta dal primo giudice; al riguardo, peraltro, l'associato non avrebbe potuto difendersi nel merito, in quanto non gli sono state mai inviate le testimonianze contro di lui raccolte;
- che il primo motivo è manifestamente fondato;
- che l'esclusione degli associati è regolata dall'art. 24 c.c., dettato per le assicurazioni riconosciute, ma applicabile anche a quelle prive di tale requisito formale (Cass. n. 22986/2019; Cass. n. 18186/2004), secondo cui l'esclusione d'un associato può essere deliberata solo per gravi motivi, con facoltà per il medesimo di ricorrere all'autorità giudiziaria entro sei mesi dal giorno in cui gli è stata notificata la deliberazione;
- che i "gravi motivi" devono consistere in inadempimenti rilevanti all'accordo associativo e devono essere previsti, in modo sufficientemente specifico, nello statuto;
- che nessun'altra particolare prescrizione pone la norma, con riguardo al procedimento di esclusione: in particolare, essendo i rapporti tra gli associati retti dal principio dell'autonomia (cfr. art. 36 c.c.), in ogni aspetto che non sia diversamente regolato per superiori ragioni di ordine sovraindividuale dal legislatore, gli associati sono liberi di regolamentare come ritengano i reciproci rapporti;
- che ciò risponde all'esigenza che nelle associazioni trovi tutela la piena autonomia normativa nella predisposizione del loro ordinamento interno;
- che questa Corte ha già chiarito come l'adesione ad un'associazione non riconosciuta, presupponendo l'accordo delle parti anche in ordine allo scopo dell'associazione stessa ed alle regole del suo ordinamento interno, comporta l'assoggettamento dell'aderente a siffatte regole nel loro complesso (Cass. 11 novembre 2015, n. 23098);
- che, dunque, è ben possibile che particolari modalità procedimentali siano prescritte dallo statuto - quale lex specialis, applicabile al consesso collettivo, sulla base dell'accordo inizialmente concluso tra i soggetti fondatori, e suscettibile di estensione ai successivi aderenti, nel prosieguo della vita associativa, in virtù della loro domanda di adesione accolta dagli organi sociali - il quale è, del pari, libero di prescrivere anche la necessità della audizione dell'associato, nonchè le particolari ed ancor più dettagliate modalità della sua difesa; ma, in mancanza, l'esigenza di una previa convocazione o contestazione degli addebiti non può ritenersi imposta nè da una regola di specie, come visto assente, nè da un principio generale dell'ordinamento giuridico: a tacer d'altro, vige in materia piuttosto il principio della libera associazione e regolamentazione degli associati (cfr. il già richiamato art. 36 c.c.), mentre la materia generale lavoristica è affatto estranea, essendo essa caratterizzata da un rapporto di soggezione, che non sussiste nell'ambito di una associazione paritaria di soggetti, onde non si dà analogia legis o iuris ex art. 12 preleggi;
- che va dunque confermato il principio, enunciato da alcuni precedenti di questa Corte con riguardo a situazioni di esclusione del socio (Cass. n. 6394/1996, sulla società di persone; Cass. n. 7308/1994, in tema di società cooperative), secondo cui ai fini della validità della delibera di esclusione non è necessaria la preventiva contestazione dell'addebito, dato che tale contestazione non è prevista da alcuna disposizione di legge e salvo che sia lo statuto a prevederlo;
- che il secondo motivo è inammissibile, in quanto esso non censura la decisione di cd. assorbimento, costituente il vero decisum della sentenza impugnata, ma una motivazione dalla stessa resa solo ad abundantiam;
- che la sentenza impugnata va dunque cassata, onde la causa va rimessa alla corte territoriale, perchè esamini il motivo ritenuto assorbito (terzo motivo dell'atto di appello);
- che le spese vanno demandate al giudice del merito.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa innanzi alla Corte d'appello di Genova, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.