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7 ottobre 2021
Violenza sessuale alle dipendenti: i messaggi WhatsApp costituiscono prove documentali

Imputato inchiodato dai messaggi inviati tramite i social networks WhatsApp e Facebook, messi a disposizione dalle giovani dipendenti alle quali egli era solito distribuire “coccole”.

La Redazione

Il Giudice di seconde cure confermava la sentenza emessa all'esito di giudizio abbreviato dal Tribunale di Pescara, il quale aveva condannato l'imputato per i reati di cui agli artt. 81, comma 2, 61 n. 11 e 609-bis, comma 3, c.p. ai danni delle lavoratrici dipendenti.
Contro tale decisione, l'imputato propone ricorso per cassazione lamentando, tra i diversi motivi, l'impossibilità di verificare l'autenticità e la genuinità dei dati provenienti da WhatsApp.

Con la sentenza n. 36328 del 7 ottobre 2021, la Suprema Corte dichiara il ricorso infondato.
Con riguardo al motivo di ricorso illustrato, la Corte osserva come il Procuratore generale avesse già correttamente ricordato il principio in base al quale «i messaggi whatsApp, così come gli sms conservati nella memoria di un apparecchio cellulare, hanno natura di documenti ai sensi dell'art. 234 cod. proc. pen., di tal che la relativa attività acquisitiva non soggiace alle regole stabilite per la corrispondenza, né tantomeno alla disciplina delle intercettazioni telefoniche, con l'ulteriore conseguenza che detti testi devono ritenersi legittimamente acquisiti ed utilizzabili ai fini della decisione ove ottenuti mediante riproduzione fotografica a cura degli inquirenti».
Considerato ciò, nel caso concreto i messaggi ritrovati nella memoria del cellulare risultavano essere stati legittimamente acquisiti ed utilizzati ai fini della decisione, vista la loro natura documentale e la conseguente acquisibilità tramite qualsiasi modalità idonea alla raccolta dei dati, inclusa la riproduzione fotografica.

Inoltre, gli Ermellini ritengono altresì corretta l'acquisizione di messaggi inviati tramite WhatsApp e Facebook da parte dell'imputato a una minore e da quest'ultima messi a disposizione della Polizia Giudiziaria in sede di presentazione della querela.
Infine, non va trascurato il fatto che l'imputato avesse scelto di ricorrere al giudizio abbreviato e ciò rende utilizzabili tutti gli atti che siano stati legittimamente acquisiti al fascicolo da parte del P.M..
Anche per questa ragione, la Suprema Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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