Imputato inchiodato dai messaggi inviati tramite i social networks WhatsApp e Facebook, messi a disposizione dalle giovani dipendenti alle quali egli era solito distribuire “coccole”.
Il Giudice di seconde cure confermava la sentenza emessa all'esito di giudizio abbreviato dal Tribunale di Pescara, il quale aveva condannato l'imputato per i reati di cui agli
Contro tale decisione, l'imputato propone ricorso per cassazione lamentando, tra i diversi motivi, l'impossibilità di verificare l'autenticità e la genuinità dei dati provenienti da WhatsApp.
Con la sentenza n. 36328 del 7 ottobre 2021, la Suprema Corte dichiara il ricorso infondato.
Con riguardo al motivo di ricorso illustrato, la Corte osserva come il Procuratore generale avesse già correttamente ricordato il principio in base al quale «i messaggi whatsApp, così come gli sms conservati nella memoria di un apparecchio cellulare, hanno natura di documenti ai sensi dell'
Considerato ciò, nel caso concreto i messaggi ritrovati nella memoria del cellulare risultavano essere stati legittimamente acquisiti ed utilizzati ai fini della decisione, vista la loro natura documentale e la conseguente acquisibilità tramite qualsiasi modalità idonea alla raccolta dei dati, inclusa la riproduzione fotografica.
Inoltre, gli Ermellini ritengono altresì corretta l'acquisizione di messaggi inviati tramite WhatsApp e Facebook da parte dell'imputato a una minore e da quest'ultima messi a disposizione della Polizia Giudiziaria in sede di presentazione della querela.
Infine, non va trascurato il fatto che l'imputato avesse scelto di ricorrere al giudizio abbreviato e ciò rende utilizzabili tutti gli atti che siano stati legittimamente acquisiti al fascicolo da parte del P.M..
Anche per questa ragione, la Suprema Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 30 settembre 2020 la Corte di Appello di L'Aquila ha confermato la sentenza del 7 marzo 2019 del Tribunale di Pescara resa in esito a giudizio abbreviato, in forza della quale U. D. era stato condannato - previo riconoscimento altresì dell'attenuante del danno risarcito - alla pena, sospesa, di anni uno di reclusione per i reati di cui agli artt. 81, comma secondo, 61 n. 11 e 609-bis, comma 3, cod. pen. in danno rispettivamente delle lavoratrici dipendenti I. D. e V. D..
2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione articolato su tre motivi di impugnazione.
2.1. Col primo motivo di ricorso il ricorrente ha lamentato l'impossibilità di verificare l'autenticità e la genuinità di dati provenienti dalla messaggistica whatsapp. In tal senso le prove erano state assunte con modalità contrarie ai protocolli di cui alla legge 48 del 2008.
2.2. Col secondo motivo sono stati dedotti illogicità della motivazione nonché travisamento della prova, atteso che gli elementi probatori dovevano ritenersi meri indizi privi dei requisiti di cui all'art. 191, comma 2, cod. proc. pen.., laddove nessuno aveva. assistito agli episodi e l'atteggiamento tenuto dall'imputato nei riguardi delle ragazze poteva essere al più oggetto di fraintendimento.
2.3. Col terzo motivo è stato lamentato il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, atteso che la ritenuta gravità dei fatti era stata smentita dal riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis cit..
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso del rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
4. Il ricorso è infondato.
4.1. In ordine al primo profilo di censura, correttamente lo stesso Procuratore generale ha ricordato il principio secondo il quale messaggi whatsApp, così come gli sms conservati nella memoria di un apparecchio cellulare, hanno natura di documenti ai sensi dell'art. 234 cod. proc. pen., di tal che la relativa attività acquisitiva non soggiace alle regole stabilite per la corrispondenza, né tantomeno alla disciplina delle intercettazioni telefoniche, con l'ulteriore conseguenza che detti testi devono ritenersi legittimamente acquisiti ed utilizzabili ai fini della decisione ove ottenuti mediante riproduzione fotografica a cura degli inquirenti (cfr. Sez. 6, n. 1822 del 12/11/2019, dep. 2020, T., Rv. 278124).
In specie, i messaggi rinvenuti nella memoria del telefono cellulare risultano essere stati del tutto legittimamente acquisiti al processo ed utilizzati ai fini della decisione, giusta la loro natura documentale ex art. 234 cod. proc. pen. e la conseguente acquisibilità con una qualunque modalità atta alla raccolta del dato, inclusa la riproduzione fotografica.
Oltre a ciò, è stata altresì espressamente ritenuta corretta l'acquisizione da parte del giudice di merito di messaggi inviati attraverso i social networks Whatsapp e Facebook dall'imputato ad una minore, e da questa messi a disposizione della polizia giudiziaria al momento della presentazione della querela (Sez. 3, n. 38681 del 26/04/2017, G. e altri, Rv. 270950). Tra l'altro, attesa la celta dell'imputato di ricorrere al giudizio abbreviato, è stato osservato da questa Corte di legittimità che, ai fini della decisione del giudizio abbreviato, il giudice può legittimamente servirsi dei verbali di sommarie informazioni testimoniali che riferiscono fatti appresi da altre fonti, nonché delle trascrizioni e delle registrazioni effettuate direttamente dal denunciante in relazione ai contatti telefonici ed al contenuto di "sms" intercorsi con l'imputato, in quanto la scelta di quest'ultimo di procedere con tale rito alternativo rende utilizzabili tutti gli atti che siano stati legittimamente acquisiti al fascicolo del pubblico ministero (Sez. 3, n. 44004 del 24/09/2015, P., Rv. 265236).
Né, per vero, mai il ricorrente ha espressamente contestato quantomeno la paternità del contenuto della messaggistica che lo riguardava.
4.2. Per quanto riguarda il secondo motivo di impugnazione, osserva la Corte che i Giudici del merito hanno adottato decisioni e percorsi motivazionali comuni, che possono essere valutati congiuntamente ai fini di una efficace ricostruzione della vicenda processuale e di una migliore comprensione delle censure del ricorrente.
Allorché infatti le sentenze di primo e secondo grado concordino, come in specie, nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (ex p/urimis, Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, S., Rv. 216906; cfr. da ult. Sez. 5, n. 40005 del 07/03/2014, L. D. Rv. 260303).
4.2.1. Ciò posto, il primo Giudice - il cui giudizio di colpevolezza è stato espressamente condiviso dalla Corte territoriale - ha ampiamente dato conto delle dichiarazioni rese nell'ambito di indagini difensive.
Peraltro, allegando al riguardo motivazione certamente non illogica, ed ancor meno manifestamente illogica, è stato osservato dai Giudici del merito che andava invece privilegiato il contenuto delle conversazioni direttamente intercorse tra le ragazze dipendenti dell'odierno ricorrente, quanto alla genuinità dei contenuti e all'attendibilità che veniva in tal modo riconosciuta alla denunciante, laddove - con percorso argomentativo idoneo e convincente - sono stati sottolineati i tentativi di minimizzare l'accaduto da parte dei testi escussi in sede difensiva, i quali avevano comunque fatto accenno alle "coccole" che l'odierno ricorrente era solito distribuire anche alle giovani dipendenti. "Coccole" che, all'evidenza, non sono state ritenute tali dalle persone offese, tra l'altro invero risarcite del danno sofferto.
4.3. In relazione infine al terzo motivo di impugnazione, all'applicazione della circostanza attenuante speciale prevista dall'art. 609-bis, comma 3, cod. pen. (come in specie) non consegue automaticamente l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, in quanto mentre per la concedibilità di queste ultime rilevano tutti i parametri indicati nell'art. 133 cod. pen., per la concedibilità dell'attenuante speciale rilevano solo gli elementi indicati nel comma primo e non quelli indicati nel comma secondo del predetto articolo (Sez. 3, n. 42439 del 05/05/2016, F., Rv. 267903; Sez. 3, n. 1192 del 08/11/2007, F., Rv. 238551).
Ciò doverosamente premesso, la concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata sull'accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell'imputato (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, P., Rv. 266460). Del pari, esse non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale "concessione" del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell'art. 133 cod. pen., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena (Sez. 2, n. 30228 del 05/06/2014, V., Rv. 260054).
4.3.1. In specie, per un verso le attenuanti generiche sono state richieste in forza dell'incensuratezza· del ricorrente, e per altro canto in esito al comportamento processuale di quest'ultimo.
Quanto al primo profilo, siffatto elemento è ex lege di per sé insufficiente; in relazione al secondo, ed in difetto di ulteriori specificazioni circa la natura del comportamento processuale e delle sue eventuali ricadute benefiche sul procedimento, è comunque nozione comune che l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche non può fondarsi sulla scelta di definire il processo nelle forme del rito abbreviato, come in specie, scelta che implica ex lege il riconoscimento di una predeterminata riduzione della pena, poiché, in caso contrario, la stessa circostanza comporterebbe due distinte conseguenze favorevoli all'imputato (da ult. Sez. 3, n. 46463 del 17/09/2019, D. Rv. 277271).
In definitiva, pertanto, non sussistono elementi idonei a giustificare il beneficio, laddove la Corte territoriale ha altresì non illogicamente evocato in senso negativo il particolare disvalore della condotta, ancorché rientrante nella fattispecie della minore gravità di cui all'ultimo comma dell'art. 609-bis cit..
5. Alla stregua di quanto complessivamente precede, pertanto, l'impugnazione deve ritenersi infondata, conseguendone il rigetto del ricorso con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.