Nel caso in oggetto, la Corte ha escluso la sussistenza di un reato idoneo a costituire presupposto per la responsabilità amministrativa ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001, poiché il fatto oggetto di contestazione è stato commesso prima della riforma del 2019.
La Corte d'Appello di Reggio Calabria confermava la sentenza del Tribunale di Locri nella parte in cui aveva dichiarato la società attuale ricorrente responsabile per il reato di tentata truffa aggravata ai danni dello Stato, consistente nell'avere aggiunto arbitrariamente ai margini di una fattura iscritta nelle scritture contabili l'importo di un euro di imponibile e di...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza emessa in data 11 febbraio 2020, la Corte di appello di Reggio Calabria, per quanto di interesse in questa sede, ha confermato la sentenza del Tribunale di Locri nella parte in cui aveva dichiarato la società "(omissis) s.r.l." responsabile dell'illecito amministrativo derivante dal reato di tentata truffa aggravata a danno dello Stato (capo D), e l’aveva condannata alla sanzione pecuniaria per n. 200 quote di importo pari ad 800 euro ciascuna.
Secondo i giudici di merito, la"(omissis)s.r.l." sarebbe responsabile dell'illecito amministrativo dipendente dal reato di tentata truffa commesso nel suo interesse o comunque a suo vantaggio dal legale rappresentante,(omissis), nei cui confronti la Corte d'appello, in riforma della decisione di condanna di primo grado, ha pronunciato sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. La tentata truffa sarebbe stata integrata dall'annotazione, nelle scritture contabili, della indicata società di una fattura recante l'importo di 22,41 euro ed I.V.A. pari a 4,48 euro, aggiungendovi del tutto arbitrariamente l'importo di 1,00 euro di imponibile e 1.702.514,00 euro di I.V.A. detraibile, e dal successivo riporto di tale annotazione alla voce "variazioni e arrotondamenti d'imposta" del modello unico 2009 relativo all'anno d'imposta 2008, quali operazioni dirette ad indurre l'Amministrazione finanziaria in errore circa l'effettiva entità dell'I.V.A. detraibile e a procurare all'ente un ingiusto profitto rappresentato dalla predetta somma di 1.702.514,00 euro.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe la società"(omissis)s.r.l.", con atto a firma degli avvocati e procuratori speciali (omissis)e (omissis), articolato in un unico motivo con il quale si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 1, lett. d), 2 e 3 d.lgs. n. 74 del 2000, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta configurabilità del reato di tentata truffa.
Si deduce che la sentenza impugnata ha erroneamente ritenuto configurabile il delitto di tentata truffa, sebbene: a) sussiste un rapporto di specialità tra le fattispecie penali in materia di frode fiscale e il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato, come puntualizzato da Sez. U, n. 1235 del 2011; b) la condotta ritenuta accertata era diretta ad ottenere un indebito rimborso di imposta, mediante l'impiego di modalità artificiose costituite dalle rappresentazioni mendaci effettuate nelle scritture contabili e nella dichiarazione; c) detta condotta, quindi, era astrattamente sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 3 d.lgs. n. 74 del 2000, attesa la parificazione, ex art. 1, lett. d), d.lgs cit., tra fine di evadere le imposte e fine di conseguire un indebito rimborso o il riconoscimento di un credito d'imposta inesistente, ma non anche in quella di truffa o tentata truffa, siccome non mirava a realizzare un profitto ulteriore e diverso da quello di evasione fiscale; d) non è configurabile il tentativo del reato di cui all'art. 3 d.lgs. n. 74 del 2000, atteso il disposto di cui all'art. 6 d.lgs. cit.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito precisate.
2. Invero, posto che il fatto per il quale è stata condannata la"(omissis)s.r.l.", è qualificabile come dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti di cui all'art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, e che tale disposizione si pone in rapporto di specialità rispetto a quella di tentata truffa aggravata a danno dello Stato, escludendone l'applicabilità, vi è difetto di un reato presupposto, secondo la disciplina vigente all'epoca del fatto, per la responsabilità amministrativa a norma del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.
3.Innanzitutto, occorre rilevare che la condotta contestata ed accertata è sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito.
3.1.La fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, a norma dell'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, è costituita dalla condotta, di chi, «al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi».
A norma del comma 1, lett. a) del d.lgs. cit., <<per "fatture o altri documenti per operazioni inesistenti" si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l'imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi».
3.2.Nel caso di specie, il fatto materiale risulta puntualmente ricostruito dalla sentenza impugnata e non vi sono contestazioni del ricorrente in proposito.
Precisamente, il fatto è stato commesso mediante l'annotazione nelle scritture contabili della (omissis) s.r.l." di una fattura recante l'importo di 22,41 euro ed I.V.A. pari a 4,48 euro, aggiungendovi del tutto arbitrariamente gli importi di 1,00 euro di imponibile e di 1.702.514,00 euro di I.V.A. detraibile, e, poi, mediante il riporto di tale annotazione alla voce "variazioni e arrotondamenti d'imposta" del modello unico 2009 relativo all'anno d'imposta 2008 dell'impresa, al fine di indurre l'Amministrazione finanziaria in errore circa l'effettiva entità dell'I.V.A. detraibile e, così, di procurare all'ente l'indicata somma di 1.702.514,00 euro.
La Corte d'appello aggiunge che la società «attraverso l'artificio sopra descritto» - siccome l'art. 38-bis d.P.R. n. 633 del 1972 consente il rimborso, in pendenza dell'accertamento fiscale, previa presentazione di idonea garanzia - «ha perseguito lo scopo di ottenere immediata liquidità [...] per il solo effetto dell'esposizione del credito I.V.A. e della prestazione di una garanzia, indipendentemente dall'accertamento fiscale che avrebbe potuto verificare che il rimborso era indebito a distanza di anni».
3.3.(omissis)La condotta così ricostruita deve ritenersi sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000.
Innanzitutto, la condotta, nella specie, è integrata dall'annotazione mendace su di una fattura dell'importo di 1. 702.514,00 euro quale I.V.A. versata, e poi dal riporto di tale annotazione nella dichiarazione fiscale. In questo modo, la fattura in questione «indica[ ...] l'imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale» e, quindi, a norma dell'art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 74 del 2000, è da classificare tra le «fatture o altri documenti per operazioni inesistenti». La stessa, inoltre, in quanto riportata nel suo contenuto mendace nella dichiarazione fiscale, è utilizzata per indicare in quest'ultima «elementi passivi fittizi»
Il fine di evasione dell'I.V.A., poi, si evince dal fatto che l'esposizione dell'annotazione mendace costituisce la premessa per ottenere il rimborso della somma di 1. 702.514,00 euro, indicata come fittiziamente versata.
Né la conclusione appena indicata può essere messa in dubbio perché, come osserva la sentenza impugnata, il fine della società era quello di ottenere immediata liquidità. Invero, a norma dell'art. 1, comma 1, lett. d), il fine di evadere le imposte si intende comprensivo «anche del fine di conseguire un indebito rimborso o il riconoscimento di un inesistente credito di imposta». E la liquidità cui mirava la società - meglio: il suo legale rappresentante - attraverso la condotta fraudolenta era perseguita proprio mediante il conseguimento di un indebito rimborso. Quindi, se la società (meglio: il suo legale rappresentante) aveva lo scopo di procurarsi liquidità attraverso un indebito rimborso, il fine perseguito era necessariamente quello di «conseguire un indebito rimborso o il riconoscimento di un inesistente credito di imposta». Del resto, può aggiungersi, nell'esperienza empirica, il fine di conseguire un indebito rimborso è indefettibilmente funzionale all'esigenza di reperire liquidità o comunque disponibilità monetarie.
4. Posto che la condotta ritenuta sussistente dalla sentenza impugnata è sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, deve escludersi l'applicabilità della disposizione di tentata truffa, come invece ritenuto dalla Corte d'appello, in ragione del principio di specialità tra le due previsioni incriminatrici.
Invero, secondo un principio enunciato dalle Sezioni Unite, e dal quale non vi sono ragioni per dissentire, è configurabile un rapporto di specialità tra le fattispecie penali tributarie in materia di frode fiscale (artt. 2 ed 8 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74) ed il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640, secondo comma, n.1, cod. pen.), in quanto qualsiasi condotta fraudolenta diretta alla evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all'interno del quadro delineato dalla normativa speciale, salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all'evasione fiscale, quale l'ottenimento di pubbliche erogazioni (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, G., Rv. 248865- 01).
5. Non essendo configurabile il reato di tentata truffa, bensì quello di cui all'art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, deve escludersi che, nella specie, ricorra un reato idoneo, secondo la disciplina vigente all'epoca del fatto, ossia nel 2009, a costituire presupposto per la responsabilità amministrativa a norma del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.
Invero, a norma dell'art. 2 d.lgs. n. 231 del 2001, l'ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto.
Ora, la responsabilità dell'ente per un fatto costituente reato a norma dell'art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 è stata prevista solo in epoca di molto successiva al fatto in contestazione, e precisamente per effetto dell'art. 39, comma 2, d.l. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157.
6. La mancata contestazione e configurabilità di un reato presupposto, secondo la disciplina vigente all'epoca del fatto, per la responsabilità amministrativa a norma del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, esclude in radice la possibilità di ravvisare la sussistenza di quest'ultima.
Di conseguenza, si impone l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata quanto all'illecito amministrativo di cui al capo D) perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata quanto all'illecito amministrativo di cui al capo D) perché il fatto non sussiste.