Rigettato il ricorso dell'imputato che escludeva l'area di parcheggio condominiale dalla categoria della pertinenza della privata dimora. Secondo la Cassazione, l'utilità di tale bene accessorio alle abitazioni dello stabile condominiale rende l'area di parcheggio qualificabile nei termini predetti.
L'imputato propone ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte d'Appello con cui era stata confermata la sua responsabilità penale per il reato di furto in pertinenza di abitazione. In particolare, il ricorrente si era impossessato di un'autovettura dal parcheggio condominiale di pertinenza del condominio ivi ubicato.
Tra i...
Svolgimento del processo
1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 16/12/2020- dep. 11/02/2021, confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Milano in composizione monocratica in data 18/06/2020, all'esito di giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, aveva condannato T. C. a pena di giustizia per i reati, riuniti per continuazione, di ricettazione, indebito utilizzo di carta elettronica, tentato e consumato, furto in pertinenza di abitazione, commessi a (omissis) e a (omissis) nel 2019, con la recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale.
La condotta a lui contestata era consistita nell'avere:
- quanto alla ricettazione di cui al capo a), ricevuto due autovetture di provenienza furtiva;
- quanto ai reati di cui ai capi b) e c), indebitamente utilizzato e tentato di utilizzare carte di credito provento di furto;
- quanto al delitto di cui al capo e), preso possesso della vettura Alfa Romeo tg. (omissis), sottraendola al proprietario P. D. dal parcheggio condominiale di via (omissis), pertinenza del condominio ivi ubicato.
2. T. C. propone ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, e deduce i seguenti motivi:
- la violazione dell'art. 606 co. 1 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all'art. 624 bis cod. pen. di cui al capo e) per mancata riqualificazione della condotta in quella di cui all'art. 624 cod. pen. Riprendendo quanto già illustrato nei motivi di appello, sottolinea la forzatura consistita nell'aver ricondotto un'area di sosta condominiale a luogo di svolgimento della vita privata, trattandosi di area di transito temporanea e non di permanenza significativa. Pur se la Corte territoriale ha richiamato l'orientamento di questa S.C. in ordine alla qualifica di pertinenza propria dell'area condominiale, sostiene che essa mal si concilia con l'interpretazione del concetto di 'privata dimora' fornito dalle Sezioni Unite: la tutela rafforzata si ricollega a una casa privata o a un luogo chiuso, comunque a un sito nel quale si svolgano le manifestazioni intime della persona, non già a un'area di parcheggio, benché di uso condominiale;
- la violazione dell'art. 606 co. 1 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all'avvenuta applicazione della recidiva infraquinquennale, che ha determinato un sensibile incremento sanzionatorio. Anche per tale aspetto si richiama ai motivi di appello, i quali avevano fatto riferimento all'esito positivo del percorso di affidamento in prova al servizio sociale, pur se di ciò non vi era stata annotazione nel certificato del casellario. Censura che a ciò la Corte territoriale abbia replicato che mancava la formale dichiarazione del Tribunale di Sorveglianza da cui evincere l'avvenuta estinzione della pena, poiché tale provvedimento avrebbe avuto effetti meramente dichiarativi sull'esito favorevole dell'affidamento. Aggiunge che l'esito positivo era stato effettivamente dichiarato con ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di MILANO del 16/10/2014, del quale allegava copia.
Il Procuratore Generale di questa S.C. chiede con conclusioni scritte il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
1. Non è condivisibile la tesi difensiva della esclusione dell'area di parcheggio condominiale dalla categoria della 'pertinenza' della 'privata dimora'. Il consolidato e condiviso orientamento di questa S.C., peraltro ben presente al ricorrente (cf. Sez. 4 sentenza n. 4215 del 10/01/2013 dep. 28/01/2013 Rv. 255080 imputato B.) è nel senso che il delitto di cui all'art. 624 bis cod. pen. è integrato quando "la sottrazione illecita" riguarda "beni mobili posti all'interno di aree condominiali, anche quando le stesse non siano nella disponibilità esclusiva dei singoli condomini. (Nella fattispecie la Corte non ha ritenuto ostativa alla configurazione del reato di cui all'art. 624 bis cod .pen. la circostanza che sull'area condominiale destinata a parcheggio, all'interno della quale era stato consumato il furto, insisteva una servitù pubblica di passaggio pedonale)". Ciò in quanto l'innovazione normativa del 2001 ha recepito i risultati della pregressa giurisprudenza sulla nozione di "abitazione" di cui alla vecchia formulazione: già nel vigore della previsione antecedente la nozione di abitazione, evocativa del luogo finalizzato a soddisfare esigenze della vita domestica e familiare, aveva permesso di includervi il locale autorimessa, staccato dall'abitazione principale.
Il disposto di cui all'art. 624 bis cod. pen. punisce il comportamento di chi si impossessi della cosa altrui mediante introduzione in uno dei siti nei quali la persona compia, anche in modo transitorio e contingente, atti della vita privata: poiché tale è il luogo di "privata dimora", ci si trova di fronte a una nozione più ampia e comprensiva di quella di "abitazione", come è dimostrato anche dalla formulazione dell'art. 614 cod. pen., ove sono entrambi presenti: in quanto "privata dimora" è qualcosa di più ampio rispetto all'abitazione, vi rientra qualsiasi luogo, esclusa la casa di abitazione, dove ci si soffermi ad esercitare, anche transitoriamente, manifestazioni della attività individuale (Cass. Sez. 5, sentenza n. 4569 del 22/12/2010, Rv. 249268 imputato B.).
2. Pertanto non è fondata la censura secondo cui l'area sulla quale erano parcheggiate le autovetture non costituirebbe pertinenza di abitazione, perché la formulazione dell'art. 624 bis cod. pen. ha modificato i pregressi dati normativi di riferimento: il legislatore ha innovato le locuzioni utilizzate negli art. 624 e 625 cod. pen., e ha utilizzato l'espressione 'privata dimora' dando autonomo risalto alle pertinenze: il che vuol dire che la nozione di pertinenza valevole ai fini dell'art. 624 bis cod. pen. non coincide con quella civilistica, poiché non richiede l'uso esclusivo del bene da parte di un solo proprietario. Piuttosto essa viene accostata alla nozione di appartenenza, di cui all'art. 615 cod. pen., costituendo comunque elemento caratterizzante quello della strumentalità, pur non continuativa e non esclusiva, dei bene alle esigenze di vita domestica del proprietario.
Va altresì richiamata la decisione della Sez. 5 n. 1278 del 31/10/2018 dep. 11/01/2019 Rv. 274389 imputato Sini, nella cui motivazione, ai fini della individuazione del concetto di 'pertinenza', si valuta improprio il richiamo alla pronuncia delle S.Un. n. 31345/2017: quest'ultima ha affermato il principio secondo cui rientrano nella nozione di privata dimora di cui all'art. 624-bis cod. pen. esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, che non siano aperti al pubblico, né accessibili a terzi senza il consenso del titolare; la fattispecie oggetto della sentenza della Sez. 5 riguardava l'androne di un edificio destinato ad abitazioni, dal cui interno era stata illecitamente sottratta una bicicletta. L'androne veniva qualificato "pertinenza", se pure pro quota, per tutti gli appartamenti dell'anzidetto complesso (cf. anche Sez. 5, n. 28192 del 25/03/2008, Tagliartela, Rv. 240442), poiché il rapporto tra cosa principale e pertinenza attiene non già a una connessione materiale o strutturale, come nell'incorporazione, bensì si configura come rapporto di strumentalità e complementarietà funzionale, sicché il vincolo pertinenziale può sussistere anche tra opere dotate di autonomia strutturale (Cass. Civ. Sez. 2 n. 2804 del 02/02/2017 e Sez. 2, n. 12855 del 10 giugno 2011). La ratio è identica per l'area di parcheggio condominiale.
Il vincolo pertinenziale tra bene principale e bene accessorio presuppone il requisito soggettivo dell'appartenenza di entrambi alla medesima persona e il requisito oggettivo della contiguità, pur solo di servizio, tra i due beni, ai fini del quale è necessario che il bene accessorio arrechi una "utilità" al bene principale: questo avviene nell'edificio condominiale, ove l'androne o l'area interna di parcheggio assolvono a tale funzione, e sono strumentali e complementari alle abitazioni dello stabile condominiale.
3. Il secondo motivo è pur esso infondato. Esso sostiene che non vi sarebbe nella specie recidiva infraquinquennale, e che quindi l'aumento per recidiva vada congruamente ridimensionato, poiché uno dei precedenti preso in considerazione ai fini delle relativa declaratoria sarebbe estinto grazie al positivo esito dell'affidamento in prova; aggiunge che tale estinzione sarebbe stata dichiarata con ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di MILANO in data 16/10/2014, che allega al ricorso. In realtà tale allegazione, pur riguardando, nella prospettazione difensiva, un provvedimento antecedente alle pronunce di primo e di secondo grado, appare avvenuta per la prima volta col ricorso per cassazione: lo conferma la circostanza che l'atto di appello si era limitato a una generica contestazione della recidiva e, pur riferendo la conclusione andata a buon fine del beneficio penitenziario, aveva lamentato che il Tribunale non avesse proceduto alla necessaria verifica, ma non aveva allegato alcunché, né indicato gli estremi della menzionata ordinanza, certamente disponibile alla difesa fin dal giudizio in Tribunale.
Correttamente pertanto la Corte ambrosiana non ha potuto presumere l'estinzione del reato di cui alla condanna del 1°/12/2012, preso in considerazione ai fini della recidiva, per la semplice ragione che quell'estinzione non era documentata dal certificato penale, né da allegazioni difensive, pur possibili se l'ordinanza del Tribunale di Sorveglianza risale al 2014, e comunque non surrogabili da calcoli estranei a tale ultimo provvedimento.
4. La valutazione richiesta dalla difesa è preclusa a questa S.C., il cui orientamento (cf. Sez. 2 sentenza n. 42052 del 19/06/2019 dep. 14/10/2019 Rv. 277609 imputato Moretti Cuseri) è nel senso che "nel giudizio di legittimità possono essere prodotti esclusivamente i documenti che l'interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio, sempre che essi non costituiscano "prova nuova" e non comportino un'attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte e valutate dai giudici di merito". Nella stessa direzione Sez. 3, Sentenza n. 8996 del 10/02/2011 dep. 08/03/2011 Rv. 249614 imputato P.; Sez. 5, Sentenza n. 45139 del 23/04/2013 dep. 07/11/2013 Rv. 257541 imputati Casamonica e altri; Sez. 3, Sentenza n. 5722 del 07/01/2016 dep. 11/02/2016 Rv. 266390 - 01 imputato Sanvitale.
Ciò perché gli art. 585 co. 4 e 311 co. 4 cod. proc. pen. consentono, in generale nel giudizio di impugnazione e in particolare nel giudizio di legittimità, la formulazione di "motivi nuovi", ma non anche la produzione di "documenti nuovi". Questa S.C. (Sez. 4, n. 3396 del 06/12/2005, dep. 2006, Rv. 233241; Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, dep. 2013, Rv. 254302; Sez. 3, n. 5722 del 07/01/2016, Rv. 266390; Sez. 1, n. 42817 del 06/05/2016, Rv. 267801) ha già chiarito che non è ammissibile la produzione per la prima volta in sede di legittimità di "documenti nuovi", ovvero già non facenti parte del fascicolo, diversi da quelli di natura tale da non costituire "nuova prova", e da non esigere alcuna attività di apprezzamento sulla loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte, perché tale attività è estranea ai compiti del Giudice di legittimità.
Documenti esibiti per la prima volta in questa sede non sono ricevibili perché il codice di rito non ha previsto all'art. 613, diversamente dall'art. 533 del precedente codice, tale facoltà, nella direzione di esaltare il ruolo di pura legittimità della Suprema Corte, che procede non già a un esame degli atti, bensì soltanto alla valutazione dell'esistenza e della logicità della motivazione.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cast. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.