Rigettato il ricorso di un imprenditore che lamentava il blocco di tutte le sue disponibilità economiche a seguito del sequestro dei conti correnti, causando la privazione dei mezzi di sussistenza per sé e la propria famiglia oltre ai mezzi per la minima gestione della propria attività professionale. Per la Cassazione, il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare la situazione patrimoniale e reddituale al fine di valutare il limite non vincolabile rispetto al sequestro operato.
Il Tribunale di Pescara respingeva la richiesta di un imprenditore di revoca parziale del sequestro preventivo disposto a fini di confisca per equivalente dei conti correnti bancari a lui intestati. A fondamento della sua decisione, il Giudice di prime cure osservava che il sequestro dei conti correnti non aveva determinato una...
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza adottata in data 8 giugno 2021, e depositata in data 10 giugno 2021, il Tribunale di Pescara, pronunciando in sede di appello ex art. 322- bis cod. proc. pen., ha respinto la richiesta di LS di revoca parziale del sequestro preventivo disposto a fini di confisca per equivalente dei conti correnti bancari a lui intestati, a norma degli artt. 321cod. proc. pen. e 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000. A fondamento della decisione, in particolare, il Tribunale ha osservato che il sequestro dei conti correnti non determina una situazione di privazione del c.d. "minimo vitale", anche perché al ricorrente non è inibito di proseguire l'attività economica ed aprire nuovi rapporti bancari, e che nelle «minime esigenze di vita» non possono rientrare le esigenze gestionali concernenti un'attività professionale.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso l'ordinanza indicata in epigrafe LS. con atto sottoscritto dall'avvocato SC articolato in due motivi, preceduti da una premessa. Nella premessa, si evidenzia che, nel procedimento, il sequestro preventivo:
-) è stato disposto in via diretta nei confronti della società" L s.r.l.", per un valore non superiore a 2.855.453,00 euro, e nei confronti della società '' AC s.r.l.", per un valore non superiore a 246.446,00 euro, nonché per equivalente nei confronti di vari indagati, tra i quali l'odierno ricorrente LS, a carico del medesimo specificamente per un valore non superiore a 1.366.000,00 euro;
-) è stato eseguito su beni di LS per l'importo di 549.223,08 euro.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 2 Cast. e 1 Prot. CEDU, nonché alla motivazione omessa o meramente apparente, avendo riguardo al principio di proporzionalità, siccome rilevante ai fini dell'ambito di estensione applicativa della misura cautelare. Si deduce che il sequestro ha determinato il blocco totale di tutte le disponibilità economiche del ricorrente, con impossibilità anche di ricevere il pagamento delle proprie competenze professionali dai clienti, e conseguente privazione dei mezzi di sussistenza per sé e la propria famiglia, nonché del mezzi per la minima gestione della propria attività professionale. Si rappresenta che tale misura si pone in contrasto con il principio di proporzionalità, come riconosciuto, da ultimo, da Sez. 4, n. 3981 del 21/01/2021; principio fondamentale nel diritto dell'Unione Europea, il quale preclude l'illimitata apprensione dei beni dell'indagato trascurando situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, ed impone il rispetto del principio di solidarietà sociale nonché la garanzia del c.d. "minimo vitale" per l'indagato. Si aggiunge che l'ordinanza impugnata ha del tutto omesso di valutare le dichiarazioni dei redditi del ricorrente, dalle quali avrebbe potuto immediatamente comprendere come il medesimo trae i propri guadagni esclusivamente dallo svolgimento dell'attività professionale di totalmente impedita dal sequestro.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 2, 4 e 36 Cost., avendo riguardo ai principi in materia di tutela del lavoro, siccome rilevanti ai fini dell'ambito di estensione applicativa della misura cautelare. Si deduce che, per effetto del sequestro, così come eseguito, il ricorrente non è più in grado di fronteggiare le spese relative all'esercizio della propria attività professionale, tra le quali gli stipendi per tre dipendenti, pari a circa 100.000,00 euro annui, e, quindi, non è più in condizione di svolgere attività lavorativa. Si rappresenta che, secondo quanto evidenziato da Sez. 4, n. 3981 del 2021, cit., la proporzionalità della misura cautelare deve essere valutata oltre che in relazione alle esigenze di vita strettamente personali, anche avendo riguardo alle esigenze lavorative proprie e altrui, e che il diritto al lavoro, nonché il diritto alla retribuzione, sono situazioni giuridiche protette dalla Costituzione, costituenti espressioni della dignità della persona. Si aggiunge che le esposte considerazioni sono ancor più significative in ragione del fatto che le somme in sequestro sono tutte di provenienza lecita.
3. Nell'interesse del ricorrente, l'avvocato SC ha anche depositato memoria di replica alla requisitoria del Procuratore generale. Si sottolinea, in particolare, che il Tribunale non ha compiuto alcuna valutazione concreta in ordine alle condizioni economiche dell'indagato, tra l'altro omettendo anche di considerare che la moglie del ricorrente è in cassa integrazione e percepisce solo circa 500,00 euro mensili, somma del tutto insufficiente alle esigenze di una famiglia di quattro persone. Si aggiunge, inoltre, che i principi enunciati da Sez. 4, n. 3981 del 2021, cit., sono stati affermati in relazione ad una fattispecie di sequestro diretto, ma valgono a maggior ragione nelle ipotesi di sequestro per equivalente, essendo in tali casi, per definizione, le somme di provenienza lecita.
Motivi della decisione
1. Il ricorso, il quale contesta la legittimità del diniego di revoca parziale del sequestro delle somme di denaro rinvenute sui conti correnti di LS deducendo che il vincolo reale, per come applicato, si pone in violazione del principio di proporzionalità, del diritto al lavoro e del diritto a fruire dei mezzi di sussistenza, è nel complesso infondato per le ragioni di seguito precisate.
2. Innanzitutto, è opportuno precisare che, nella vicenda in esame, non deve essere affrontata la questione, attualmente pendente davanti alle Sezioni Unite penali della Corte di cassazione, che concerne l'applicabilità alla confisca per equivalente ed al prodromico sequestro dei limiti di pignorabilità delle somme dovute a titolo di stipendio, salario, pensione o altra indennità relativa a rapporto di lavoro o di impiego, previsti dall'art. 545 cod. proc. civ. In effetti, la questione proposta nel ricorso non solo non pone il problema dell'applicabilità dei limiti di cui all'art. 545 cod. proc. civ., ma attiene a crediti derivanti da lavoro autonomo, ai quali la disciplina appena precisata non è applicabile nemmeno in sede di processo civile di esecuzione. Anche nell'ambito del diritto processuale civile, infatti, i limiti di pignorabilità di cui all'art. 545 cod. proc. civ. sono ritenuti riferibili ai soli crediti da lavoro subordinato o parasubordinato, ma non anche ad altre tipologie di crediti, quali quelli derivanti dallo svolgimento dell'attività di amministratore di una società (cfr., per tutte, Sez. U civ., n. 1545 del 20/01/2017, Rv. 642004-03, nonché, nella giurisprudenza penale, Sez. 3, n. 14250 del 18/01/2021, M., Tv. 282020-01, secondo la quale, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, i limiti di pignorabilità previsti dall'art. 545 cod. proc. civ., come modificato dall'art. 13, comma 1, lett. I), del d.l. 27giugno 2015, n. 83, convertito con modifiche dalla 16 agosto 2015, n. 132, non si applicano agli emolumenti percepiti dall'amministratore di una società di capitali.
3. L'inapplicabilità della disciplina di cui all'art. 545 cod. proc. pen. ai crediti da lavoro autonomo, tuttavia, non implica l'assenza di qualunque limite al sequestro funzionale alla confisca per equivalente.
3.1. Invero, risulta ragionevole ritenere che il sistema normativo assicuri al soggetto nei cui confronti è stato disposto il vincolo cautelare reale penale un limite connesso alla necessità di fronteggiare le esigenze minime di vita. Precisamente, la presenza di un limite all'ammissibilità del sequestro a fini di confisca per equivalente è desumibile sia dai principi fondamentali di proporzionalità e solidarietà sociale, secondo quanto già evidenziato in giurisprudenza (il riferimento è a Sez. 4, n. 3981 del 21/01/2021, U., Rv. 280481-01), sia da ragioni di coerenza con puntuali indicazioni normative, le quali costituiscono il precipitato di tali principi anche al di fuori del settore del diritto e del processo civile. In particolare, sembra utile evidenziare che, in materia di misure di prevenzione, a norma dell'art. 40, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, il giudice delegato può adottare nei confronti della persona i cui beni sono stati sottoposti a sequestro, nonché della sua famiglia, i provvedimenti indicati nell'art. 47, primo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, qualora ricorrano le condizioni ivi stabilite. A sua volta, l'art. 47, primo comma, r.d. n. 267del 1942, dispone: «Se al fallito vengono a mancare i mezzi di sussistenza, il giudice delegato, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, può concedergli un sussidio a titolo di alimenti per lui e per la sua famiglia.
3.2. Il limite all'ammissibilità del sequestro a fini di confisca per equivalente, però, deve essere inteso in modo circoscritto. Da un lato, infatti, non sembra coerente con i valori costituzionali che la tutela delle esigenze minime di vita per il lavoratore autonomo o per l'imprenditore sia riconosciuta in misura superiore a quella attribuita al lavoratore subordinato o al titolare di redditi da pensione. E, per queste categorie, nel sistema del diritto e del processo civile, la tutela prevista per assicurare le esigenze minime di vita è quantitativamente modesta: in particolare, le somme corrisposte a titolo di pensione, di stipendio, di salario o di indennità pertinenti, a norma dell'art. 545, ottavo comma, cod. proc. civ., «nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale, quando l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge». Per chiarezza, poi, è utile precisare che il triplo dell'assegno sociale, per l'anno 2021, corrisponde a 1.380,84 euro, e che, come precisato dalla giurisprudenza, detto limite, nel caso di somme già percepite e confluite nel patrimonio del destinatario del provvedimento di sequestro, può operare una sola volta e a condizione che sia certa la natura della somma (per questa precisazione, v. Sez. 3, n. 13130 del 19/11/2019, dep. 2020, Cattaneo, Rv. 279377-01). Dall'altro, poi, proprio con riferimento alle retribuzioni da lavoro dipendente, la giurisprudenza costituzionale ha più volte ribadito che il limite alla pignorabilità in sede di esecuzione civile può essere fissato in misura anche molto contenuta, e che, quindi, può essere anche insufficiente ad evitare sacrifici molto gravosi per il lavoratore. Si è infatti ripetutamente affermato che non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 545, quarto comma, cod. proc. civ. - impugnato, in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost. - laddove non prevede l'impignorabilità assoluta della quota di retribuzione necessaria al mantenimento del lavoratore e della sua famiglia, anche se la privazione di una parte del salario è un sacrificio che può essere molto gravoso per il lavoratore scarsamente retribuito, osservandosi che la disciplina in materia deve assicurare anche la tutela della certezza dei rapporti giuridici, sicché la scelta del criterio di limitazione della pignorabilità e l'entità di detta limitazione rientrano nel potere costituzionalmente insindacabile del legislatore (cfr., tra le tante: Corte cost, n. 202 del 2018; Corte cost., n. 91 del 2017; Corte cost., n. 248 del 2015).
3.3. L'individuazione del limite all'ammissibilità del sequestro a fini di confisca per equivalente, inoltre, richiede l'adempimento di un puntuale e coerente onere di allegazione da parte dell'interessato. Invero, solo l'interessato può evidenziare se, e in che misura, sussiste l'esigenza di un limite al sequestro al fine di assicurargli il c.d. "minimo vitale". L'individuazione di un limite di questo tipo al sequestro, infatti, non è oggettivamente determinabile, ma richiede un'analisi della complessiva situazione patrimoniale e reddituale della persona i cui beni sono stati sottoposti a vincolo. E in questo senso si è già espressa la giurisprudenza (così Sez. 4, n. 3981 del 21/01/2021, U., Rv. 280481-01, in motivazione, § 7.1, laddove osserva che il giudice deve procedere a «motivata verifica, sulla base delle allegazioni sottoposte al suo vaglio, della proporzionalità del sequestro preventivo di somme di denaro nella disponibilità dell'indagato con riguardo alla loro provenienza in funzione del quantum necessario a soddisfare le esigenze minime di vita»).
4. Nella specie, il ricorrente ha posto a fondamento della sua richiesta di dissequestro l'esigenza di poter ricever i pagamenti dai clienti, di poter disporre dei mezzi per lo svolgimento della sua attività professionale, di dover pagare i dipendenti, e poter di fruire dei mezzi necessari per sé e per i propri familiari. In particolare, ha allegato, nel ricorso, che egli deve corrispondere uno stipendio a tre collaboratori per complessivi 100.000,00 euro annui, e, nei motivi nuovi, che la moglie è in cassa integrazione e percepisce solo 500,00 euro mensili circa, e che tale importo è del tutto insufficiente a fronteggiare le esigenze della famiglia, composta da quattro persone. In sede di appello, poi, aveva specificato che occorrevano almeno 3.000,00 euro al mese per soddisfare le esigenze minime di vita del suo nucleo familiare, nonché almeno 10.000,00 euro al mese per esercitare la sua attività professionale. Il Tribunale ha osservato che «gli emolumenti professionali che transitano sul conto in sequestro sfuggono di per sé alla misura cautelare», che sarebbe possibile «assegnare agli stessi una diversa destinazione contabile», e che le esigenze gestionali dell'attività professionale non possono confondersi con le esigenze minime di vita.
5. In applicazione dei principi sopra precisati ai §§ 3, 3.1, 3.2 e 3.3, e degli elementi esposti dal ricorrente anche in sede di appello, l'impugnazione risulta infondata in parte perché adduce esigenze diverse da quelle attinenti alla salvaguardia del c.d. "minimo vitale", e in parte perché non è stata corredata dalle idonee allegazioni in sede di merito. Innanzitutto, l'esigenza di ricevere i pagamenti dei clienti, in sé, può essere soddisfatta mediante l'apertura di altro conto corrente. La necessità di corrispondere lo stipendio ai tre collaboratori, poi, come osservato nell'ordinanza impugnata, è estranea alle esigenze minime di vita del ricorrente e della sua famiglia. Né, del resto, il ricorrente può far valere il diritto alla retribuzione a favore dei suoi dipendenti, perché egli non è il titolare di tale situazione giuridica. Ancora, i limiti al sequestro delle somme già presenti sul conto corrente al momento dell'apposizione del vincolo hanno un "tetto" massimo estremamente contenuto, stante l'indicazione proveniente dall'art. 545, ottavo comma, cod. proc. civ. e sono applicabili solo in caso di un puntuale adempimento dell'onere di allegazione da parte dell'interessato in ordine all'intera sua posizione patrimoniale e reddituale, al fine di individuare se sussista, e in quale misura, l'esigenza di svincolare somme per far fronte alle esigenze minime di vita del ricorrente e della sua famiglia. Nella specie, in disparte da ogni altra considerazione, l'odierno ricorrente, in sede di merito, aveva indicato la necessità di disporre di almeno 3.000,00 euro al mese per soddisfare le esigenze minime di vita del suo nucleo familiare, nonché di almeno 10.000,00 euro al mese per l'esercizio della sua attività professionale, così formulando richieste del tutto al di fuori dei parametri valutabili ai fini del dissequestro di somme già presenti sul conto corrente al momento dell'apposizione del vincolo.
6. Alla complessiva infondatezza delle censure segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.