Nuovo arresto della Cassazione in materia di amministrazione di sostegno e patto di compenso all'avvocato che cura l'azione risarcitoria del sinistro stradale che abbia causato gravi lesioni al beneficiario.
Il Tribunale di Vicenza emetteva decreto ingiuntivo a favore dell'avvocato, nonché attuale ricorrente, con il quale si ingiungeva al beneficiario dell'amministrazione di sostegno il pagamento di una data somma a titolo di competenze legali maturate per l'attività svolta a favore dell'opponente in sede di procedura stragiudiziale di liquidazione dei danni patiti per via di un...
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n.5573/2019, depositata in data 10/12/2019, - in controversia concernente opposizione, promossa da M.L., beneficiario di amministrazione di sostegno, al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Vicenza in favore dell’avvocato P.S., con il quale si era ingiunto, al primo, di pagare, al secondo, l’importo di € 98.269,96, a titolo di competenze legali maturate per l’attività professionale svolta in favore dell’opponente nella procedura, stragiudiziale, di liquidazione dei danni patiti dal M. a seguito di sinistro stradale (il M., quale terzo trasportato, aveva subito lesioni comportanti un’invalidità al 100%), così come liquidate dalla compagna assicurativa C., - ha riformato la decisione di primo grado, che aveva respinto l’opposizione, sul rilievo della piena validità ed efficacia del contratto del novembre 2008 di conferimento di incarico professionale stipulato tra le parti (il M., rappresentato dalla madre E., nominata amministratrice di sostegno, e l’avvocato S.), comportante anche la previsione di un «premio» in favore del professionista, in aggiunta al compenso secondo le tariffe professionali, pari al 10% della somma che fosse stata riconosciuta al cliente, quale atto di ordinaria amministrazione, non necessitante di autorizzazione del giudice tutelare, che comunque era sopravvenuta, con efficacia sanante, in relazione alla sottoscrizione degli atti di transazione e quietanza. In particolare, i giudici d’appello, accogliendo il gravame principale dell’amministrato e, in parte, quello incidentale condizionato del legale, hanno annullato il contratto di conferimento di incarico professionale inter partes là dove veniva previsto un compenso aggiuntivo del 10%, oltre quello dovuto secondo le tariffe professionali, con revoca del decreto ingiuntivo e declaratoria della debenza, dall’amministrato al legale, della minor somma di € 26.077,00, oltre spese generali ed interessi, compensate tra le parti le spese di lite di entrambi i gradi del giudizio. La Corte territoriale ha rilevato che l’amministratrice di sostegno, M. E., nel pattuire con il professionista, in aggiunta al compenso secondo le tariffe professionali, un compenso ulteriore, proporzionato al raggiungimento degli interessi perseguito e pari al 10% della somma riconosciuta come dovuta al cliente, aveva posto in essere un atto di « straordinaria amministrazione», necessitante di autorizzazione del giudice tutelare, trattandosi di atto di per sé non necessario ai fini dell’ottenimento del risarcimento del danno dal sinistro stradale e quindi non rivolto alla «conservazione del patrimonio», anche considerata la non particolare difficoltà della pretesa risarcitoria, che l’amministrato doveva svolgere in relazione al sinistro stradale in cui era stato coinvolto quale terzo trasportato; ad avviso della Corte, l’ autorizzazione del giudice tutelare non poteva neppure ritenersi intervenuta successivamente, non risultando che il giudice tutelare avesse esaminato il contratto relativo all’incarico professionale, neppure essendovi nell’istanza, predisposta dal professionista, rivolta al giudice tutelare, ai fini dell’autorizzazione alla stipula della transazione con l’assicurazione, alcun riferimento al mandato al legale ed al relativo compenso, non chiaramente evincibile, anche in difetto di allegazione del piano di riparto del massimale garantito tra gli aventi diritto, emergendo, anzi, che le competenze legali sarebbero state corrisposte separatamente dall’assicurazione, senza gravare sul patrimonio dell’amministrato. In accoglimento dell’appello incidentale condizionato, la Corte di merito provvedeva quindi alla liquidazione delle competenze del professionista, secondo il DM n. 127/2004 (essendo la revoca del mandato intervenuta nel 2011), ritenendo spettante al medesimo le somme di € 8.103,00, per l’attività di assistenza e consulenza stragiudiziale, € 2.974,00, per le prestazioni rese per la nomina dell’amministrazione di sostegno, ed € 15.000,00, per la transazione. Avverso la suddetta pronuncia, notificata a mezzo pec dal legale del M.L., avvocato D.G., il 31/1/2020, l’avvocato P.S. propone ricorso per cassazione, notificato il 29/5/2020, affidato a sette motivi, nei confronti di M.L. (che resiste con controricorso, notificato il 7/7/2020). Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, l’omesso esame ed omessa motivazione, ex art.360 n. 5 c.p.c., su fatto decisivo ossia che il piano di riparto del massimale, contenente la quantificazione in € 98.269,96 del compenso dell’avvocato S. era allegato all’istanza di autorizzazione al giudice tutelare; b) con il secondo motivo, l’omesso esame e l’omessa motivazione, ex art.360 n. 5 c.p.c., su fatto decisivo, ossia che il potere di avvalersi di un avvocato di fiducia, espressamente conferito dal giudice tutelare, comprendesse anche quello di pattuire il relativo compenso; c) con il terzo motivo, sia l’omesso esame e l’omessa motivazione, exart.360 n. 5 c.p.c., su fatto decisivo, ossia che l’amministratore di sostegno aveva firmato l’atto di transazione e quietanza contenente la quantificazione del compenso all’avvocato S. in € 98.269,96, cosicché si era perfezionato tra quest’ultimo e l’amministrato «un nuovo accordo» sull’importo del compenso, sia la violazione e/o falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., dell’art.1326 comma 1 c.c., per non avere la Corte d’appello ravvisato la conclusione del suddetto accordo; d) con il quarto motivo, l’omesso esame e l’omessa motivazione, exart.360 n. 5 c.p.c., su fatto decisivo, ossia che l’accordo sul compenso del legale era un atto di ordinaria amministrazione e pertanto non necessitava di autorizzazione dinanzi al giudice tutelare; e) con il quinto motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt.374 e 411 c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto che l’originaria pattuizione sul compenso aggiuntivo fosse atto eccedente l’ordinaria amministrazione; f) con il sesto motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., degli artt. 91, comma 1, e 92, comma 2, c.p.c. , in ordine alla pronuncia sulle spese di primo grado e di appello, compensate dal giudice di merito, in forza della soccombenza reciproca, che, in conseguenza dell’accoglimento delle pregresse doglianze, verrebbe meno, con conseguente soccombenza della sola controparte; g) con il settimo motivo, in via subordinata al mancato accoglimento delle precedenti censure, sia la violazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., del d.m. 127/2004 sulle tariffe forensi (Tabella D, punto 2, lett. e), sia l’omessa motivazione, exart.360 n. 5 c.p.c., per non avere liquidato al legale dell’amministrato alcun importo a titolo di onorari per le diffide.
2. Preliminarmente, il ricorso per cassazione risulta tempestivo, in quanto il termine di 60 gg ex art.325 c.p.c., dalla data di notificazione della decisione impugnata (il 31/1/2020), scadeva il 3/6/2020, tenuto conto della sospensione straordinaria 2020 (per emergenza sanitaria coronavirus) dei termini per il processo civile, penale e tributario, dal 9 marzo all' 11 maggio 2020 (art. 83, DL 18/2020 e art. 36, c. 1, DL 23/2020).
3. Tanto premesso, le prime quattro censure, implicanti vizi motivazionali, ex art. 360 n. 5 c.p.c., sono inammissibili. Occorre premettere, sui vizi motivazionali, ex art.360 nn. 4 e 5 c.p.c. che, in seguito alla riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, applicabile nella specie, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del «minimo costituzionale» richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi - che si convertono in violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza - di «mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale», di «motivazione apparente», di «manifesta ed irriducibile contraddittorietà» e di «motivazione perplessa od incomprensibile», al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un «fatto storico», che abbia formato oggetto di discussione e che appaia «decisivo» ai fini di una diversa soluzione della controversia. In ordine al vizio relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, decisivo per il giudizio e che sia stato oggetto di discussione tra le parti, le Sezioni Unite di questa Corte, hanno affermato che «l'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)», cosicché «il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività», fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. SSUU n. 8053/2014). Nella specie, il ricorrente, quanto ai primi due motivi, allega quali fatti storici, distinti dalla questione di diritto, il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte d’appello, il piano di riparto del massimale, contenente la quantificazione dell’importo dovuto al legale, che sarebbe stato allegato all’istanza di autorizzazione al Giudice tutelare nell’ottobre 2010, e il decreto del 30/10/2008 del giudice tutelare di nomina dell’amministratrice di sostegno provvisorio, la M.E., contenente l’autorizzazione a quest’ultima ad avvalersi di legale di fiducia per tutelare il figlio in relazione alla richiesta di risarcimento dei danni anche nei confronti dell’assicuratore del veicolo responsabile del sinistro, senza alcun riferimento o limitazione all’ordinaria amministrazione, con conseguente piena libertà di pattuizione del compenso. Ora, in relazione all’omesso esame del piano di riparto, oggetto del primo motivo, la censura non coglie la ratio decidendi, avendo la Corte d’appello ritenuto che l’invalidità della pattuizione tra l’amministratrice di sostegno ed il professionista del compenso aggiuntivo, atto non di ordinaria amministrazione, non era stata neppure successivamente autorizzata dal giudice tutelare, in primis, perché non risultava che lo stesso avesse mai esaminato il contratto di conferimento dell’incarico professionale, ma essenzialmente perché non era affatto chiaro, dal contenuto dell’istanza, che il carico delle suddette spese avrebbe gravato sul patrimonio dell’amministrato e non sarebbe stato corrisposto separatamente dalla Compagnia C., essendovi l’equivoca precisazione che al M. sarebbe spettato un risarcimento di «€ 784.429,69, al netto delle competenze legali che verranno corrisposte separatamente dalla Compagnia Assicuratrice». Quindi il riferimento al riparto, nel complesso della valutazione di non chiarezza circa l’importo che il cliente avrebbe dovuto corrispondere direttamente al legale, non risulta essere un fatto decisivo. Quanto poi al contenuto del decreto autorizzatorio del giudice tutelare del 2008, lo stesso è stato esaminato dalla Corte d’appello e valutato come avente ad oggetto esclusivamente un’attività di ordinaria amministrazione a fini conservativi del patrimonio dell’interessato, quale la scelta del legale cui affidare la tutela, anzitutto stragiudiziale, del beneficiario della procedura, cosicché non poteva comprendere anche un compenso aggiuntivo di tal fatta, ben superiore al compenso liquidabile al professionista sulla base delle tariffe professionali. Il vizio quindi, in difetto di sussistenza di un omesso esame di fatti decisivi, denuncia, invece, una insufficiente/contraddittoria motivazione, in particolare riguardo alla valutazione delle risultanze probatorie. In ordine poi al terzo motivo, lo stesso pone, in realtà, anche con prospettazione di un vizio di violazione di legge dell’art.1326 c.c., una questione nuova di cui non è cenno nella decisione impugnata, vale a dire il fatto che, nel momento in cui l’amministratrice di sostegno aveva firmato l’atto di transazione e quietanza predisposto da C. Ass.ni (salvo poi chiedere al legale di non trasmetterli alla assicuratrice), contenente anche il compenso, al professionista, nella misura determinata di «€ 98.269,96», non più «in aggiunta» a quello spettante secondo le tariffe professionali (come nella scrittura del 2008) ma «in sostituzione », si era comunque perfezionato un nuovo accordo tra le parti. Ora, come già chiarito da questa Corte (Cass. 23675/2013; Cass.15430/2018; Cass. 20694/2018) «qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l'avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione». Nel ricorso, il ricorrente si limita a dedurre di avere evidenziato, sia nel procedimento monitorio, sia in primo grado, sia in appello, che l’amministratrice M. E. aveva sottoscritto atto di transazione e quietanza nel quale si indicava espressamente in «€ 98.269,96 (compresi CPA e IVA) l’importo degli onorario del predetto avvocato». In memoria, si insiste sul fatto che tale espresso compenso, così rideinito, non abbisognava di alcuna specifica autorizzazione da parte del giudice tutelare «poiché era atto di ordinaria amministrazione», essendo in definitiva previsto solo «un compenso pari all’8% del risarcimento liquidato» che corrisponderebbe alla «prassi liquidatoria delle compagnie assicurative». Ma che detto compenso non implicasse una pattuizione eccedente l’ordinaria amministrazione in difetto di un superamento delle tariffe professionali, solo perché pattuito non in aggiunta ma in sostituzione di queste, non è una mera circostanza fattuale. In ogni caso, il fatto, il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte territoriale, non risulta decisivo, avendo la Corte di merito ritenuto che con la pattuizione da parte dell’amministratore di sostegno di un compenso al legale, in misura pari al 10% della somma riconosciuta come dovuta al cliente (€ «982.699,64»), si era posto in essere un atto di « straordinaria amministrazione», di conseguenza non valido, e che non era intervenuta alcuna specifica autorizzazione sanante del giudice tutelare. Il quarto motivo non attiene, infine, ad un vizio motivazionale, quanto a questione di diritto e di interpretazione di atto negoziale, vale a dire che l’accordo sul compenso del legale era un atto di ordinaria amministrazione e pertanto non necessitava di autorizzazione dinanzi al giudice tutelare.
4. Il quinto motivo è infondato. Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, l'amministrazione di sostegno prevista dall'art. 3 della l. n. 6 del 2004 ha la finalità di offrire a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi «uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire», distinguendosi, con tale specifica funzione, dagli altri istituti a tutela degli incapaci, quali l'interdizione e l'inabilitazione, non soppressi, ma solo modificati dalla stessa legge attraverso la novellazione degli artt. 414 e 427 del c.c. rispetto ai quali istituti, l'ambito di applicazione dell'amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa; s è poi affermato che «appartiene all'apprezzamento del giudice di merito la valutazione della conformità di tale misura alle suindicate esigenze, tenuto conto essenzialmente del tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario e considerate anche la gravità e la durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell'impedimento, nonché tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie» (Cass. 13584/2006; Cass. 22232/2011; Cass.18171/2013; Cass. 6079/2020). Sempre questa Corte (Cass. 18320/2012), in merito alla compatibilità tra la disciplina normativa nell'amministrazione di sostegno e la Convenzione di New York del 13 dicembre 2006, ratificata dall'Italia con gli artt. 1 e 2 della legge 3 marzo 2009, n. 18, Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, nella parte che concerne l'obbligo degli Stati aderenti di assicurare che le misure relative all'esercizio della capacità giuridica siano proporzionate al grado in cui esse incidono sui diritti e sugli interessi delle persone con disabilità, che siano applicate per il più breve tempo possibile e siano soggette a periodica revisione da parte di una autorità indipendente ed imparziale (artt. 1 e 2), l’ha affermata anche in ordine al decreto del giudice tutelare, il quale preveda l'assistenza negli atti di ordinaria amministrazione specificamente individuati, nonché, previa autorizzazione del giudice, di straordinaria amministrazione, ferma restando la facoltà del beneficiario di compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della vita quotidiana, con il dovere dell'amministratore di riferire periodicamente in ordine alle attività svolte con riguardo alla gestione del patrimonio dell'assistito, nonché in ordine ad ogni mutamento delle condizioni di vita personale e sociale dello stesso. Così l’art12 della Convenzione prescrive («Uguale riconoscimento dinanzi alla legge»), al comma 2, il riconoscimento alle persone con disabilità del pieno godimento della «capacità giuridica su base di uguaglianza con gli altri in tutti gli aspetti della vita», al comma 3, la necessaria adozione, da parte degli Stati aderenti, di «misure adeguate per consentire l’accesso da parte delle persone con disabilità al sostegno di cui dovessero necessitare per esercitare la propria capacità giuridica», al comma 4 che le garanzie efficaci ed adeguate per prevenire abusi in conformità alle norme internazionali sui diritti umani «devono assicurare che le misure relative all’esercizio della capacità giuridica rispettino i diritti, la volontà e le preferenze della persona, che siano scevre da ogni conflitto di interesse e da ogni influenza indebita, che siano proporzionate e adatte alle condizioni della persona, che siano applicate per il più breve tempo possibile e siano soggette a periodica revisione da parte di una autorità competente, indipendente ed imparziale o di un organo giudiziario» e che esse siano «proporzionate al grado in cui le suddette misure incidono sui diritti e sugli interessi delle persone». Ne consegue che, in dottrina, si è osservato come la rappresentanza o l’assistenza della persona con disabilità devono essere davvero eccezionali, espressamente giustificate in relazione a singole e straordinarie situazioni o atti e conformi ai principi di necessità e proporzionalità e, mentre occorre dare primario rilievo all’art.409, comma 1, c.c., ove si prevede che il beneficiario di amministrazione di sostegno conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministrazione di sostegno, del quarto comma dell’art.411 (secondo il quale il giudice tutelare può disporre, avuto riguardo all’interesse del beneficiario, l’estensione di effetti, limitazioni o decadenze previste per l’interdetto o l’inabilitato) debba essere data, quantomeno, una lettura restrittiva. In generale, poi si è ritenuto che vanno considerati di ordinaria amministrazione «gli atti che presentino tutte e tre le seguenti caratteristiche: 1) siano oggettivamente utili alla conservazione del valore e dei caratteri oggettivi essenziali del patrimonio in questione; 2) abbiano un valore economico non particolarmente elevato in senso assoluto e soprattutto in relazione al valore totale del patrimonio medesimo; 3) comportino un margine di rischio modesto in relazione alle caratteristiche del patrimonio predetto», mentre vanno considerati di straordinaria amministrazione gli atti che non presentino tutte e tre queste caratteristiche (Cass.7546 /2003; Cass. 21614/2004; Cass. 8461/2019). Tanto premesso, la Corte d’appello, nel valutare il carattere di atto di straordinaria amministrazione del compenso professionale pattuito nei sopra descritti termini tra l’amministratrice di sostegno e il professionista, ha rilevato che il Giudice tutelare aveva conferito all’amministratrice di sostegno con decreto di nomina del 2008 solo «il potere di ordinaria amministrazione dei beni del beneficiario» e che in tale abito rientrava anche la facoltà di scegliere un legale di fiducia ai fini della coltivazione della pretesa risarcitoria per i danni conseguenti alle lesioni subite nel sinistro stradale dall’amministrato, patica che «ex ante» non presentava particolar profili di difficoltà o complessità, considerate la dinamica del sinistro, le gravissime lesioni riportate dal M. quale terzo trasportato. Trattasi di valutazione di merito che non presenta profili di violazione di legge e che non risulta quindi censurabile in questa sede di legittimità. Poiché la valutazione di merito attiene ad una «cornice» di diritto, va, comunque, affermato il seguente principio di diritto: « In tema di amministrazione di sostegno, l’autorizzazione del giudice tutelare in ordine al compimento di atti di straordinaria amministrazione, da parte dell’amministratore che abbia solo l’esercizio dei poteri di ordinaria amministrazione, va compiuto tenendo conto degli effetti economici dell’atto autorizzato, cosicché in esso rientra anche il patto di compenso - in misura pari ad una percentuale dell’importo liquidato dalla compagnia di assicurazione ed a prescindere dalle tariffe professionali - all’avvocato, che curi l’azione risarcitoria per sinistro stradale che abbia cagionato gravi lesioni alla persona amministrata, ove questa sia priva di altre risorse economiche e con quel risarcimento debba amministrare la propria vita futura, in relazione alle conseguenti disabilità».
5. Il sesto motivo è assorbito, essendo stato formulato solo in vista dell’accoglimento delle precedenti censure.
6. Il settimo motivo è inammissibile. Il ricorrente lamenta che, in relazione all’attività di assistenza dell’amministrato per il risarcimento del danno «esclusa la transazione con la compagnia di assicurazione» non sia stato liquidato alcun compenso, senza alcuna motivazione, per la voce relativa all’inoltro di nove diffide, malgrado nella tabella D del DM n. 127/2004, relativa all’attività stragiudiziale, punto 2 relativo alle prestazioni di assistenza, sia prevista tale voce sotto la lett. e). Tuttavia, la Corte d’appello ha espressamente considerato il compenso per le diffide nell’ambito del compenso a titolo di onorari liquidato per la transazione, la cui opera prestata dal professionista è consistita essenzialmente «in colloqui e diffide». Tale profilo non viene efficacemente censurato, cosicché la doglianza risulta priva di specificità.
7. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente, al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 4.000,00, a titolo di compensi, oltre 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, ove dovuto. Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.