Respinta la richiesta di risarcimento del danno presentata dagli eredi di un uomo, deceduto dopo due anni dall'incidente, poiché è inesistente il nesso eziologico tra le lesioni subite a seguito del sinistro e l'evento morte.
Svolgimento del processo
1. - I coniugi PS e FR convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Brindisi, GD e le compagnie A S.p.A. e NT S.p.A., per sentirli condannare risarcimento di tutti danni patiti in conseguenza delle lesioni subite a causa del sinistro verificatosi il 5 aprile 2003, allorquando l'autovettura condotta dal S., a bordo della quale era trasportata la R, entrava in collisione con l'autovettura condotta dal D proveniente dall'opposto senso di marcia.
1.1. - Si costituì GD proponendo domanda riconvenzionale per conseguire il risarcimento dei danni patiti nel medesimo sinistro; si costituì anche l' A contestando la domanda proposta dagli attori in via principale. Nel corso del giudizio, a seguito del decesso di PS, intervenne GS , erede legittimo del fratello P, nonché la stessa FR, nella qualità di erede del marito defunto.
1.2. - Il Tribunale adito, con sentenza del dicembre 2014, riconobbe la pari responsabilità di PS e GD nella causazione del sinistro e conseguentemente: a) condannò gli eredi del S e la N (compagnia assicuratrice dello stesso attore principale, poi defunto) al risarcimento dei danni in favore del D, liquidati in euro 7.026,47, a titolo di danno non patrimoniale, e di euro 232,15, a titolo di danno patrimoniale; b) condannò il D e l’A (compagnia assicuratrice dello stesso attore in riconvenzionale) al risarcimento dei danni iure haereditario in favore degli eredi di PS, liquidati in euro 500.517,50 a titolo di danno non patrimoniale e di euro 15.095,00 a titolo di danno patrimoniale; e) condannò ancora il D e l'A al risarcimento dei danni in favore di FR, liquidati in euro 104.704,24 a titolo di danno non patrimoniale.
2. - Avverso tale sentenza proponeva gravame l'A S.p.A.; si costituivano gli appellati GD, G S.p.A. (già T S.p.A.), GS, nonché GR, in qualità di erede e legatario di FR, deceduta nelle more del giudizio di appello, e gli eredi della stessa R: (omissis), Il D e GR proponevano anche appello incidentale.
2.1. - Con sentenza resa pubblica il 25 gennaio 2019, la Corte di appello di Lecce: a) dichiarava cessata la materia del contendere sull'appello incidentale di GR; b) accoglieva, per quanto di ragione, l'appello principale dell'A e quello incidentale del D e per l'effetto: b.1) graduava la responsabilità nella causazione del sinistro nella misura del 60% a carico di PS e del 40% a carico del D; b.2) condannava gli eredi di FR e la G S.p.A., in solido tra loro, al pagamento della somma di euro 8.710,35, oltre accessori, in favore del D; b.3) condannava il D e l’A S.p.A. al pagamento "in favore di RF nella qualità di erede di SP , e per essa dei suoi eredi, della somma di euro 38.608,47, a titolo di danno patrimoniale e non patrimoniale iure haereditario, oltre accessori".
2.2. - A fondamento della decisione la Corte territoriale (per quanto ancora rileva in questa sede) osservava: a) "in conseguenza della morte di RF la legittimazione processuale spetta, ai sensi dell'art. 110 c.p.c., a tutti i coeredi della medesima, indipendentemente dalla successione di costoro nel diritto posto fondamento del rapporto sostanziale oggetto della causa", con la conseguenza "che nel presente giudizio debbono ritenersi legittimati tutti i fratelli e i nipoti ex fratre, costituitisi quali eredi legittimi della stessa"; b) nella verificazione del sinistro comportamenti rispettivamente tenuti dal S e dal D si erano "rivelati convergenti", ma la percentuale dell'apporto causale nella causazione dell'evento non poteva ritenersi paritaria, "essendo lo stesso attribuibile in misura maggiore alla condotta del S , il quale invase la corsia di marcia opposta", dovendosi, pertanto, ascrivere la responsabilità del sinistro nella misura del 60% alla condotta colpevole dello stesso S e per il restante 40% al comportamento imprudente del D (per la velocità eccessiva e la guida in prossimità delle mezzeria); e) era errata la decisione del primo giudice di riconoscere il risarcimento del danno biologico in favore del S "utilizzando valori di riferimento che tenevano conto della durata probabile della vita, senza considerare che l'attore (era) deceduto in data 19.08.2005, a distanza di circa due anni e mezzo dal sinistro (verificatosi in data 5.4.2003), per cause indipendenti da quest'ultimo", dovendo la liquidazione effettuarsi in ragione della durata effettiva delle vita del danneggiato.
3. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre GR, nella qualità di erede e legatario dei diritti di FR, affidando le sorti dell'impugnazione a tre motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso l’A S.p.A. Non hanno svolto attività difensiva in questa sede GD, GS, la G S.p.A. (già T S.p.A.), (omissis)
Motivi della decisione
1. - Con il primo mezzo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 588 c.c. e 111, secondo comma, c.p.c. "e omesso riconoscimento del diritto al pagamento delle somme in favore del legatario", per aver la Corte territoriale erroneamente disposto la condanna del D e dell'A al pagamento della somma risarcitoria in favore degli eredi di FR mentre avrebbe dovuto disporla solo in favore di esso legatario, come da testamento della R in data 5 novembre 2013, per atto notaio V.
1.1. - Il motivo è inammissibile. Il ricorrente, sebbene deduca formalmente un vizio di violazione di legge ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in riferimento agli artt. 588 c.c. e 111 c.p.c., prospetta, nella sostanza delle censure veicolate in questa sede, una omessa pronuncia della Corte di appello sulla domanda di "riconoscimento del diritto al pagamento delle somme in favore del legatario", ossia di esso GR. Nel ricorso, infatti, si assume che egli (il R) si costituiva in appello, "nella qualità di erede e legatario di RF, dispiegando appello incidentale ... al fine di veder confermare la Sentenza n. 2036/14 ... e riconoscere RG erede e legatario a cui favore, nella qualità di legatario, deve essere attribuito il risarcimento del danno oggetto del legato costituito per testamento e riguardante il diritto processualmente controverso" (p. 10). Inoltre, si evidenzia, sempre in ricorso, che la Corte di appello avrebbe "ignora(to) totalmente l'esistenza del testamento pubblico ricevuto dal Notaio GV in data 05.11.2013 e con il quale RF ebbe a costituire un legato dei diritti iure proprio e iure haereditatis processualmente controversi in favore del fratello RG ", così da determinare "una gravissima violazione del diritto sostanziale a succedere a titolo particolare nel rapporto giuridico oggetto di causa, ponendosi in contrasto con il combinato disposto degli artt. 588c.c. e 111 c.p.c." (p. 15), dovendo, quindi, "per tale ragione ... essere cassata con ogni conseguente statuizione" l'impugnata sentenza della Corte di appello (p. 16 ). La sentenza della Corte territoriale non s1 e pronunciata, però, sulla domanda del R di essere l'unico effettivo creditore della pretesa risarcitoria controversa, in quanto legatario della sorella, ma soltanto sulla questione della legittimazione processuale di tutti gli eredi della medesima originaria attrice (cfr. sintesi al § 2.1. del "Ritenuto che" e p. 3 della sentenza di appello). Ciò posto, occorre rammentare che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall'art. 360, primo comma, c.p.c., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramenta.li o l'esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l'omessa pronuncia, da parte dell'impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma dell'art. 360 cod. proc. civ., con riguardo all'art. 112 c.p.c., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass., S.U., n. 17931/2013, Cass. N. ..:s, L.ass. n.10862/2018). Nella specie, il ricorrente non fa cenno alcuno alla nullità della sentenza in conseguenza dell'omessa pronuncia del giudice di appello, ma si limita ad argomentare, peraltro in modo affatto generico, su una violazione di legge in riferimento alla questione di diritto che la domanda posta richiedeva di risolvere. Inoltre, sempre in relazione al vizio sostanzialmente dedotto in ricorso, la doglianza è inammissibile anche in ragione del fatto che non è precisato se il motivo di appello incidentale è stato mantenuto nel giudizio di secondo grado appello fino al momento della precisazione delle conclusioni (tra le altre, Cass. n. 41205/2021). Peraltro, pur essendo assorbente quanto già rilevato, va comunque considerato che il motivo, anche nella sua formale prospettazione, non supera il vaglio di ammissibilità, giacché (come accennato) è dedotto in modo affatto generico, in violazione dell'art. 366, primo comma, n. 4, c.p.c. (non emendabile dalla mera produzione in questa sede in apposito "fascicoletto", ai sensi dell'art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c.), ponendo la questione del diritto del legatario al risarcimento del danno già spettante alla dante causa sulla scorta del mero richiamo all'esistenza di un testamento del quale, tuttavia, non si forniscono, nello stesso ricorso, indicazioni idonee sul relativo contenuto, ossia indicazioni che, pur sintetiche, siano tali, però, da farne comprendere la complessiva ed effettiva portata. Esigenza, questa, che va apprezzata proprio in riferimento alla reale posizione del legatario, ben potendo la relativa istituzione essere oggetto di clausole particolari, semmai anche condizionanti l'efficacia, così da consentire all'istituito solo azioni cautelari o conservative.
2. - Con il secondo mezzo è dedotta la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2054 c.c., per aver la Corte territoriale erroneamente ritenuto superata la presunzione di pari responsabilità di cui alla citata norma.
2.1. - Il motivo è inammissibile. È principio consolidato (tra le molte, Cass. n. 1028/2012 e Cass. n. 14358/2018) quello per cui, in tema di sinistri derivanti dalla circolazione stradale, l'apprezzamento del giudice di merito relativo alla ricostruzione della dinamica dell'incidente, all'accertamento della condotta dei conducenti dei veicoli, alla sussistenza o meno della colpa dei soggetti coinvolti e alla loro eventuale graduazione, al pari dell'accertamento dell'esistenza o dell'esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l'evento dannoso, si concreta in un giudizio di mero fatto, e ciò anche per quanto concerne il punto specifico se il conducente di uno dei veicoli abbia fornito la prova liberatoria di cui all'art. 2054 c.c.; giudizio che - nel regime di cui alla vigente formulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. - può essere suscettibile del sindacato di legittimità solo in ragione della denuncia di un omesso esame di fatto decisivo e discusso tra le parti. Parte ricorrente non prospetta un vizio di omesso esame ai sensi del vigente n. 5 dell'art. 360 c.p.c., né, peraltro, le doglianze, affatto generiche, denunciano un errar in iudicando, ma sollecitano, piuttosto, questa Corte a rivalutare il compendio probatorio (del quale neppure si dà contezza specifica) per giungere ad un diverso accertamento di fatto, favorevole all'istante, così da veicolare censure non affatto consentite in sede di legittimità.
3. - Con il terzo mezzo è prospettato "vizio di carenza di motivazione in relazione alla falsa applicazione dei principi determinanti il risarcimento iure successionis del danno biologico subito da SP ", non avendo la Corte territoriale evidenziato alcun elemento a sostegno della ritenuta esclusione della correlazione eziologica della morte del S, all'età di 62 anni, rispetto al sinistro stradale del 5 aprile 2003, dal quale esso riportava gravissime lesioni, che lo rendevano tetraplegico.
3.1. - Il motivo è inammissibile. La Corte territoriale ha fatto applicazione del principio, consolidato, secondo cui la liquidazione del danno biologico patito da persona deceduta per cause indipendenti dal fatto lesivo oggetto del giudizio va correlata al tempo, noto, trascorso dal sinistro alla morte, in cui il soggetto ha effettivamente sopportato le conseguenze non patrimoniali della lesione alla sua integrità psicofisica, e non invece alla durata della vita futura, rapportata al momento del sinistro e valutata secondo criteri di probabilità statistica (Cass. n. 2297/2011; Cass. n. 23739/2011; Cass. n. 13331/2015; Cass. n. 4551/2019; Cass. n. 41933/2021). E tale applicazione si è fondata sul corretto presupposto che PS sia deceduto per cause indipendenti dal sinistro (p. 6 sentenza di appello), avendo il giudice di appello evidenziato che già il Tribunale aveva "ritenuto insussistente il nesso causale tra il sinistro e la morte del sig. S" (p. 7 della sentenza di appello). Si tratta di una ratio decidendi del tutto intelligibile e, dunque, rispettosa del c.d. minimo costituzionale, che il ricorrente denuncia in modo affatto generico e non concludente (né, peraltro, potendo introdurre ulteriori elementi di censura con la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c., che ha solo funzione illustrativa e non integrativa o emendativa delle originarie doglianze), giacché veicola un vizio di insufficienza della motivazione non più scrutinabile in base al vigente art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., là dove, peraltro, la Corte territoriale ha esaminato il fatto, storico, decisivo della insussistente correlazione causale tra lesioni patite dal S in occasione del sinistro stradale e decesso dello stesso. Peraltro, il ricorrente omette anche di dare contezza (nel rispetto dei principi di specificità e localizzazione processuale, di cui all'art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6, c.p.c.) sia di aver censurato già in sede di gravame in modo congruente ed idoneo quell'accertamento in fatto del Tribunale, sia che la sussistenza del nesso eziologico tra il decesso del S e il sinistro era stata oggetto di allegazione in primo grado da parte della sua dante causa FR , spettando all'attrice la deduzione, e quindi la prova, del fatto costitutivo di una pretesa risarcitoria di più ampia portata rispetto a quella, a titolo di danno biologico iure successionis, per la durata certa della vita dal momento del sinistro a quello della morte del congiunto, avvenuta nel corso di quel giudizio. Sono, quindi, inammissibile le ulteriori deduzioni di parte ricorrente volte a dare rilievo, in questa sede di legittimità, a circostanze di fatto in forza delle quali si intenderebbe dimostrare l'esistenza dell'anzidetto nesso eziologico, in palese contrasto con i limiti imposti al giudizio di cassazione.
4. - Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato, in favore della società controricorrente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo. Non occorre provvedere alla regolamentazione di dette spese nei confronti delle parti rimaste soltanto intimate.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.