Si accende un diverbio sul social tra due ragazze, una insulta l'altra e fa body shaming. Può essere integrato il reato di diffamazione ma l'applicazione della pena detentiva è subordinata alla verifica dell'eccezionale gravità della condotta dal punto di vista oggettivo e soggettivo.
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Ancona ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna di C.P. alla pena di tre mesi di reclusione, per il reato di diffamazione di cui all'art. 595, coma terzo, cod. pen., commesso il 31 ottobre 2014 attraverso la pubblicazione di due post su Facebook, ai danni della minore A.C. (capo B); mentre ha concesso all'imputata il beneficio della non menzione, negato dal Tribunale.
2. Avverso la sentenza ricorre l'imputata, tramite il difensore, articolando quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ex art. 173, comma 1, disp. att. cod proc. pen.
2.1 Con il primo e il secondo contesta la condanna, subita a opera del giudice di secondo grado, alla rifusione delle spese processuali anche in favore di S.C., che non era persona offesa dal reato, che non aveva ottenuto alcun risarcimento in primo grado e che non aveva impugnato la statuizione negativa.
2.2. Con il terzo motivo la ricorrente eccepisce l'estinzione del reato per remissione di querela. La rimessione di querela, effettuata dalla persona offesa a favore di una delle coimputate (E.B.), avrebbe dovuto estendersi alla ricorrente per effetto della previsione dell'art. 155 cod. pen., comma secondo.
2.3. Con il quarto motivo sostiene che i post pubblicati non avrebbero contenuto diffamatorio, sarebbero espressione del diritto di critica, sarebbero "scriminati" o, quantomeno, "attenuanti" ai sensi degli artt. 599 e 62 n. 2 cod. pen.
3. Il ricorso è stato trattato, senza intervento delle parti, nelle forme di cui all'art. 23, comma 8 legge n. 176 del 2020 e successive modifiche. Le parti hanno esposto per iscritto le ragioni a sostegno delle rispettive conclusioni; il difensore dell'imputata ha trasmesso due memorie, in cui espone motivi nuovi e replica alle conclusioni del P.G.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato, agli effetti civili, limitatamente alla condanna in favore di S.C.. Nel resto è infondato; tuttavia deve essere rilevata di ufficio la illegalità della pena detentiva applicata.
2. Il presente processo rappresenta la costola di un procedimento che, in origine, riuniva più capi di imputazione (da A a E) per condotte diffamatorie addebitate, ciascuna, a distinte persone.
2.1. La vicenda concerne la pubblicazione di vari post relativi a una notizia condivisa da D.D. sulla bacheca del proprio profilo Facebook. L'informazione riguardava la ricerca di attori e attrici per film pornografici, che la D. così chiosava: "Avvertite A.C. che la stanno cercando". A quel punto, sulla bacheca, si sono susseguiti vari commenti lesivi dell'onore e della reputazione della minore A.C., commenti che, alla replica di quest'ultima, si rinfocolavano, coinvolgendo anche la madre della ragazza, S.C.. A seguito della querela sporta dalla C. e dalla C., il pubblico ministero ha esercitato l'azione penale nei confronti di tutte le autrici dei post diffamatori, attribuendo a ciascuna imputata la condotta personalmente posta in essere. Quindi, alla odierna ricorrente, si contestava di avere scritto: «"Guerra contro le anoressiche. Ma chi è questa? Mi pare M.J. di faccia; comunque se la piano per il film porno la spezzano. Mangiasse un po' di più che la femmina è bella con due chiappone e due belle tette" e poi, rispondendo alla minore che prefigurava azioni legali, aggiungeva "Invidiose noi? Di cosa? Di te che ti sei rifatta dalla testa ai piedi brutta anoressica del cazzo? Almeno a noi madre natura ci ha fatto belle e non dobbiamo ricorrere alla chirurgia. Ma il buco del culo pure te lo sei rifatto?"» (capo B).
2.1.2. C.P. è stata ammessa al giudizio abbreviato; quindi, nei suoi confronti, il processo ha seguito le forme di cui all'art. 438 cod. proc. pen. e ha avuto ad oggetto il solo capo B), che vede come unica persona offesa A.C. (parte civile che ha dichiarato di accettare il rito abbreviato).
2.1.3. Il Tribunale ha riconosciuto C.P. colpevole del reato ascrittole e l'ha condannata alla pena di mesi tre di reclusione, nonché al risarcimento del danno in favore di A.C.. Nessuna statuizione civile ha riguardato S.C., che non è insorta contro il relativo capo della sentenza. La Corte di appello, con la pronuncia qui impugnata, ha confermato la condanna anche agli effetti civili, riconoscendo il diritto alla rifusione delle spese processuali, non solo alla C. ma anche alla C..
2.2. L'esame delle questioni proposte dal ricorso seguirà un ordine logico.
3. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
3.1. Come osserva la Corte di appello: l'imputata ha formulato una serie di insulti sprezzanti verso la minore; l'offensività dei commenti è indubbia avuto riguardo alle esplicite e volgari espressioni utilizzate che si sono inserite in una sorta di pubblica gogna ad opera del "branco" ai danni di una loro coetanea - la C. - derisa per il suo aspetto fisico (pag. 6 sentenza impugnata).
3.2. Non è ravvisabile l'esimente dell'esercizio di un diritto di critica, poiché le espressioni utilizzate, irridenti e canzonatorie, non si sono innestate in una discussione o a uno scambio di opinioni, ma si sono esaurite in aggressioni gratuite alla sfera personale della persona presa di mira (pag. 7 sentenza impugnata) Al riguardo va rimarcato che: «In tema di diffamazione, nel caso di condotta realizzata attraverso socia/ network, nella valutazione del requisito della continenza, ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si deve tener conto non solo del tenore del linguaggio utilizzato, ma anche dell'eccentricità delle modalità di esercizio della critica, restando fermo il limite del rispetto dei valori fondamentali, che devono ritenersi sempre superati quando la persona offesa, oltre che al ludibrio della sua immagine, sia esposta al pubblico disprezzo» (così Sez. 5, n. 8898 del 18/01/2021, F., Rv. 280571, che si è pronunciata in una fattispecie relativa alla pubblicazione di commenti ad hominem umilianti e ingiustificatamente aggressivi su una bacheca facebook).
3.3. Neppure sussistono i presupposti di cui all'art. 599 cod. pen. (norma speciale rispetto all'art. 62, n. 2, cod. pen., pure evocato in ricorso) dato che nessuna offesa né fatto ingiusto sono ascrivibili alla persona offesa, la quale si è limitata a prospettare l'esercizio di azioni legali nei confronti delle autrici delle diffamazioni (cfr. pag. 7 sentenza impugnata).
4. Il terzo motivo è infondato. L'art. 155, comma secondo, cod. pen. stabilisce che la remissione fatta a favore anche di uno soltanto fra coloro che hanno commesso il reato si estende a tutti. L'effetto estensivo della remissione di querela postula: l'identità del fatto reato (inteso come accadimento storico) e la pluralità degli agenti. Nella specie il fatto-reato oggetto del presente processo riguarda unicamente l'odierna ricorrente: non vi sono altri concorrenti. Ergo la remissione di querela fatta dalla C. in favore di E.B., responsabile di una diversa condotta, non può estendersi all'odierna ricorrente.
5. Il primo e il secondo motivo sono fondati. Come risulta dalla scansione processuale ripercorsa sopra al paragrafo 2, il Tribunale ha condannato l'imputata al risarcimento del danno e alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla sola A.C., unica persona offesa e danneggiata dal reato di cui al capo B) ascritto alla P.. La decisione, peraltro condivisibile, non ha formato di impugnazione; sicché la Corte di appello non avrebbe potuto, come invece ha fatto, condannare l'imputata alla rifusione delle spese del secondo grado in favore di S.C., voi perché, sotto il profilo sostanziale, quest'ultima non poteva vantare alcun diritto risarcitorio, voi perché, sotto il profilo processuale, il giudice di appello non è stato investito di quel profilo decisorio.
5. Va rilevata di ufficio la illegalità della pena detentiva applicata all'imputata nella misura di mesi tre di reclusione.
5.1. Invero, a seguito della sentenza n. 150 del 2021 della Corte costituzionale, l'applicazione della pena detentiva per il delitto di diffamazione a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità è consentita solo in presenza «di eccezionale gravità del fatto, dal punto di vista oggettivo e soggettivo». Prima dell'intervento della Corte Costituzionale una pronuncia della Corte di cassazione si era già espressa nel senso della validità del principio in ogni caso di offesa recata con la stampa o qualsiasi altro mezzo di pubblicità, in particolare tramite internet, anche al di fuori dell'attività giornalistica (Sez. 5, n. 13993 del 17/02/2021, S., Rv. 281024). Il principio della sentenza S. ha anticipato (ricevendo espresso avallo) i contenuti della decisione assunta dalla Consulta all'udienza pubblica del 22 giugno 2021 (sent. n. 150 depositata il 12 luglio 2021 cit.) che - dopo aver dichiarato costituzionalmente illegittima la disposizione dell'art. 13 legge n. 47 del 1948 «nella sua interezza», per contrasto con gli artt. 21 Cast. e 10 CEDU - ha chiarito che l'abolizione della lex specialis non crea un vuoto di tutela poiché si riespande l'ambito precettivo delle norme generali dettate dall'art. 595, commi secondo e terzo cod. pen.. La Corte costituzionale si è interrogata, poi, sulla compatibilità costituzionale del regime sanzionatorio delineato dal citato comma terzo dell'art. 595 cod. pen. (pena detentiva alternativa a quella pecuniaria), offrendo una risposta positiva, purché entro rigorosi limiti, che sono riferiti espressamente all'intera gamma delle ipotesi contemplate dalla norma vale a dire ai casi in cui «l'offesa sia recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico». È utile trascrivere i passaggi fondamentali della sentenza n. 150 del 2021, sì da dare atto non solo del percorso argomentativo ma anche dell'ambito interessato dalla decisione: - «se è vero che la libertà di espressione - in particolare sub specie di diritto di cronaca e di critica esercitato dai giornalisti - costituisce pietra angolare di ogni ordinamento democratico, non è men vero che la reputazione individuale è del pari un diritto inviolabile, strettamente legato alla stessa dignità della persona»; - «aggressioni illegittime a tale diritto compiute attraverso la stampa, o attraverso gli altri mezzi di pubblicità cui si riferisce l'art. 595, terzo comma, cod. pen. - la radio, la televisione, le testate giornalistiche online e gli altri siti internet, i social media, e così via -, possono incidere grandemente sulla vita privata, familiare, sociale, professionale, politica delle vittime. E tali danni sono suscettibili, oggi, di essere enormemente amplificati proprio dai moderni mezzi di comunicazione, che rendono agevolmente reperibili per chiunque, anche a distanza di molti anni, tutti gli addebiti diffamatori associati al nome della vittima»; - «questi pregiudizi debbono essere prevenuti dall'ordinamento con strumenti idonei, necessari e proporzionati, nel quadro di un indispensabile bilanciamento con le contrapposte esigenze di tutela della libertà di manifestazione del pensiero, e del diritto di cronaca e di critica in particolare»; - «tra questi strumenti non può in assoluto escludersi la sanzione detentiva, sempre che la sua applicazione sia circondata da cautele idonee a schermare il rischio di indebita intimidazione esercitato su chi svolga la professione giornalistica. Si deve infatti ritenere che l'inflizione di una pena detentiva in caso di diffamazione compiuta a mezzo della stampa o di altro mezzo di pubblicità non sia di per sé incompatibile con le ragioni di tutela della libertà di manifestazione del pensiero nei casi in cui la diffamazione si caratterizzi per la sua eccezionale gravità»; - chi ponga in essere simili condotte - eserciti o meno la professione giornalistica - certo non svolge la funzione di "cane da guardia" della democrazia, che si attua paradigmaticamente tramite la ricerca e la pubblicazione di verità "scomode"; ma, all'opposto, crea un pericolo per la democrazia, combattendo l'avversario mediante la menzogna, utilizzata come strumento per screditare la sua persona agli occhi della pubblica opinione. Con prevedibili conseguenze distorsive anche rispetto agli esiti delle stesse libere competizioni elettorali»; - «se circoscritta a casi come quelli appena ipotizzati, la previsione astratta e la concreta applicazione di sanzioni detentive non possono, ragionevolmente, produrre effetti di indebita intimidazione nei confronti dell'esercizio della professione giornalistica, e della sua essenziale funzione per la società democratica. Al di fuori di quei casi eccezionali, del resto assai lontani dall'ethos della professione giornalistica, la prospettiva del carcere resterà esclusa per il giornalista, così come per chiunque altro che abbia manifestato attraverso la stampa o altri mezzi di pubblicità la propria opinione»; - «la disposizione ora all'esame - l'art. 595, terzo comma, cod. pen. - deve essere interpretata in maniera conforme a tali premesse. Il potere discrezionale che essa attribuisce al giudice nella scelta tra reclusione (da sei mesi a tre anni) e multa (non inferiore a 516 euro) deve certo essere esercitato tenendo conto dei criteri di commisurazione della pena indicati nell'art. 133 cod. pen., ma anche - e ancor prima - delle indicazioni derivanti dalla Costituzione e dalla CEDU secondo le coordinate interpretative fornite da questa Corte e dalla Corte EDU»; - «ne consegue che il giudice penale dovrà optare per l'ipotesi della reclusione soltanto nei casi di eccezionale gravità del fatto, dal punto di vista oggettivo e soggettivo, rispetto ai quali la pena detentiva risulti proporzionata, secondo i principi poc'anzi declinati; mentre dovrà limitarsi all'applicazione della multa, opportunamente graduata secondo la concreta gravità del fatto, in tutte le altre ipotesi».
5.2. Ne consegue che l'applicazione della pena detentiva - prevista dall'art. 595, comma terzo cod. pen. allorché l'offesa sia recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico - è subordinata alla verifica della "eccezionale gravità" della condotta, che, come osserva Sez. 5, n. 28340 del 25/06/2021. B., Rv. 281602, secondo un'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, va individuata nella diffusione di messaggi diffamatori connotati da discorsi d'odio e di incitazione alla violenza ovvero in campagne di disinformazione gravemente lesive della reputazione della vittima, compiute nella consapevolezza della oggettiva e dimostrabile falsità dei fatti ad essa addebitati.
5.3. Nella specie nessuna valutazione in tal senso è stata compiuta dalla Corte di appello. Spetterà quindi al giudice di rinvio stabilire, in base a un'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata secondo la direttrice teorica segnata dall'intervento della Consulta, se la condotta addebitata al ricorrente rientri nella nozione di eccezionale gravità del fatto di cui si è detto sopra. «Solo nel caso in cui questa verifica si concluda con esito positivo, all'imputato potrà essere conservata la pena detentiva, viceversa da espungere dal quadro sanzionatorio nel caso in cui il giudizio di inquadramento del fatto nella nozione anzidetta si concluda in senso negativo. Il compito del Giudice di merito è tanto più delicato e suggerisce il ricorso ai criteri sopra ricordati - ammonisce la Consulta - allo scopo di evitare la pronuncia di condanne che potrebbero successivamente dar luogo a una responsabilità internazionale dello Stato italiano per violazioni della Convenzione» (così in motivazione Sez. 5, n. 28340 del 25/06/2021 B., cit.).
6. Discende che la sentenza impugnata deve essere annullata: - senza rinvio, agli effetti civili, limitatamente alla condanna alla rifusione delle spese in favore di S.C., condanna che va eliminata; - con rinvio, agli effetti penali, in punto di trattamento sanzionatorio. Nel resto il ricorso va respinto. Con la pronuncia della presente sentenza passa in giudicato, ex art. 624, cod. proc. pen., l'affermazione di responsabilità - oltre che la condanna al risarcimento del danno in favore di C. A. - con conseguente irrilevanza del successivo decorso del termine prescrizionale. La minore età della persona offesa impone, in caso di diffusione del presente provvedimento, di omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, agli effetti civili, limitatamente alla condanna alla rifusione delle spese in favore di S.C., condanna che elimina; annulla la medesima sentenza, agli effetti penali, limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo esame sul punto alla Corte di appello di Perugia. Rigetta nel resto il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03.