Rigettata la richiesta di riqualificare il fatto come truffa aggravata poiché tali beni sono stati consegnati dagli avvocati al pubblico ufficiale in ragione del suo lavoro.
Un cancelliere, addetto al servizio di ricezione e iscrizione a ruolo delle cause civili, era stato ritenuto responsabile di peculato per essersi appropriato di marche da bollo contraffatte e alterate, di cui aveva possesso in quanto consegnatigli da alcuni avvocati per ragioni del suo lavoro. In particolare, l'imputato aveva sostituito i...
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Napoli confermava la pronuncia del 9 dicembre 2020 con la quale il Tribunale di Avellino aveva condannato Fiore G. in relazione ai delitti di cui agli artt. 81, secondo comma, e 314, primo comma, cod. pen. (capo A); 81, secondo comma, 459, 453 n. 4, e 61 n. 2 cod. pen. (capo B), per avere, quale cancelliere in servizio presso l'ufficio del giudice di pace di Lauro, addetto al servizio di ricezione e iscrizione a ruolo delle cause civili, si appropriava di 225 valori bollati, marche da bollo e contributi unificati, di cui 55 contraffatti e 167 alterati nell'importo e nel numero identificativo, di cui aveva il possesso per ragioni del suo ufficio e del suo servizio, in quanto consegnatigli da una serie di avvocati; in particolare, il G. aveva sostituito i bollati autentici consegnatigli dai patrocinatori con altri contraffatti o alterati, che erano stati così detenuti al fine di essere messi in circolazione e per commettere l'indicato peculato; in alcuni casi si era appropriato delle somme di denaro dategli dagli avvocati, successivamente applicando sugli atti valori contraffatti o alterati; in altri casi trattenendo alcune marche da bollo e una somma di denaro, che erano state rinvenute in cassetto della sua scrivania.
2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il G., con atto sottoscritto dal suo difensore, la quale ha dedotto tre motivi.
2.1. Vizio di motivazione, per mancanza, apparenza e contraddittorietà, nonché per travisamento della prova per omissione, per avere la Corte territoriale confermato la pronuncia di condanna di primo grado, omettendo di considerare la documentazione prodotta dalla difesa, idonea a dimostrare che la detenzione o l'utilizzo di valori contraffatti era stato fatto da alcuni avvocati che erano stati coinvolti in altri procedimenti penali.
2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 57, primo comma, e 168, primo comma, cod. proc. civ., e vizio di motivazione, per mancanza e illogicità, per avere la Corte distrettuale sostenuto che l'imputato era stato l'autore di ben 150 note di iscrizione di cause civili a ruolo, senza tenere conto che, in base alle disposizioni dettate dal codice del rito civile, spetta agli avvocati interessati la redazione di quelle note che vengono solo ricevute dal cancelliere addetto alla iscrizione delle cause a ruolo.
2.3. Violazione di legge, in relazione agli artt. 314 e 640, secondo comma, cod. pen., e vizio di motivazione, per illogicità e contraddittorietà, per avere la Corte di appello disatteso la richiesta con la quale la difesa aveva domandato di riqualificare come ipotesi di truffa aggravata i fatti contestati in termini di peculato, posto che l'imputato non aveva mai avuto la disponibilità di denaro o di contrassegni prima che gli stessi gli venissero consegnati dai patrocinatori: sicché l'impossessamento di quei beni era stato solo il frutto dell'attività ingannatoria posta in essere dal prevenuto, il quale, avvalendosi di una prassi invalsa nel suo ufficio, si faceva consegnare i valori 'sciolti' o il denaro corrispettivo delle marche, impegnandosi a incollare i valori oppure ad acquistarli con le somme ricevute.
3. Con memoria trasmessa via pec il 14 aprile 2022, il difensore dell'imputato ha formulato quattro motivi nuovi.
3.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 125 e 546 cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per illogicità e contraddittorietà, per avere la Corte di merito ingiustificatamente sostenuto che, ai fini della qualificazione giuridica dei fatti, fossero irrilevanti le "prassi scorrette" vigenti nell'ufficio; dunque, se i valori erano stati consegnati all'imputato prima dell'impossessamento oppure erano stati a lui dati in conseguenza dell'attività ingannatoria.
3.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 56, 165 e 168 cod. proc. civ., 71 disp. att. cod. proc. civ., 316 cod. pen., per avere la Corte territoriale trascurato che la redazione della nota di iscrizione a ruolo, nota peraltro di dubbia necessità nel procedimento civile dinanzi al giudice di pace, non spetta al cancelliere e la sua stesura da parte di tale pubblico funzionario non può che essere considerato lo strumento per la consumazione di una truffa.
3.3. Violazione di legge, in relazione all'art. 9 d.P.R. n. 115 del 2002, per avere la Corte napoletana omesso di considerare la disciplina riguardante le modalità di riscossione del contributo unificato per l'iscrizione a ruolo delle cause civili.
3.4. Violazione di legge, in relazione agli artt. 322-ter e 322-quater cod. pen., per avere la Corte di appello errato nel computo del prezzo o del profitto, in relazione al quale è stata poi disposta la confisca per equivalente in danno dell'imputato.
Motivi della decisione
1. Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell'interesse di Fiore G. vada rigettato.
2. Il primo e il secondo motivo del ricorso - strettamente connessi tra loro e con i primi tre motivi aggiunti, perciò valutabili unitamente - sono inammissibili perché in sostanza formulati per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
Il ricorrente ha sollecitato una rivalutazione delle emergenze processuali, offrendo una ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a quella prescelta dalla Corte distrettuale con una decisione nella quale non è riconoscibile alcuna incongruenza logica o lacuna motivazionale. Sentenza con la quale in giudici di merito avevano coerentemente spiegato come la responsabilità del G. in ordine ai reati di peculato e detenzione e messa in circolazione di valori di bollo falsificati, fosse stata comprovata dagli esiti degli accertamenti compiuti dagli inquirenti, che, con riferimento agli specifici episodi elencati nell'addebito, avevano accertato come la responsabilità di tali 'operazioni' - concretizzatesi in alcuni casi nell'appropriazione diretta del denaro consegnato dagli utenti, in altri nell'appropriazione delle marche da bollo autentiche - fosse soggettivamente riferibile all'odierno ricorrente: tenuto conto, per un verso, che molti degli avvocati sentiti come testimoni avevano riferito che era prassi dell'ufficio nel quale lavorava il G. che, in occasione della iscrizione della causa a ruolo, il prevenuto ricevesse dai professionisti interessati i valori di bollo non incollati, impegnandosi a curare personalmente l'apposizione di quelle marche, oppure ricevesse dai patrocinatori le somme di denaro necessarie, impegnandosi ad effettuare egli stesso l'acquisto dei valori necessari.
E, per altro verso, che le verifiche tecniche grafologiche eseguite dagli inquirenti avevano permesso di accertare che, oltre a 44 note prive di sottoscrizione ma negativamente qualificate dalla presenza di marche falsificate, in ben 150 casi le note di iscrizione a ruolo, sulle quali erano state applicate 231 marche contraffatte, erano state materialmente redatte (nella parte diversa da quella stampata con strumenti informatici) e sottoscritte proprio dal G.; le altre indagini avevano consentito di appurare che, in moltissimi casi, il predetto, dopo aver ricevuto le somme di denaro necessarie per l'acquisto delle marche da bollo, aveva apposto sugli atti da iscrivere a ruolo bolli contraffatti (dunque, non acquistati) oppure aveva utilizzato tali valori falsificati in sostituzione di quelli autentici consegnati dagli avvocati: contraffazione acclarata perché riguardante marche recanti l'indicazione di un contributo diverso da quello dovuto in ragione al valore della controversia o di una data di emissione di molto successiva o antecedente a quella della iscrizione della causa a ruolo, ovvero in taluni casi caratterizzate da palesi sbavature; in un caso i valori contraffatti identici erano stati apposti sulla stessa nota di iscrizione a ruolo.
Poteva, pertanto, ritenersi dimostrato che il G. si era appropriato delle marche autentiche oppure del denaro consegnatogli e da lui ricevuto in ragione del servizio svolto, sia pur in base ad una prassi diffusa e tollerata, ed aveva poi concorso nella detenzione e messa in circolazione di altrettante marche falsificate: in un siffatto contesto probatorio - nel quale era dato irrilevante l'avvio di indagini in ordine ad un possibile coinvolgimento di alcuni professionisti nella falsificazione di valori, talora concernenti, peraltro, l'utilizzo che era stato fatto in uffici diversi da quello del giudice di pace di Lauro, e, in due casi, dio funzionari diversi dal G.; comunque senza che fosse stato dimostrato un collegamento degli stessi professionisti nelle specifiche attività contestate al G. - non erano stati acquisiti elementi di prova capaci di mettere in discussione la buona fede della gran parte degli avvocati, i quali avevano credibilmente riferito di avere consegnato all'odierno ricorrente valori di bollo autentici, non utilizzati per le cause per le quali era stata chiesta l'iscrizione a ruolo, oppure le corrispondenti somme di denaro che l'imputato si era impegnato ad utilizzare per l'acquisto di marche, in realtà mai comprate.
4. Il terzo motivo del ricorso è infondato.
Premesso che nell'atto di appello la questione della qualificazione giuridica dei fatti accertati era stata posta in termini molto generici, va osservato come nel caso di specie la Corte di appello di Napoli abbia fatto buon governo del principio di diritto, espressione del consolidato orientamento interpretativo offerto dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello di truffa aggravata, ai sensi dell'art. 61 n. 9, cod. pen., va individuato con riferimento alle modalità del possesso del denaro o di altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione, ricorrendo la prima figura quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio se ne appropri avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, e ravvisandosi invece la seconda ipotesi quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene (così, tra le molte, Sez. 6 , n. 46799 del 20/06/2018, Pieretti, Rv. 274282). Regula iuris che si è reputato essere validamente applicabile anche quando - come nella fattispecie è accaduto, senza che risulti accertato il compimento da parte dell'interessato, al momento della ricezione dei beni, di alcun condotta fraudolenta tesa a trarre in inganno gli interlocutori, che anzi avevano effettuato quelle consegne nella consapevolezza di quanto da loro dovuto, sia pur con modalità che agli stessi erano risultate solo più comode - il pubblico funzionario si sia trovato, pur in base a consuetudini irrituali diffuse nell'ufficio nel quale lavora, nelle condizioni di riscuotere e detenere denaro o valori di bollo di pertinenza dell'amministrazione: beni così entrati nella sua disponibilità proprio in ragione del servizio prestato non in maniera occasionale o casuale, e neppure in forma propriamente illegale, ma nell'espletamento di un rapporto giuridico funzionale gestito con modalità tali da consentirgli stabilmente di inserirsi di fatto nel maneggio dei beni medesimi (in questo senso, tra le altre, Sez. 6, Sentenza n. 9660 del 12/02/2015, Zanca, Rv. 262458; Sez. 6, n. 20952 del 13/05/2009, Ingravalle, Rv. 244280; Sez. 6, n. 2969 del 06/10/2004, dep. 2005, Moschi, Rv. 231474; Sez. 6, n. 26081 del 28/04/2004, Torregrossa, Rv. 229743).
Non conduce a differenti conclusioni l'unica pronuncia che parrebbe porsi in termini contrari, secondo cui il possesso del bene oggetto di appropriazione presuppone un titolo di legittimazione che rinvenga la propria causa in disposizioni di legge od organizzative, non essendo sufficiente la mera disponibilità di fatto o occasionale, ovvero conseguente a un'espressa violazione delle norme disciplinanti il maneggio di denaro pubblico (Sez. 6, n. 45084 del 19/01/2021, Genazzani, Rv. 282290): in quanto pronuncia collegabile alle peculiarità del caso trattato in quella occasione, nel quale la Cassazione ha finito per annullare con rinvio la sentenza di condanna relativa all'appropriazione da parte del pubblico funzionario, proprio perché non erano stati compiutamente accertati la legittimità delle prassi seguite e il legame funzionale tra l'attività dell'imputato e la disponibilità di tali somme.
5. Il quarto motivo nuovo, oggetto della memoria difensiva trasmessa ai sensi dell'art. 585, comma 4, cod. proc. pen., è inammissibile perché avente ad oggetto un punto della decisione che non era stato enunciato nell'originario atto di gravame ai sensi dell'art. 581, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.
6. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Alla cancelleria vanno demandati gli adempimenti comunicativi previsti dall'art.
154-ter disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per le comunicazioni di cui all'art. 154-ter disp. att. cod. proc. pen..