La Cassazione ribadisce che non è prevista, quale conditio iuris, la previa richiesta di indennizzo all'INAIL per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti a una malattia contratta sul lavoro.
Due infermieri professionali agivano nei confronti dell'Azienda Ospedaliera per ottenere il risarcimento dei danni anche ai sensi dell'
Sia in primo sia in secondo grado, la domanda risarcitoria veniva respinta, dunque...
Svolgimento del processo
V. O. e V. G., entrambi già dipendenti come infermieri professionali dell’Azienda Ospedaliera di rilievo nazionale e di alta specializzazione Ospedale Civico G. D. – B. (di seguito A.), hanno agito nei confronti di quest’ultima esponendo avere avuto, nel corso della propria attività professionale, ripetuti contatti con emoderivati, di essersi talora anche punti con aghi sporchi di sangue o infetti e chiedendo quindi il risarcimento dei danni, anche ai sensi dell’art. 2087 c.c. così subiti ed imputabili al datore di lavoro;
2. La domanda dei ricorrenti è stata disattesa in primo grado, sul presupposto che non fossero state neppure allegate e tanto meno provate le specificità che avrebbero reso inadeguato il ristoro conseguito o comunque conseguibile per i medesimi fatti dall’I.N.A.I.L.;
la Corte d’Appello di Palermo, decidendo sul gravame avverso la sentenza di primo grado, lo ha parimenti disatteso, affermando che la logica sottesa alla garanzia pubblicistica di assicurare che il datore di lavoro restasse indenne dal rischio economico del verificarsi di incidenti sul lavoro, impedirebbe al lavoratore di accedere per saltum alla tutela risarcitoria civilistica, verso lo stesso datore, configurandosi la liquidazione dell’indennizzo I.N.A.I.L. come condicio iuris della domanda risarcitoria, in difetto della quale il danneggiato non può agire nei confronti del responsabile civile;
la Corte territoriale aggiungeva che il ricorso era peraltro privo di connotati di specificità rispetto al danno alla persona lamentato, sotto il profilo della sua peculiare penosità, della durata della malattia, delle sofferenze psichiche che giustificassero in ipotesi la richiesta del c.d. danno differenziale;
3. I lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione con tre motivi, mentre l’A. è rimasta intimata.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente va detto, essendo l’A. rimasta intimata, che il ricorso per cassazione risulta tempestivamente notificato, in data 19.4.2016, rispetto a sentenza che stata depositata il 28.10.2015 e di cui non emerge la avvenuta notificazione, presso i legali dell’ente avv. Francesco Palma e Caterina Rizzotto, indicati come tali nell’epigrafe della pronuncia impugnata;
2. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 c.c., 13 d. lgs. 38/2000 in combinato disposto con l’art. 10 del t.u. 1124/1965, degli artt. 2059, 1226, 2056 e 1218 c.c., degli artt. 2, 3 e 111, co. 2 Cost., dell’art. 3 della Carta di Nizza, degli artt. 185 e 590 c.p.c. ed infine degli artt. 2729 e 1223 c.c.;
i ricorrenti fanno rilevare di avere addotto fin dal primo grado le conseguenze dannose subite in ragione della malattia contratta e contestano che l’ordinamento preveda, come ritenuto dalla Corte d’Appello, quale condicio iuris la previa richiesta di indennizzo I.N.A.I.L.;
il secondo motivo denuncia invece la violazione o falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) degli artt. 2087 e 2043 c.c., nonché del principio dispositivo di cui all’art. 115 c.p.c. ed erronea valutazione delle risultanze istruttorie in violazione dell’art. 116 c.p.c.;
3. I due motivi possono esser esaminati congiuntamente e sono non è vero che l’ordinamento imponga quale condicio iuris, per chi agisca a titolo di danno nei confronti del proprio datore di lavoro, il previo esperimento delle azioni, amministrative ed eventualmente giudiziali, nei riguardi dell’I.N.A.I.L.;
ciò è già stato implicitamente affermato da questa S.C. – e va qui ribadito – allorquando si è ritenuto che «in tema di danno cd. differenziale, il giudice di merito deve procedere d’ufficio allo scomputo, dall’ammontare liquidato a detto titolo, dell’importo della rendita INAIL, anche se l’istituto assicuratore non abbia, in concreto, provveduto all'indennizzo, trattandosi di questione attinente agli elementi costitutivi della domanda, in quanto l’art. 10 del d.P.R. n. 1124 del 1965, ai commi 6, 7 e 8, fa riferimento a rendita “liquidata a norma”, implicando, quindi, la sola liquidazione, un’operazione contabile astratta, che qualsiasi interprete può eseguire ai fini del calcolo del differenziale» e ciò in quanto
«diversamente opinando, il lavoratore locupleterebbe somme che il datore di lavoro comunque non sarebbe tenuto a pagare, né a lui, perché, anche in caso di responsabilità penale, il risarcimento gli sarebbe dovuto solo per l’eccedenza, né all’INAIL, che può agire in regresso solo per le somme versate; inoltre, la mancata liquidazione dell’indennizzo potrebbe essere dovuta all’inerzia del lavoratore, che non abbia denunciato l’infortunio, o la malattia, o abbia lasciato prescrivere l’azione» (Cass. 31 maggio 2017, n. 13819; principio consolidato, v. Cass. 19 giugno 2020, n. 12041 ed altri precedenti ivi richiamati);
a monte di tali principi sta l’assenza di norme che espressamente impediscano al lavoratore di agire per i danni non coperti dall’assicurazione pubblica, prima che siano state esercitate le pretese riguardanti quest’ultima o i competenti enti si siano espressi, altro piano essendo quello della prova, destinata ad integrarsi, per l’ordinario ricorrere della copertura I.N.A.I.L., nel doveroso ed ineludibile accertamento da parte del giudice, se del caso in via officiosa, della misura di quanto sia stato o avrebbe potuto essere percepito dal lavoratore con l’uso della ordinaria diligenza, sussistendo il diritto al ristoro in favore del lavoratore solo nella misura in cui il danno ecceda, sul piano civilistico, i diritti che l’ordinamento riconosce presso l’ente assicuratore;
3.2 è poi intrinsecamente contraddittoria, date le premesse poste dalla stessa Corte di merito, la successiva affermazione secondo cui mancherebbero nella domanda elementi atti a giustificare la richiesta di danno differenziale, in quanto, se neppure si è ritenuto di esaminare, per la preclusione ritenuta ingiustificatamente esistente, se fosse liquidabile un indennizzo I.N.A.I.L. ed a quanto sarebbe ammontato e per quali voci, non si vede come si possa poi argomentare sull’assenza, nei danni lamentati da chi agisce, di tratti idonei a fondare un quantum differenziale, trattandosi di ragionamento astratto rispetto a fattispecie che postula invece un calcolo in concreto del danno civilistico e quindi una detrazione, secondo i parametri propri del settore (criterio delle c.d. poste omogenee: Cass. 2 aprile 2019, n. 9112) delle somme dovute o pagate dall’ente;
4. Con il terzo motivo si assume che la Corte di merito avrebbe violato l’art. 91 c.p.c. nel non condannare il datore di lavoro a rifondere le spese ai ricorrenti;
il motivo si muove su un presupposto, quello di una soccombenza totale della parte convenuta, che non è tale, perché secondo la sentenza di appello soccombente era invece la parte ricorrente;
vi è dunque un radicale disallineamento rispetto al decisum e pertanto, fermo che la cassazione della sentenza qui disposta comporta comunque la caducazione del capo sulle spese di cui alla sentenza di appello, il motivo, in sé considerato, è inammissibile.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, inammissibile il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Palermo, in diversa composizione.