Gli amministratori responsabili delle condotte che hanno causato lo scioglimento del consiglio comunale non sono solo coloro che hanno favorito le infiltrazioni mafiose mediante condotte commissive, ma anche coloro che, con condotte omissive, non hanno adottato misure idonee a bonificare l'ambiente.
Il Tribunale di Locri dichiarava l'ex sindaco, attuale ricorrente, incandidabile per le successive elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali nell'ambito della Regione calabrese, poiché dalla relazione del Prefetto di Reggio Calabria era emerso il riferimento all'ex sindaco ad ingerenze esterne provenienti da associazioni criminali locali.
A seguito...
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
Il Ministero dell’Interno trasmetteva al Presidente del Tribunale di Locri l’istanza prot. (omissis), in data 02 maggio 2018, per la declaratoria di incandidabilità degli amministratori locali, ai sensi dell’art. 143, c.11, d.lgs. n.267/2000, impugnando il d.P.R. del 27 aprile 2018, con il quale era stata nominata la commissione straordinaria per la gestione del comune di (omissis). Il Presidente del Tribunale di Locri onerava l’Avvocatura dello Stato di notificare agli amministratori interessati il provvedimento di fissazione dell’udienza camerale, cui seguiva, per quel che qui interessa, la notifica all’ex sindaco del detto comune, S.R., che si costituiva in giudizio.
Con decreto del 09 ottobre 2018, il Tribunale di Locri dichiarava che S.R. non poteva essere candidato alle successive elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali nel territorio della Regione e lo condannava alla rifusione delle spese di lite, rilevando che dalla relazione del Prefetto di Reggio Calabria era emerso chiaramente il riferimento all’ex sindaco S., quale figura apicale dell’Amministrazione, ad ingerenze esterne ed in parte asservita alle pressioni inquinanti delle associazioni criminali operanti sul territorio. Tanto inferiva il Tribunale anche avuto riguardo allo scenario di cattiva gestione della cosa pubblica da parte del S..
Il S. proponeva reclamo avverso detto provvedimento innanzi alla Corte di appello di Reggio Calabria che, con decreto n.3739/2021, pubblicato il 2 aprile 2021, lo respingeva rilevando la legittimità della procedura seguita dal Ministero per la rimozione per contiguità mafiosa del S. quale amministratore del Comune e destinatario della richiesta di incandidabilità rivolta al Tribunale di Locri, sulla base di quanto indicato nella relazione del Prefetto di Reggio Calabria, alla quale il Ministero aveva espressamente rinviato quale atto integrante la relativa istanza. La Corte di appello rilevava la diversità netta fra la misura inflitta al S., su proposta del Ministero dell’Interno, di natura preventiva, rispetto alla funzione sanzionatoria propria dell’illecito penale. Riteneva il Collegio evidenti le responsabilità colpose ed omissive del S. rispetto alla gestione dell’amministrazione comunale, fortemente condizionata dal malaffare e dall’organizzazione criminale ‘ndranghetista, alla quale il S. risultava legato, anche dal punto di vista delle relazioni parentali. Tanto la Corte di appello evinceva da una valutazione non atomistica e frazionata, ma complessiva, degli elementi scrutinati e tale da indurre a ritenere il S. incapace di svolgere il proprio ruolo di controllo e vigilanza anche sugli appalti e sulle pratiche di rilascio di titoli concessori, avendo costui trascurato l’adozione di misure volte alla salvaguardia del territorio ed alla gestione dei beni confiscati, ambiti comunque rientranti nella sfera di controllo del sindaco. Secondo la Corte di appello, infatti, ai fini della fondatezza della proposta di incandidabilità, come ritenuta dal Tribunale, non occorreva “…la prova di un ruolo collaborativo dell'amministratore nelle dinamiche delle associazioni criminali, essendo invece rilevante anche un ruolo meramente passivo, che abbia comunque reso l’Amministrazione permeabile alle organizzazioni delinquenziali, o la mancata assunzione di un chiaro distacco da prassi ambigue, favorenti la diffusione e proliferazione del malaffare e da soggetti segnalati o inquisiti dalle forze dell’ordine come dediti all’illecito. Anche siffatta omissione o siffatto atteggiamento passivo integra il collegamento indiretto richiesto dalla norma, imponendo di prendere atto che la carenza di impulso politico amministrativo, omissivo nell’adozione di seri interventi organici e strutturali, ha determinato il ricorso ad affidamenti periodici nei confronti di ditte, senza garanzie di affidamento a termini di rispetto della legalità.” Secondo la Corte di appello, pertanto, una valutazione complessiva ed unitaria degli elementi esaminati consentiva di ritenere acquisiti sufficienti indizi idonei a far ritenere - anche in ragione dei rapporti parentali e personali del S. e degli altri amministratori segnalati nella relazione della Commissione di indagine -, l'esistenza di collegamenti con la criminalità o, comunque, di forme di condizionamento tali da alterare il procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi o amministrativi dell’ente locale e da compromettere il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione o il regolare funzionamento dei servizi pubblici.
In conclusione, secondo la Corte di appello “…I dati esaminati e le considerazioni via via esposte determinano a confermare i presupposti di concretezza, univocità e rilevanza richiesti ai fini della pronunciata declaratoria di incandidabilità, finalizzata ad evitare anche il solo rischio di infiltrazione delle organizzazioni di ‘ndrangheta, che - ciò e` storicamente noto e giudizialmente accertato - sono da lungo tempo operative nell’area geografica ricadente nel Comune di (omissis).”
Il S. ha impugnato il decreto della Corte di appello di Reggio Calabria indicato in epigrafe con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, al quale ha resistito il Ministero dell’Interno.
Non si è costituito il Procuratore generale presso la Corte di appello di Reggio Calabria.
La causa e` stata posta in decisione all’udienza camerale del 5 luglio 2022.
Con il primo motivo il ricorrente deduce l’illegittimità costituzionale dell’art. 143, c.11, TUEL per violazione degli artt. 2, 3, 51 e 111 Cost., nonché per violazione degli artt. 6 e 7 CEDU. Secondo il ricorrente l’incandidabilità, per come disciplinata da tale disposizione, avrebbe la natura di una vera e propria sanzione penale, da tanto conseguendo l’incostituzionalità del quadro normativo di riferimento, in relazione all’assenza delle garanzie proprie del processo penale rispetto all’inflizione della grave sanzione dell’incandidabilità.
Il motivo e` inammissibile, ai sensi dell’art. 380-bis c.1 c.p.c., scontrandosi con la consolidata giurisprudenza di questa Corte che ha reiteratamente escluso, con pronunzie anche a Sezioni Unite, la natura penale della misura dell’incandidabilità prevista dall’art. 143, c.11, TUEL. Si è infatti ritenuto, in questa prospettiva, che la dichiarazione di incandidabilità degli amministratori che "hanno dato causa allo scioglimento dei consigli comunali o provinciali" prevista dal d.lgs. n. 267 del 2000, art. 143, comma 11, non impone la verifica della commissione di un illecito penale o dell'esistenza dei presupposti per l'applicazione di una misura di prevenzione, né l'adozione, nel corso del relativo procedimento, delle garanzie previste per l'applicazione delle sanzioni penali. Non si tratta, infatti, di una misura sanzionatoria secondo i principi elaborati dalla Corte Edu, ma di una misura interdittiva di carattere preventivo, i cui presupposti di applicazione sono ben individuati e, quindi, prevedibili, peraltro disposta all'esito di un procedimento che si svolge nel pieno contraddittorio delle parti (v. Cass. n. 15038/2018).
Ed infatti, come hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte, "La misura interdittiva della incandidabilità dell'amministratore responsabile delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento del consiglio comunale conseguente a fenomeni di infiltrazione di tipo mafioso o similare nel tessuto istituzionale locale, privando temporaneamente il predetto soggetto della possibilità di candidarsi nell'ambito di competizioni elettorali destinate a svolgersi nello stesso territorio regionale, rappresenta un rimedio di extrema ratio volto ad evitare il ricrearsi delle situazioni che la misura dissolutoria ha inteso ovviare, e a salvaguardare così beni primari dell'intera collettività nazionale - accanto alla sicurezza pubblica, la trasparenza e il buon andamento delle amministrazioni comunali nonché il regolare funzionamento dei servizi loro affidati, capaci di alimentare la credibilità delle amministrazioni locali presso il pubblico e il rapporto di fiducia dei cittadini verso le istituzioni -, beni compromessi o messi in pericolo, non solo dalla collusione tra amministratori locali e criminalità organizzata, ma anche dal condizionamento comunque subito dai primi, non fronteggiabile, secondo la scelta non irragionevolmente compiuta dal legislatore, con altri apparati preventivi o sanzionatori dell'ordinamento". Sulla base degli affermati principi, pertanto, la predetta scelta legislativa per la sanzione in questione non è stata ritenuta in contrasto con la Costituzione - Cass. S.U. n. 1747/2015; nel medesimo senso della manifesta infondatezza, cfr. Cass. n. 1333/2017, conf. Cass. n. 8056/2022 -.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per violazione o falsa applicazione dell’art. 143, commi 4° e 11°, TUEL, perché privo dell’indicazione degli ex amministratori ritenuti responsabili dello scioglimento del consiglio comunale di (omissis).
La censura è inammissibile e comunque infondata, scontrandosi con un accertamento di fatto, compiuto dalla Corte di appello, in ordine alla completa indicazione, nella proposta del Ministero, del S. quale amministratore ritenuto responsabile dei fatti che avevano condotto allo scioglimento del consiglio del Comune di (omissis) per condizionamenti derivanti da organizzazioni criminali, alla quale era altresì allegata la relazione del Prefetto di Reggio Calabria. Accertamento che non è sindacabile in questa sede, da tanto conseguendo l’inammissibilità del motivo.
In ogni caso, va evidenziato che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la speciale modalità di introduzione del giudizio prevista dal d.lgs. n. 267 del 2000, all’art. 143, c.11, mediante l'atto di trasmissione ministeriale, rappresenta una deroga alle regole comuni. Tale atto di impulso non è perciò tenuto a soddisfare i requisiti ordinari e, in particolare, le previsioni di cui all'art. 125 c.p.c., non risultando nullo qualora ometta di indicare nominativamente gli amministratori coinvolti nella procedura, o comunque non provveda ad esplicita menzione delle specifiche condotte agli stessi attribuite, in quanto rivelatrici della permeabilità dell'amministrazione locale alle influenze inquinanti delle consorterie criminali (Cass. n. 10780/2019, Cass. n. 41736/2021, Cass. n. 3253/2022 e Cass. n. 14584/2022). Si è ancora espressamente affermato che “La proposta ministeriale e` il solo legittimo atto introduttivo dello speciale giudizio con il quale il legislatore, per un verso, ha derogato al disposto dell'art. 737 c.p.c. sulla "editio actionis" e, per altro verso, non ne ha consentito la sostituzione con atti diversi dalla proposta in questione (cfr. Cass. n. 516/2017).
Nella specie, la Corte di appello di Reggio Calabria, come già ricordato, ha dato atto che la proposta del Ministero dell'Interno di scioglimento del consiglio comunale, oltre a compiutamente indicare i fatti a sostegno della richiesta di incandidabilità, ha rinviato alla relazione del Prefetto per la specifica menzione dei soggetti ritenuti responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento, tra questi indicando espressamente, per quel che qui rileva, il S..
Con il terzo motivo si deduce, infine, la violazione o falsa applicazione dell’art. 143, c.4, TUEL, nella parte in cui sono stati ritenuti sussistenti i presupposti di legge per l’applicazione della sanzione della incandidabilità. Il ricorrente assume che la Corte di appello avrebbe disatteso le caratteristiche ed i presupposti che - secondo la giurisprudenza costituzionale - devono presidiare la sanzione della incandidabilità, fondando la relativa decisione su elementi congetturali ed approssimativi contenuti nella relazione prefettizia e nella proposta ministeriale, peraltro, non direttamente riferibili al S.. Secondo il ricorrente, irrilevante sarebbe il contenuto della relazione dell’Arma dei Carabinieri del comando di Reggio Calabria del 19 febbraio 2018, riferibile a fatti riguardanti la situazione del Comune di (omissis) risalenti all’anno 2016. Parimenti privi di significato sarebbero la frequentazione ed il rapporto di parentela del ricorrente con il suocero S.D., anche considerando l’impegno del S.R. contro la criminalità organizzata, già espresso dal Prefetto -dott. T.- il 22 giugno 2016, in sede di adizione presso la commissione antimafia. Quanto agli affidamenti pubblici, secondo il ricorrente gli stessi non sarebbero mai stati assegnati ad imprese coinvolte in ambienti criminosi, anzi risultando che, laddove erano emerse tali infiltrazioni, l’amministrazione comunale non aveva più affidato appalti, avendo esso ricorrente per il resto attinto al registro della Prefettura di Reggio Calabria per la scelta dei fornitori. Anche la questione relativa alla tutela del territorio sarebbe stata mal richiamata dalla Corte di appello, esulando dai compiti del sindaco le competenze funzionali in materia né potendosi allo stesso addebitare la mancata adozione del Piano Strutturale Comunale (PSC) e del Regolamento Edilizio Comunale (REC). Parimenti irrilevante avrebbe dovuto essere la questione dell’affidamento ad impresa inquinata da infiltrazioni mafiose della raccolta dei rifiuti nella frazione di (omissis), dipendendo dalla precedente gestione commissariale. Sulla base di tali elementi la decisione impugnata sarebbe in contrasto con i principi espressi anche a Sezioni Unite da questa Corte a proposito della sanzione dell’incandidabilità, non potendosi la stessa ricondurre in via automatica allo scioglimento dei consigli elettivi, piuttosto abbisognando della dimostrazione di condotte concrete, univoche e rilevanti, ascrivibili anche per colpa all’amministratore, capaci di corroborare “la presenza di elementi su collegamenti o forme di condizionamento che consentano di individuare la sussistenza di un rapporto fra gli amministratori e la criminalità organizzata”.
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
Il ricorrente, per l’un verso, tenta di operare una rilettura del materiale probatorio utilizzato dalla Corte di appello per sostenere l’esistenza dei presupposti giustificativi della misura dell’incandidabilità attraverso la parcellizzazione degli stessi, in netto ed univoco contrasto con le valutazioni espressamente offerte dalla Corte di appello a proposito della necessità di cogliere, nella pluralità di elementi individuali, in sé poco rilevanti, l’esistenza di un quadro complessivamente capace di dimostrare l’esistenza di condizionamenti gravi nella gestione dell’amministrazione comunale da parte dalla criminalità organizzata.
Si è visto, sul punto, che la Corte di appello, partendo da dati di comune esperienza in ordine alla collocazione territoriale del comune di (omissis) all’interno di un territorio fortemente condizionato dalla ‘ndrangheta, proprio per quanto analiticamente indicato dalla relazione del comando provinciale dei Carabinieri, ha individuato in modo analitico tutti gli elementi dai quali poter trarre il convincimento del forte condizionamento prodotto dalle organizzazioni criminali sulla gestione dell’amministrazione comunale retta dall’ex sindaco S.R., allo stesso imputando fatti ed evenienze concrete e responsabilità di natura colposa ed omissiva.
Tanto la Corte di Appello ha tratto nel pieno rispetto dei principi più volte affermati da questa Corte. Ed infatti, la giurisprudenza della Cassazione è ferma nel ritenere che, in tema di accertamento dell'incandidabilità a cariche pubbliche negli enti locali, nel caso in cui, alla luce di una visione di insieme della congerie istruttoria disponibile, risulti che l'amministratore, anche solo per colpa, sia venuto meno agli obblighi di vigilanza, indirizzo e controllo previsti dal d.lgs. n. 267 del 2000, art. 50, c.2, art. 54, c.1, lett. c) e art. 107, c.1, tale condotta deve considerarsi di per sé sufficiente ad integrare i presupposti per l'applicazione della misura interdittiva prevista dall'art. 143, c.11, d.lgs. cit., così come risultante dalla sostituzione operata dalla L. n. 94 del 2009, art. 2, c.30, atteso che la finalità perseguita dalla norma è proprio quella di evitare il rischio che quanti abbiano cagionato il grave dissesto dell'amministrazione comunale, rendendo possibili ingerenze al suo interno delle associazioni criminali, possano aspirare a ricoprire cariche identiche o simili a quelle già rivestite e, in tal modo, potenzialmente perpetuare l'ingerenza inquinante nella vita delle amministrazioni democratiche locali (Cass., S.U., n. 1747/2015 cit., Cass., n. 2749/2021, Cass., n. 14584/2022).
Nel caso concreto, premesso che il procedimento in questione tende ad un accertamento ben diverso da quello penale, la Corte di appello ha effettuato una valutazione d'insieme e non frazionata degli elementi acquisiti, pervenendo al convincimento che l'operato del ricorrente, esaminato nel suo complesso, abbia costituito quantomeno concausa del provvedimento di scioglimento del consiglio comunale, fondato sul rilievo dell'influenza e del condizionamento da parte delle organizzazioni criminali, molto attive e pericolose in Calabria, sul funzionamento del Comune.
Ed invero, si è reiteratamente affermato, come pure ha dato conto la Corte di appello di Reggio Calabria nel provvedimento qui impugnato che per l'irrogazione della sanzione dell’incandidabilità occorre la configurabilità di una personale ed individuata responsabilità nella realizzazione di condotte tali da determinare lo scioglimento previsto dal citato art. 143, c.1, TUEL.
Pertanto, affinché scatti la misura dell’incandidabilità elettorale, e` necessario che la responsabilità dell'amministratore nel grave stato di degrado amministrativo sia causa di scioglimento del consiglio comunale. Ragion per cui è sufficiente che sussista per colpa dello stesso amministratore una situazione di cattiva gestione della cosa pubblica aperta alle ingerenze esterne ed asservita alle pressioni inquinanti delle associazioni criminali operanti sul territorio (Cass., S.U., n. 1747/2015 cit., Cass. n. 3857/2020).
Ne consegue che la responsabilità degli amministratori può discendere da condotte non soltanto commissive, ma anche omissive, ove dette condotte abbiano dato causa allo scioglimento dell'organo consiliare o, comunque, ne siano state una concausa (Cass., n. 3024/2019).
Si è peraltro chiarito che il dar corso alla cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle ingerenze esterne ed asservita alle pressioni inquinanti delle associazioni criminali operanti sul territorio, può realizzarsi anche unicamente omettendo di assumere, sia pure soltanto per colpa, quelle determinazioni utili a rimediare alla situazione di cattiva gestione, quantunque ereditata da precedenti consiliature. Detto principio, si è aggiunto, si giustifica per l'ovvia considerazione che le infiltrazioni mafiose contro le quali la norma si indirizza, ove tuttora in atto, debbono essere debellate indipendentemente dal momento in cui si siano generate, e cioè, sia se esse siano state favorite dal consiglio in essere, sia se siano insorte nel corso di una consiliatura precedente e non siano state estirpate nell'ambito di quella successiva. Ne consegue che “lo scioglimento ben può essere disposto a causa di infiltrazioni precedentemente insorte, ove l'attuale consiglio, in presenza di collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, non abbia provveduto a reciderle: e, dunque, non v'e` dubbio che ‘amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento’ non siano soltanto coloro i quali hanno favorito con condotte commissive i fenomeni di infiltrazione mafiosa che la norma intende contrastare, ma possono essere anche coloro i quali, a causa di condotte omissive, beninteso sempre in presenza dei detti collegamenti ovvero forme di condizionamento, non abbiano adottato le misure idonee a bonificare l'ambiente” -cfr. Cass., n. 3857/2020-.
Orbene, a tali principi si è pienamente conformato il giudice di appello calabrese, analizzando gli elementi capaci di dimostrare le responsabilità colpose, omissive e gestionali dell’ex sindaco di (omissis), come tali idonee, per un verso, a propagare i condizionamenti del sistema criminale radicato nel territorio all’interno della macchina amministrativa comunale e, per altro verso, a denotare la non opposizione ad una situazione di inefficienza ed illegalità amministrativa, la cui repressione rientrava pienamente nei compiti del sindaco.
La diversa valutazione che il ricorrente offre dei singoli episodi, tentando di depotenziarne il valore si scontra con i limiti del sindacato riservato a questa Corte e, per il resto, è - come detto - destituita di fondamento.
Il ricorso va quindi rigettato.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell'art. 13, comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell'art. 1-bis dello stesso art. 13.
Rigetta il ricorso.
P.Q.M.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore del Ministero dell’Interno in euro 5.000,00 per compensi, oltre euro 200,00 per esborsi.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell'art. 1-bis dello stesso art. 13.