Risposta negativa dalla Cassazione, la quale precisa che l'ex proprietario deve confutare le singole voci di spesa che ritiene non dovute e non limitarsi a contestare solo il documento nella sua globalità. Tuttavia, la delibera conserva un valore probatorio intrinseco del credito vantato dal Condominio.
L'attuale ricorrente proponeva opposizione avverso due decreti ingiuntivi richiesti dal supercondominio e dal condominio di un complesso immobiliare per il pagamento degli oneri condominiali dalle rispettive assemblee. Il
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
Con distinti atti di citazione P.L. propose opposizione a due decreti ingiuntivi richiesti, il primo, dal supercondominio di via (omissis) – via (omissis) di Milano e, il secondo, dal condominio di via (omissis), per il pagamento di oneri condominiali approvati dalle rispettive assemblee nel 2008 e relativi ad annualità precedenti l’alienazione dell’immobile da parte dell’opponente.
Riuniti i giudizi, il Giudice di pace di Milano annullò i decreti ingiuntivi opposti ma la relativa decisione venne riformata in grado di appello dal Tribunale, che con sentenza n. 2759 del 2. 3. 2015 revocò il decreto ingiuntivo emesso in favore del supercondominio di via (omissis) – via (omissis), condannando l’opponente al pagamento della minor somma di euro 1.691,13, e rigettò invece l’opposizione nei confronti del provvedimento monitorio richiesto dal condominio di via (omissis). A sostegno della conclusione accolta il tribunale, ritenuta l’ammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 342 cod. proc. civ., affermò che le somme ingiunte erano a carico dell’opponente, riferendosi a spese condominiali relative al periodo, precedente la vendita, in cui egli era ancora proprietario dell’immobile; che la circostanza che, al momento della proposizione dei ricorsi monitori, il P. non fosse più proprietario del bene, se rendeva non applicabile nei suoi confronti la disposizione di cui all’art. 63 disp. att. cod. civ., non esimeva comunque dall’accertamento della fondatezza delle pretese creditorie fatte valere contro di lui dagli enti condominiali; che i crediti fatti valere in giudizio risultavano dalle delibere assembleari del 9. 1. 2008 del condominio e del 9. 10. 2008 del supercondominio di approvazione dei consuntivi di gestione 2006/2007 e 2007/2008, divenute definitive a seguito della loro mancata impugnazione; che le predette delibere avevano approvato anche lo stato di ripartizione della spesa; che il versamento di euro 1.586,66, effettuato dagli acquirenti del suo immobile, O. e B., per le suddette spese di gestione, era stato conteggiato dal supercondominio, mentre era rimasto indimostrata l’asserzione che l’amministratore avrebbe riconosciuto su tale importo un loro credito di euro 640,30; che la deduzione di nullità della delibera del 9. 10.
Relativamente all’importo di euro 585,75 a titolo di “addebito per spese personali” era superata dalla mancata impugnativa della delibera stessa ed era comunque inammissibile in quanto sollevata tardivamente in appello.
Per la cassazione di questa sentenza, con atto notificato il 28. 9. 2015, ricorre P.L., sulla base di sei motivi.
Resistono con un unico controricorso il supercondominio di via (omissis) – via (omissis) di Milano ed il condominio di via (omissis) di Milano.
La causa è stata avviata in decisione in adunanza camerale non partecipata. Il ricorrente ha depositato memoria.
Con ordinanza del 15. 5. 2020 la causa è stata rimessa a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni unite di questa Corte sulla questione sollevata con ordinanza interlocutoria n. 24476 del 2019.
E’ stata quindi fissata la data della nuova camera di consiglio, in prossimità della quale il ricorrente ha depositato ulteriore memoria.
Il primo motivo di ricorso, che denunzia violazione degli artt. 638, comma 1, 125, 167, 163, comma 1 n. 4, e 342 cod. proc. civ., lamenta che il Tribunale abbia respinto l’eccezione di inammissibilità dell’atto di appello avanzato dalle controparti per omessa esposizione dei fatti costitutivi delle pretese creditori azionate, reputando erroneamente che essi si identificassero nelle delibere condominiali di approvazione dei bilanci, laddove le parti opposte avrebbero dovuto dare la prova del loro credito, mediante la produzione in giudizio, mai avvenuta, degli specifici impegni di spesa affrontati. Ciò in quanto, non essendo l’opponente al momento della delibera più condomino, egli non poteva partecipare all’assemblea ed impugnare le relative decisioni.
Il motivo non merita accoglimento.
Le censure sollevate, per il tema affrontato, rendono opportuno il richiamo ad alcune norme e principi che regolano la posizione che viene ad assumere il condomino in conseguenza della vendita della propria unità immobiliare.
Può al riguardo partirsi da due affermazioni di carattere generale, più volte ribadite dalla giurisprudenza di questa Corte, cui sono legate implicazioni e conseguenze giuridiche che meritano di essere a loro volta esaminate e chiarite.
La prima è che il condomino che venda la propria unità immobiliare è tenuto al pagamento delle spese di gestione fatte nel periodo in cui era proprietario (Cass. n. 14531 del 2022; Cass. n. 11199 del 2021; Cass. n. 15547 del 2017; Cass. n. 1956 del 2000; Cass. n. 981 del 1998).
Il principio è diretta conseguenza della natura propter rem delle obbligazioni che sorgono per effetto di tali spese ed è affermato esplicitamente dall’art. 1123 cod. civ., oltre a ricevere dirette conferme da altre disposizioni, tra cui quella dettata dall’art. 63 disp. att. cod. civ., laddove prevede, al comma 4, un’obbligazione solidale autonoma, non propter rem, a carico dell’acquirente per i contributi maturati nell’anno in corso ed in quello precedente la vendita (Cass. n. 21860 del 2020), la quale presuppone l’esistenza di una obbligazione principale a carico dell’ex proprietario, e, al comma successivo, l’obbligo, sempre in via solidale, dello stesso per i contributi maturati fino alla comunicazione all’amministratore dell’atto di cessione del bene.
La seconda affermazione è che il condomino che vende non può più considerarsi tale, ma diventa soggetto estraneo al condominio (Cass. n. 23345 del 2008; Cass. n. 9 del 1990). La posizione di condomino è assunta, per effetto della cessione, dal nuovo proprietario.
Da tale seconda affermazione discende, quale corollario, che il cedente, non essendo più condomino, non ha alcun titolo per partecipare alle assemblee condominiali né può considerarsi vincolato dalle sue deliberazioni. L’art. 1137, comma 1, cod. civ. stabilisce che le deliberazioni dell’assemblea sono obbligatorie per tutti i condomini e tale principio comporta, in negativo, che esse non sono vincolanti per coloro che sono estranei alla compagine condominiale.
Ne deriva che non ha senso porre il tema, nei confronti dell’ex condomino, della definitività della delibera condominiale per mancata impugnazione, dal momento che questi non può, non avendone la legittimazione, proporla e che, inoltre, le contestazioni che egli dovesse eventualmente sollevare in giudizio nei confronti della stessa sfuggono alla stessa logica della distinzione tra cause di annullabilità e cause di nullità della delibera, che può porsi esclusivamente rispetto alle impugnative proposte dai condòmini.
Sorge per effetto la questione, posta dal motivo di ricorso in esame, sia pure sotto il profilo dell’onere della prova nel conseguente giudizio promosso dal condominio per il pagamento dei contributi, di delineare la posizione dell’ex condomino a fronte della delibera di approvazione del rendiconto, per le spese che, come sopra precisato, sono a suo carico, in quanto effettuate prima della vendita, ma approvate senza la sua partecipazione, e della correlata posizione del condominio diretta a far valere la propria pretesa nei confronti di chi ne è, come sopra precisato, direttamente obbligato.
Sul tema della posizione dell’ex condomino nei confronti dell’assemblea condominiale tenutasi successivamente alla cessione del suo appartamento, si registrano alcune pronunce di questa Corte secondo cui il venditore, non più legittimato a partecipare direttamente alla assemblea, può tuttavia far valere le sue ragioni connesse al pagamento dei contributi relativi al periodo in cui era proprietario attraverso l'acquirente che gli è subentrato, e per il quale, anche in relazione al vincolo di solidarietà, si configura una gestione di affari non rappresentativa, che importa obbligazioni analoghe a quelle derivanti da un mandato, e fra queste quella di partecipare alle assemblee condominiali e di rappresentare e far valere, in esse, anche le ragioni del suo dante causa ( Cass. n. 23345 del 2008; Cass. n. 9 del 1990). Al di là delle critiche, sollevate anche dalla dottrina, che possono muoversi a tale ricostruzione, con riferimento in particolare alla sussistenza dei presupposti della figura della gestione di affari, atteso che la mancata partecipazione del venditore all’assemblea ha origine dalla mancanza di un titolo legittimante e non da un impedimento di fatto, si tratta però di pronunciamenti non particolarmente significativi ai fini della soluzione della questione in esame, una volta che si consideri che le decisioni richiamate non si spingono ad affermare che, per effetto della rappresentanza di interessi in assemblea da parte dell’acquirente, la relativa deliberazione abbia efficacia vincolante anche nei confronti dell’ex proprietario. Il richiamato indirizzo sembra quindi porsi nel solco o quanto meno non in contrasto con l’orientamento che disconosce tale efficacia.
Si ritine, invece, che la soluzione della questione posta debba muovere dalla considerazione che, come questa Corte ha ripetutamente affermato, l’obbligo del condomino di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell'edificio deriva non dalla preventiva approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, ma dalla concreta attuazione dell'attività di manutenzione e sorge quindi per effetto dell'attività gestionale concretamente compiuta. Con la conseguenza che l'eventuale venir meno della delibera per invalidità non comporta anche l'insussistenza del diritto del condominio di pretendere la contribuzione alle spese per i beni e servizi comuni di fatto erogati (Cass. n. 4672 del 2017; Cass. n. 19519 del 2005; Cass. n. 857 del 2000).
Con ciò si vuol dire che, a differenza di quella che approva l’esecuzione di lavori straordinari, che ha valore costitutivo del relativo obbligo di contribuzione (Cass. n. 18793 del 2020; Cass. n. 25839 del 2019; Cass. n. 10235 del 2013), la delibera dell’assemblea condominiale che approva il rendiconto è innovativa soltanto per la parte che approva il documento contabile, cui la legge riconduce determinati effetti, non con riguardo al suo contenuto, cioè alla rendicontazione delle spese effettuate, nei cui confronti ha un valore ricognitivo o dichiarativo.
In tale prospettiva va quindi considerato e valutato il principio secondo cui la delibera assembleare non è vincolante nei confronti di chi, avendo venduto l’immobile ad un terzo, non rivesta più, al momento dell’assemblea, la qualità di condomino. Il fatto che la delibera non sia vincolante per l’ex proprietario si traduce infatti nella possibilità di sollevare avverso di essa contestazioni liberamente, non astrette nel termine ed alle regole che disciplinano l’impugnativa da parte dei condomini ai sensi dell’art. 1137 cod. civ. , ma non significa, per contro, che essa sia del tutto irrilevante nel rapporto di credito e debito tra il condominio e l’ex condomino. Il meccanismo di formazione dei debiti a carico dei partecipanti al condominio, correlato alle spese effettuate per la gestione delle cose comuni dall’amministrazione quale mandatario, e la natura ricognitiva e non innovativa del rendiconto, portano infatti a ravvisare in essa l’atto rappresentativo, conforme al modello legale, delle spese effettuate per la gestione dei beni comuni e dei conseguenti obblighi di contribuzione a carico dei condomini, già sorti in forza dell’attività di gestione.
In tali termini la delibera de qua si configura quindi come un documento ricognitivo e quindi rappresentativo che, seppure non vincolante nei confronti dell’ex condomino, nel senso sopra precisato, ha tuttavia un valore probatorio intrinseco del credito vantato dal condominio, suscettibile di valutazione da parte del giudice, ai sensi dell’art. 116 cod. proc. civ.
Ne discende che l’ex condomino non può limitarsi a contestare il documento nella sua globalità, deducendo la mera non vincolatività della delibera nei suoi confronti, ma è tenuto a contestare, in relazione al rendiconto approvato, le singole voci di spesa per cui ritiene non dovuti i contributi, restando a carico del condominio, in tal caso, l’onere di provare, in relazione ad esse, il fondamento della propria pretesa.
Va disatteso, pertanto, l’assunto del ricorrente secondo cui il condominio avrebbe dovuto provare il credito mediante la produzione in giudizio di tutta la documentazione attestante le spese effettuate, pur in difetto di contestazioni specifiche, adempimento che si configura, altresì, come un onere eccessivo ed esorbitante anche per l’impegno che richiederebbe alle parti ed al giudice nell’attività istruttoria.
Il primo motivo di ricorso è pertanto respinto.
Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 63, comma 1, disp. att. cod. civ., censurando la sentenza impugnata per avere affermato, da un lato, che l’opponente, non essendo più condomino, non poteva essere destinatario dell’ingiunzione emessa ai sensi della disposizione citata, dall’altro omesso di revocate il decreto ingiuntivo richiesto dal condominio, con ogni conseguenza anche sulle spese.
Il motivo è infondato.
La considerazione secondo cui l’alienante dell’immobile, per effetto della vendita, non sia più condomino comporta, come conseguenza, l’inapplicabilità della disposizione di cui all’art. 63, comma 1, disp. att. cod. civ., che consente all’amministratore, sulla base dello stato di ripartizione della spese approvato dall’assemblea, di ottenere decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo a carico del condomino inadempiente. Tale conseguenza, tuttavia, comporta che l’amministratore non possa ottenere nei confronti dell’ex condomino la provvisoria esecuzione del decreto, che sarebbe altrimenti automatica in quanto prevista espressamente dalla legge, ma non esclude che possa avvalersi della procedura monitoria, ai sensi della norma generale posta dall’art. 633 cod. proc. civ. Procedura che, merita aggiungere, può contare sulla produzione da parte dell’amministratore di condominio della delibera di approvazione di rendiconto e di ripartizione della spesa, a cui va riconosciuta, per le ragioni esposte in sede di trattazione del motivo precedente, valore di prova anche nei confronti dell’ex condomino, sia pure sottoposta, in questo caso, alla prudente valutazione da parte del giudice chiamato ad emettere l’ingiunzione.
La decisione del Tribunale che, pur ribadendo il richiamato principio della inutilizzabilità, nella fattispecie concreta, dell’art. 63 citato, non ha proceduto tuttavia alla revoca del decreto ingiuntivo appare pertanto corretta e si sottrae alla censura sollevata.
Il terzo motivo di ricorso denunzia vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere il Tribunale affermato che il verbale di assemblea condominiale posto a base delle pretese monitorie contenesse anche l’approvazione del piano di riparto.
Il mezzo è inammissibile, in quanto l’affermazione del Tribunale secondo cui le delibere assembleari di approvazione dei consuntivi di gestione 2006/2007 e 2007/2008 contenessero anche la relativa ripartizione millesimale costituisce un accertamento di fatto, che avrebbe potuto essere contestato solo con lo speciale rimedio della revocazione ex art. 395 n. 4 cod. proc. civ. In disparte la considerazione che il riparto della spesa approvata sulla base della tabella millesimale integra una mera operazione materiale, la cui mancanza non incide sulle condizioni di liquidità ed esigibilità del credito (Cass. n. 4672 del 2017).
Il quarto motivo di ricorso denunzia vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo, per avere il Tribunale ritenuto che il pagamento della somma di euro 1.586,66 effettuato dai nuovi proprietari, aventi causa del bene dell’opponente, non fosse imputabile al debito scaduto.
Il motivo è inammissibile, in quanto non investe la ratio della decisione impugnata, che ha disatteso l’eccezione difensiva sulla base del rilievo, che il tribunale ha tratto direttamente dai conteggi esposti nel ricorso monitorio, che la somma suddetta era stata dedotta dal supercondominio dal credito azionato (pag. 5 della sentenza).
Il quinto motivo di ricorso denunzia vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo, per non avere il Tribunale esaminato nel dettaglio i fatti di causa, nonché le eccezioni dell’opponente con riguardo alla carenza di prova degli importi richiesti.
Il motivo è inammissibile per genericità e comunque infondato alla luce delle considerazioni svolte in sede di esame del primo motivo.
Il sesto motivo di ricorso denunzia vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per non avere il Tribunale esaminato l’eccezione dell’opponente di nullità della delibera condominiale di approvazione del bilancio con riguardo all’addebito dell’importo di 585,75 a titolo di “ spese personali “, iscrizione che certamente evade dalle competenze dell’assemblea di condominio, che, si assume, non ha il potere di addebitare unilateralmente al singolo condomino un debito individuale.
Il mezzo è fondato.
Va premesso, sulla base della lettura degli atti del giudizio di cassazione, che il motivo riguarda la posta riportata nel rendiconto approvato dall’assemblea del 9. 10. 2008 del supercondominio di via (omissis) – via (omissis) di (omissis) e quindi investe la sola posizione di quest’ultimo e non anche quella del condominio di via (omissis) di Milano.
Ciò precisato, la censura è fondata atteso che, richiamate le argomentazioni svolte in occasione dell’esame del primo motivo, ha errato il Tribunale nel ritenere preclusa la contestazione a causa della mancata impugnativa della delibera di rendiconto del 19. 10. 2008, tralasciando di considerare che l’opponente, non essendo più condomino, non aveva legittimazione a proporla. Per la medesima ragione non è condivisibile il rilevo della sentenza impugnata laddove ha ritenuto inammissibile, perché proposta solo in grado di appello, l’eccezione sollevata dalla parte di nullità della delibera sul punto, collegandosi anch’essa ad un potere di impugnativa che spetta soltanto al condomino.
Va altresì ribadito il principio che l’ex condomino, se non può limitarsi a contestare il documento nella sua globalità, deducendo la mera non vincolatività della delibera nei suoi confronti, ha tuttavia pieno titolo a contestare, in relazione al rendiconto approvato, le singole voci di spesa per cui non ritiene non dovuti i contributi, restando a carico del condominio, in tal caso, l’onere di provare, in relazione ad esse, il fondamento della propria pretesa.
Ne discende che la contestazione da parte dell’opponente sulla debenza del debito di euro 585,75 “per spese personali “, in quanto specifica in relazione al titolo dell’importo addebitato, era pienamente ammissibile, e comportava a carico dell’ente di gestione l’onere di giustificare la relativa pretesa creditoria, dimostrando la sua inerenza alla gestione dei beni comuni.
Il ricorso nei confronti del supercondominio di via (omissis)– via (omissis) di Milano è quindi accolto in relazione al sesto motivo, con rigetto degli altri.
La sentenza va pertanto cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata al Tribunale di Milano, in persona di diverso magistrato, che, nel deciderla, si adeguerà ai principi di diritto sopra esposti e provvederà anche alla liquidazione delle spese.
Il ricorso nei confronti del condominio di via (omissis) di Milano è invece respinto, con condanna del ricorrente, per il principio di soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio, come liquidate in dispositivo.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso proposto nei confronti del condominio di via (omissis), di Milano, se dovuto.
P.Q.M.
Accoglie il sesto motivo del ricorso proposto nei confronti del supercondominio di via (omissis) – via (omissis) di Milano, rigettati gli altri; cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Milano, in persona di diverso magistrato, anche per la liquidazione delle spese.
Rigetta il ricorso proposto nei confronti del condominio di via (omissis) di Milano e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore del suddetto controricorrente, che liquida in euro 900,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso proposto nei confronti del condominio di via (omissis) di Milano, se dovuto.