Le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur potendo avere valore indiziario, non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto.
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. Con sentenza del 5 novembre 2020 la corte di appello di Bologna confermava la sentenza del Tribunale di Ravenna del 5 febbraio 2019, con la quale LM era stato condannato in relazione all'art. 5 del Dlgs. 74/2000.
2. Avverso la predetta sentenza LM propone ricorso, mediante il proprio difensore, deducendo un unico motivo di impugnazione.
3. Rappresenta, in particolare, il vizio di violazione di legge per la mancata assoluzione, in quanto non vi sarebbe prova del fatto che le movimentazioni bancarie emergenti dal conto del ricorrente facciano riferimento al suo reddito, osservandosi come gli arricchimenti apparentemente senza titolo indicati dalla corte di appello, al fine di delineare il reato contestato, avrebbero dovuto essere oggetto di un accertamento •- mancante - diretto a stabilire a quale tassazione fossero soggetti. E quindi le sentenze intervenute si sarebbero solo fondate su inammissibili, in questa sede, presunzioni tributarie. Sarebbe inoltre di puro stile l'affermazione della corte di appello per cui il primo giudice avrebbe effettuato un vaglio critico del procedimento dell'amministrazione tributaria, atteso che si sarebbe acriticamente accolto l'accertamento della Agenzia delle entrate per cui sarebbero confluiti, sul conto del ricorrente, somme superiori a 242.000 euro senza tuttavia verificare le contestuali uscite emergenti dal medesimo conto, le quali potrebbero essere imputate a costi di esercizio e, in tal caso, la soglia di imposta evasa potrebbe essere inferiore al limite minimo di legge.
Sarebbe anche erronea la tesi della assenza di prova della circostanza per cui le rimesse sul conto del ricorrente provenissero in parte dai genitori, posto che, a fronte di dichiarazione in tal senso formulata dal ricorrente, sarebbe stata la pubblica accusa a dover provare che quelle entrate derivassero da redditi soggetti a tassazione.
4. Va premesso, con riguardo alla valenza in sede penale delle presunzioni tributarie (segnatamente di quella di cui all'art. 3'2, d.P.R. n. 600 del 1973 - la quale configura come ricavi sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari -) , che questa Corte ha ritenuto le stesse inutilizzabili in base al principio secondo cui le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur potendo avere valore indiziario, non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell'esistenza della condotta criminosa (Sez. 3, n. 7078 del 23/01/2013 - dep. 13l02/2013, 'Piccolo, Rv. 254852). Nel caso in esame, dalle due sentenze conformi emesse non emerge una verifica di elementi oggettivi di riscontro rispetto alle emergenze dei dati bancari. Sul punto, osserva il Collegio, non vale a sorreggere il dato indiziario costituito dalle risultanze di dette indagini bancarie, il mero richiamo alla escltJ1sione di talune entrate "'5ulla base di previ criteri di irrilevanza, ai fini in esame, delle stesse, né il silenzio serbato dal contribuente (sul punto cfr. Sez. 3, n. 15899 del 02/03/2016 Ud. (dep. 18/04/2016 ) Rv. 266817 - 01).
Ed invero, è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, quello secondo cui non è consentito al giudice desumere dal silenzio dell'imputato sulla giustificazione di apparenti entrate reddituali, elementi o indizi di prova a suo carico, atteso che allo stesso è riconosciuto il diritto al silenzio e che l'onere della prova grava sull'accusa (Sez. 6, n. 8958 del 27/01/2015 - dep. 27/02/2015, Scarpa, Rv. 262499). Non deve, infatti, ess,:!re dimenticato che la negazione o il mancato chiarimento, da parte dell'imputato, di circostanze valutabili a suo carico nonchè la menzogna o il semplice silenzio su queste ultime possono fornire al giudice argomenti di prova solo con carattere residuale e complementare ed in presenza di univoci elementi probatori di accusa, non potendo determinare alcun avvertimento dell'onere probatorio (in termini: Sez. 1, n. 2653 del 26/10/2011 - dep. 23/01/2012. M., Rv. 251828).
In tale quadro, manca l'esistenza di quegli "univoci elementi probatori di accusa", non potendo le risultanze derivanti dalle indagini bancarie, proprio in relazione alla inutilizzabilità della presunzione di cui al citato art. 32, rappresentare, ex se, idoneo elemento di prova per sorreggere la tesi dell'accusa, inidoneità non solo probatoria ma nemmeno indiziaria, posto che nel reato di omessa dichiarazione è rimesso al giudice penale il compito di accertare l'ammontare dell'imposta evasa, da determinarsi sulla base della contrapposizione tra ricavi e costi d'esercizio detraibili, mediante una verifica che, privilegiando il dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l'ordinamento fiscale, può sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario (Sez. 3, n. 38684 del 04/06/2014 - dep. 23/09/2014, Agresti, Rv. 260389). Sono quindi fondate le doglianze sviluppate.
4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte riti1me pertanto che vada annullata la sentenza impugnata con rinvio pe nuovo giudizio ad altra sezione della corte di appello di Bologna.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della corte di appello di Bologna.