
La Cassazione ha chiesto alla Corte d'Appello di verificare se, nel contesto territoriale in cui è stato commesso il delitto, la pratica posta in essere dalla persona offesa possa ritenersi rientrante nella consuetudine.
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Bologna, con la sentenza emessa il 2 dicembre 2020, confermava la sentenza del Tribunale di Forlì, che aveva accertato la responsabilità penale di L. D. e S. M. in concorso, all'esito del giudizio direttissimo conseguente all'arresto in flagranza, e che li condannava alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed euro mille di multa ciascuno, riconosciuto il vincolo della continuazione e la diminuente per il rito abbreviato, in relazione al delitto di furto aggravato di un portafoglio collocato all'interno della borsa di P. T., poggiata sul carrello all'interno di un supermercato (capo a), nonché del furto di un paio di scarpe all'interno del centro commerciale ‘P.’ (capo b).
2. Due sono i ricorsi per cassazione proposti nell'interesse di L. D., con atti separati e rispettivamente da parte degli avvocati C. B. con quattro motivi e P. R. con un solo articolato motivo. I relativi motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Il primo motivo del ricorso dell'avvocato B. lamenta l'omessa motivazione quanto alla responsabilità penale del ricorrente sia in merito al profilo oggetto che soggettivo del reato. Anche il ricorso dell'avvocato P. R. censura la sentenza per vizio di motivazione in ordine alla partecipazione e al contributo del D. ai due furti, non potendo ritenersi sufficiente la sola confessione della M. quanto al capo b), che ha escluso la responsabilità del D..
2.2. Il secondo motivo del ricorso dell'avvocato B. deduce violazione di legge in relazione al riconoscimento dell'aggravante dell'art. 625, comma 1, n. 7 cod. pen. che non si dovrebbe addirsi al caso di un centro commerciale.
2.3. Il terzo motivo del ricorso dell'avvocato B. e analogo motivo dell'avvocato R. lamentano il vizio dii motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell'ipotesi dell'art. 114 cod. pen. avendo la Corte territoriale omesso di motivare in ordine al contributo marginale del D. e non potendo individuarsi alcuna motivazione implicita sul punto.
2.4. Il quarto motivo deduce vizio di motivazione in ordine alla mancata rideterminazione della pena, eccessivamente elevata, in senso più favorevole all'imputato, in assenza di una motivazione adeguata sui criteri di determinazione della stessa.
3. Uno è il ricorso proposto nell'interesse di S. M. dall'avvocato P. R.. L'unico articolato motivo, per violazione di legge conseguente a omessa motivazione o vizio di motivazione, è enunciato nei limiti strettamente necessari, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pe11 e si articola in più censure.
3.1. La prima censura attiene alla violazione di legge per mancanza di motivazione e conseguente vizio di manifesta illogicità, quanto alla esclusione dell'ipotesi del tentativo in relazione al capo a), configurabile anche all'interno dell'ipermercato in ragione della ininterrotta sorveglianza dell'azione furtiva attuata da parte degli addetti attraverso il sistema controllo video, che consentiva l'intervento di questi ultimi e che avrebbe impedito la consumazione del furto. Ciò escluderebbe la rilevanza dell'occultamento del portafoglio operato dalla M. e della successiva restituzione.
3.2. La seconda censura attiene al vizio di motivazione quanto alla riconosciuta aggravante dell'art. 625, comma 1, n. 7 cod. pen., in merito alla valutazione che l'ubicazione della borsa sul carrello integri una consuetudine.
3.3. La terza censura rileva vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche a fronte del contegno collaborante della M., che ha consentito il reperimento del portafogli nascosto, come anche per la confessione in ordine al capo b). Ulteriore censura riguarda l'omessa. motivazione in ordine all'aumento per la continuazione.
4. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi dell'art. 23 comma 8, d.l. 127 del 2020 - in data 21 aprile 2022, con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi nell'interesse di D. e rigettarsi quello nell'interesse di M..
5. Con memoria depositata in data 5 maggio 2022 l'avvocato R., in replica alle conclusioni del Procuratore generale, affermava l'ammissibilità dei ricorsi e ne chiedeva l'accoglimento.
6. Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell'art. 23, comma 8, di. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2021 per effetto dell'art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 2021.
Motivi della decisione
1. I ricorsi sono parzialmente fondati.
2. I ricorsi proposti nell'interesse dei due ricorrenti vanno trattati congiuntamente, in quanto strettamente connessi oltre che proponenti medesime censure.
2.1. Va premesso che D. e M. sono stati tratti in arresto e poi condannati, all'esito del giudizio direttissimo, in sede di rito abbreviato in ordine a due delitti: il furto in concorso all'interno del supermercato 'C. Ipermercato' ubicato nel centro commerciale Punta di ferro, perché dopo aver lungamente osservato e seguito la persona offesa, P. T., si impossessavano del portafoglio che era contenuto all'interno della borsa pemonale della donna, appoggiata sul bordo del carrello, nel mentre la stessa era intenta a prelevare la merce dagli scaffali.
Tale condotta veniva qualificata come aggravata dalla circostanza che la borsa fosse esposta per consuetudine alla pubblica fede (capo a).
Inoltre, alla coppia veniva anche contestato un ulteriore furto commesso lo stesso giorno, sempre all'interno del predetto centro commerciale, in altro negozio, avente ad oggetto un paio di scarpe marca Blauer del valore di euro 129,00 (capo b).
Evidenzia questa Corte che nel caso in esame la sentenza impugnata rinvia alla motivazione del provvedimento del Tribunale di Forlì cosicché, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. "doppia conforme" poiché la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218).
2.2 Pertanto, esaminando le motivazioni dell'unico complesso decisionale, evidenzia il Collegio come i motivi indicati ai parr. 2.1 e 3.1 siano infondati e debbano essere rigettati.
A ben vedere la dinamica delittuosa viene ricostruita in modo logico e congruo, dando atto i giudici di merito che le attività svolte dai Carabinieri della stazione di Ronco - sopraggiunti perché contattati dagli addetti alla sorveglianza dell'Ipermercato Conad, insospettitisi per la presenza dei due ricorrenti e per il loro atteggiamento - come anche la visione dei video del sistema di sorveglianza, avevano consentito di ricostruire come la coppia D. - M. avesse fatto ingresso nel supermercato, avesse tentato di sottarre il port21foglio dalla borsa di una cliente una prima volta, fosse stata riconosciuta dai militari sopraggiunti, in quanto già noti per precedenti provvedimenti giudiziari. L'esame accurato del video consentiva ai militari di vedere nell'immediatezza come la M. avesse provato a prelevare il portafoglio della Tassani senza riuscirvi, mentre D. si guardava intorno per accertarsi che non fossero osservati. Alle ore 14.00 la M. e D. si avvicinavano di nuovo alla Tassani e la prima riusciva a asportare il portafogli dalla borsa, appoggiata sul carrello, e a quel punto usciva dall'Ipermercato e si dirigeva all'uscita del centro commerciale.
Invece D. usciva dai locali del supermercato spingendo un carrello, che poi abbandonava e che i militari riscontravano contenere, all'atto del fermo, le scarpe di cui al capo b), anche sottratte dal negozio D. ubicato nel medesimo centro commerciale.
I militari contattavano telefonicamente a quel punto M., chiedendole di riportare il portafogli, la stessa recuperava il portafogli che aveva lasciato nascosto in altro esercizio commerciale, risultando comunque mancanti 150 euro.
M. ammetteva di essersi impossessata del portafogli nascondendolo, ma non di avere sottratto il denaro, come anche si accusava ciel furto delle scarpe in via esclusiva, scagionando D., che invece si avvaleva della facoltà di non rispondere.
2.3 Venendo al motivo di censura, quanto al coinvolgimento oggettivo del D. nei due delitti, il Tribunale, con motivazione fatta prnpria dalla Corte di appello, riferisce del ruolo del D. che 'copriva' la compagna, distraendo i clienti, temporeggiando insieme alla complice, fingendo di dover acquistare merce nel reparto ortofrutta, adocchiando i carrelli con i clienti distratti per poi tentare in più occasioni la M. di appropriarsi del portafogli, operazione riuscita la seconda volta nei confronti della persona offesa Tassani.
Anche in relazione al furto delle scarpe i Giudici del merito hanno ritenuto concorrente il D.: la M. si è impadronita delle scarpe nel negozio R., nell'ambito dello stesso centro commerciale, D. ebbe poi a chiedere in un ulteriore negozio la sola busta di plastica, che recava apposto il simbolo «champion», come riferiva la commessa al quale la richiesta era stata rivolta, per nascondervi le scarpe trafugate, che infatti vi furono poi rinvenute nel carrello in possesso di D. al momento del fermo l[fol. 1 della sentenza impugnata e fol. 6 della sentenza del Tribunale di Macerata).
Anche in questo caso il coinvolgimento del D. è congruamente motivato e i ricorsi non pongono un tema di travisamento, per il quale non allegano né indicano i verbali travisati, né tantomeno indicano la decisività di tale profilo.
D'altro canto, essendo certo il furto delle scarpe, del quale per altro M. si accusa e che viene poi scoperto a posteriori dal commerciante derubato, a D. andrebbe attribuita la responsabilità per la ricettazione se non quella del concorso in furto.
In vero corretto è il ragionamento che segue la Corte, in quanto il semplice possesso della refurtiva può ritenersi idoneo a provare che il detentore sia autore della sottrazione qualora concorrano altri elementi fra cui quello temporale, atti ad escludere la provenienza del possesso da altra fonte (Sez. 5, n. 19453 del 20/01/2010, Calabrese Rv. 247138 - 01: in applicazione del principio di cui in massima- la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha confermato la responsabilità dell'imputato a titolo di furto e non di ricettazione, considerato il limitato lasso di tempo, poco più cli un'ora - intercorso tra la scoperta del furto e l'avvistamento dell'imputato nell'atto di entrare in un magazzino per sistemarvi all'interno la merce sottratta poco prima - che rendeva inattendibile l'ipotesi che i beni fossero stati sottratti da altri e ceduti all'imputato in un brevissimo intervallo temporale).
Nel caso in esame la contestualità cronologica e spaziale fra la sottrazione e la scoperta della refurtiva nella disponibilità di D., come pure la compresenza e l'agire coordinato di D. con la M., ricapitolati dalla Corte e dal Tribunale, rendono conto delle ragioni per cui D. concorra nel furto delle scarpe.
E quanto al contributo offerto, come correttamente osservato dai Giudici di merito, oltre a quello consistito nel procurarsi la busta nel quale inserire la refurtiva, D. comunque agevola, garantendo il possesso della acquisita refurtiva, in ossequio al principio di diritto per cui ai fini della configurabilità della fattispecie del concorso di persone nel reato (art. 110 cod. pen.), il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell'evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà. Ne deriva che, a tal fine, è sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore che arrechi un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l'agevolazione dell'opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l'esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato, perché in forza del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti (Sez. 5, n. 21082 del 13/04/2004, Terreno, Rv. 229200 - 01). Pertanto i motivi sul profilo oggettivo del reato sono infondati.
2.4. Quanto alle censure inerenti il difetto di motivazione in merito al dolo, deve rilevarsi come il motivo sia inammissibile perché non formulato in appello.
Infatti l'esame della sentenza di appello non reca alcun riferimento al motivo in esame, ma solo la censura al profilo oggettivo del concorso di D. ai due reati di furto.
Pertanto si tratta di motivo inammissibile, perché la doglianza non risulta essere stata previamente dedotta come motivo di appello secondo quanto è prescritto a pena di inammissibilità dall'art. 606 comma 3 cod. proc. pen., come si evince dal riepilogo dei motivi di gravame riportato nella sentenza impugnata, che l'odierno ricorrente avrebbe fatto contestare specificamente nell'odierno ricorso, se incompleto o comunque non corretto.
Va premesso che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «deve ritenersi sistematicamente non consentita (non soltanto per le violazioni di legge, per le quali cfr. espressamente art. 606, comma 3, c.p.p.) la proponibilità per la prima volta in sede di legittimità, con riferimento ad un capo e ad un punto della decisione già oggetto di appello, di uno dei possibili vizi della motivazione con riferimento ad elementi fattuali richiamabili, ma non richiamati, nell'atto di appello: solo in tal modo è, infatti, possibile porre rimedio al rischio concreto che il giudice di legittimità possa disporre un annullamento del provvedimento impugnato in relazione ad un punto della decisione in ipotesi inficiato dalla mancata/contraddittoria/manifestamente illlogica considerazione di elementi idonei a fondare il dedotto vizio di motivazione, ma intenzionalmente sottratti alla cognizione del giudice di appello. Ricorrendo tale situazione, invero, da un lato il giudice della legittimità sarebbe indebitamente chiamato ad operare valutazioni di natura fattuale funzionalmente devolute alla competenza del giudice d'appello, dall'altro, sarebbe facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della sentenza d'appello con riguardo al punto della decisione oggetto di appello, in riferimento ad elementi fattuali che in quella sede non avevano costituito oggetto della richiesta di verifica giurisdizionale rivolta alla Corte di appello, ma siano stati richiamati solo ex post a fondamento del ricorso per cassazione» (così Sez. 2, n. 32780 del 13/07/2021 , De Matteis, Rv. 281813; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062, in motivazione; in senso conforme, ex plurimis, v. Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, Tocco, Rv. 280306; Sez. 3, n. 27256 del 23/07/2020, Martorana, Rv. 279903; Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, B., Rv. 271869; Sez. 2 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, Li Vigni, Rv. 269368).
3. Diversamente, già è stata formulata con i motivi di appello la censura, per la sola M., proposta con il motivo di cui al punto 3.1, in ordine alla qualificazione come tentativo del delitto di furto nel supermercato sub capo a).
A riguardo la motivazione della Corte di appello rende conto della circostanza che il portafoglio fu sottratto al controllo della persona o1'fesa all'interno del supermercato in modo definitivo, fu occultato all'esterno dell'Ipermercato, tanto che solo una successiva azione recuperatoria ebbe a consentirne la restituzione.
Infatti il Tribunale evidenziava come la M. si riuscì ad allontanare dal supermercato con il portafoglio, nascondendolo in altro esercizio commerciale e, quindi, definitivamente sottraendolo alla sfera di controllo della persona offesa e dei vigilanti, tanto che i Carabinieri solo telefonicamente la contattarono ed ella, ritornata sui suoi passi, si convinse a recuperare la refurtiva in luogo solo a lei noto.
La motivazione impugnata è logica e risponde a principio consolidato e autorevole di diritto, per il quale in caso di furto in supermercato, il monitoraggio della azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza ovvero delle forze dell'ordine presenti nel locale ed il conseguente intervento difensivo "in continenti", impedisce la consumazione del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo se l'agente non ha conseguito, neppure momentaneamente, l'autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo (Sez. U, n. 52117 del 17/07/2014, Prevete, Rv. 261186 - 01; ribadiscono che il criterio distintivo tra consumazione e tentativo risiede nella circostanza che l'imputato consegua, anche se per breve tempo, la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, Sez. 5, n. 48880 del 17/09/2018, S., Rv. 274016 - 01; Sez. 5, n. 2726 del 24/10/2016, dep. 2017, Pavone, Rv. 269088 - 01, con riferimento all'occultamento della refurtiva nello stesso ambiente del furto, che integra comunque disponibiliti1 autonoma; Sez. 5, n. 26749 del 11/04/2016, Ouerghi, Rv. 267266 - 01).
Nel caso in esame i Giudici del merito ben hanno ritenuto che la consumazione fosse intervenuta in quanto la M. aveva nascosto, in luogo esterno e distante, il portafoglio, acquisendone la effettiva e autonoma disponibilità e sottraendolo alla sfera di vigilanza della persona offesa e delle forze dell'ordine.
Il motivo è pertanto infondato.
4. Il terzo motivo del ricorso dell'avvocato B. e analogo motivo dell'avvocato R. lamentano il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della attenuante dell'art. 114 cod. pen. avendo la Corte territoriale omesso di motivare in ordine al contributo marginale del D..
Il Collegio ha già ripercorso la motivazione impugnata quanto al ruolo e al contributo di D. che si guardava intorno e collaborava con la M. assicurandole 'copertura', temporeggiando insieme, simulando interesse per merce che non avrebbero poi acquistato, mentre i due cercavano di impossessarsi a più riprese dei portafogli, riuscendovi solo nell'ultimo caso.
Anche sul furto delle scarpe il Collegio ha già dato conto delle motivazioni di merito che ricostruiscono il ruolo del ricorrente.
A fronte di ciò sussiste quindi una più che adeguata e loqica motivazione sul contributo di D., che costituisce motivazione implicita in sé assolutamente sufficiente e coerente ad escludere il ruolo marginale del ricorrente, come per altro affermato dall'orientamento consolidato per cui in tema di concorso di persone nel reato, allorchè l'imputato abbia richiesto l'applicazione della circostanza attenuante prevista dall'art. 114 cod. pen., non sussiste il dovere di una motivazione esplicita in ordine alla sua mancata concessione, nel caso in cui il giudice abbia posto in evidenza la gravità del fatto in relazione alle condotte di tutti gli imputati, non operando alcuna distinzione tra il grado di efficienza causale delle condotte rispettivamente poste in essere rispetto alla produzione dell'evento (Sez. 2, n. 48029 del 20/10/2016, Siesta, Rv. 268176 - 01; Sez. 6, n. 22456 del 03/03/2008, Zito, Rv. 240364 - 01).
E per altro, in sede di legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando risulti che la stessa sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata (Sez. 1, n. 27825 del 22/0.5/2013,Caniello, Rv. 256340 - 01: fattispecie in cui la Corte ha escluso il vizio di motivazione perché il giudice di appello, pur non avendo espressamente motivato in ordine alla mancata applicazione dell'attenuante dell'art. 114 cod.pen. - esplicitamente richiesta con i motivi di appello - aveva in motivazione dimostrato la partecipazione attiva dell'imputato al delitto).
Ne deriva l'infondatezza dei motivi.
5. Quanto ai motivi relativi al diniego delle circostanze attenuanti generiche per la M. osserva il Collegio quanto segue.
Si tratta di doglianze infondate, atteso che il provvedimento impugnato fornisce sufficiente, seppur stringata, giustificazione della sua decisione, ancorandola in maniera tutt'altro che illogica alla esistenza di precedenti penali per entrambi gli imputati, plurimi e specifici., così attenendosi ai principi affermati costantemente da questa Corte, per cui il diniego delle attenuanti generiche può essere legittimamente fondato anche sull'apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri elementi (Sez. 6 n. 8668 del 28 maggio 1999, Milenkovic, rv 214200), anche quello ostativo dei precedenti penali (Sez. 5, Sentenza n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269 - 01).
Non di meno, con riguardo alla sottovalutazione della confessione della M., il Tribunale ne escludeva la rilevanza affermando come la ricorrente avesse ammesso solo parzialmente gli addebiti, cercando di escludere il coinvolgimento del compagno.
Il rilievo negativo attribuito alla confessione parziale è in sintonia con la giurisprudenza di legittimità che evidenzia come sia legittimo il diniego delle circostanze attenuanti generiche, motivato con l'esplicita valorizzazione negativa dell'ammissione di colpevolezza,- in quanto dettata da intenti utilitaristici e non da effettiva resipiscenza (Sez. 1, n. 35703 del 05/04/2017, Lucaioli, Rv. 271454 - 01: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta l'esclusione di tali circostanze in favore di un imputato la cui confessione era stata considerata dai giudici di merito necessitata dalle copiose emergenze investigative a carico e tesa, mendacemente, a scagionare taluni concorrenti).
6. Fondati invece sono i motivi proposti nell'interesse di D. e M., indicati ai punti 2.2 e 3.2, relativamente al ritenuto riconoscimento dell'aggravante dell'art. 625, comma 1, n. 7 cod. pen., quanto alla valutazione che l'ubicazione della borsa sul carrello integri l'esposizione alla pubblica fede da consuetudine.
A ben vedere la Corte territoriale si è limitata ad affermare - senza nulla motivare sulla esposizione alla pubblica fede - che «è consuetudine che le donne intente a fare la spesa al supermercato appoggino la propria borsa nel carrello», e a fronte di tale affermazione sintetica e non corredata da ricostruzione fattuale, in ordine alla precisa collocazione della borsa, non si rinviene alcuna motivazione in ordine alla sussistenza della consuetudine.
La difesa a buona ragione lamenta un ricorso a massime di esperienza in vero non comprovate, rispetto alle quali la Corte territoriale dovrà maggiormente motivare la sussistenza di un comportamento consuetudinario, anche con rinnovazione istruttoria se necessaria, dovendosi verificare in concreto se, nel contesto territoriale nel quale è stato commesso il delitto, la pratica posta in essere dalla persona offesa possa ritenersii rientrare negli usi e nelle abitudini sociali, appunto nella consuetudine anche locale.
Né basta, a riguardo, il richiamo operato dal Tribunale in ordine alla configurabilità dell'aggravante nel caso della sottrazione di un portafoglio dall'interno di una borsa da donna, lasciata aperta e poggiatc1 su una poltroncina di una discoteca, rientrando nelle abitudini sociali e nella pratica di fatto lasciare incustodita la propria borsa da parte di chi in dii;coteca abbandoni temporaneamente il posto per andare a ballare (Sez. 5, n. 11<1-23 del 17/12/2014, dep. 2015, Khaly, Rv. 263063 - 01). Si tratta di caso tutt'affatto diverso, non essendo per altro le abitudini suscettibili applicazione analogica, come lascia intendere il Tribunale. I relativi motivi vanno accolti in quanto fondato è il deficit motivazionale e sul punto la sentenza va annullata con rinvio.
Pertanto spetterà alla Corte territoriale in sede di giudizio di rinvio motivare alla luce delle pregresse considerazioni in ordine alla sussistenza della circostanza aggravante prevista dall'art. 625, comma 1, n. 7, cod. pen.
6. Quanto al motivo inerente l'aumento per la continuazione per la M., la cui censura è al punto 3.3, lo stesso è inammissibile, in quanto non risulta essere stato, dalla lettura della sentenza impugnata non contestata nell'elencazione dei motivi di appello, oggetto di specifico motivo dinanzi alla Corte territoriale. Trovano pertanto applicazione anche in questo caso i principi indicati al punto 2.4 che precede.
7. Residua l'ultimo motivo proposto nell'interesse di D. dall'avvocato C. B., quanto alla motivazione relativa alla misura della pena, riportato al punto 2.4. dello 'svolgimento del processo.
A riguardo il motivo è da ritenersi allo stato inerente un punto assorbito da quello afferente l'aggravante, in quanto logicamente conseguente alle determinazioni che la Corte di appello assumerà in merito, in occasione del giudizio di rinvio, che potrebbe determinare una rideterminazione della pena e dunque la necessità di una ulteriore motivazione.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta circostanza aggravante di cui all'art. 625 n. 7 c.p., con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna. Rigetta nel resto i ricorsi.