La Cassazione ricorda che il delitto costituisce una fattispecie a forma libera che si sostanzia nell'attribuzione fittizia della titolarità/disponibilità di denaro o di altra utilità realizzata al fine di eludere misure di prevenzione patrimoniale o di agevolare la commissione di reati concernenti la circolazione di mezzi economici di provenienza illecita.
Il Tribunale del Riesame rigettava l'istanza di revoca del sequestro preventivo della stazione di servizio per la distribuzione automatica di carburanti avanzata dall'amministratore unico della relativa società.
La questione viene sottoposta all'attenzione della Suprema Corte, lamentando la mancata indicazione degli elementi che dal punto di vista soggettivo e oggettivo avrebbero portato...
Svolgimento del processo
Con ordinanza del 21/05/2021 il tribunale del riesame di Reggio Calabria rigettava l'istanza di revoca del sequestro preventivo della stazione di servizio per la distribuzione automatica di carburanti di proprietà della società P. srl, avanzata da Z.A., in proprio e nella qualità di amministratore unico di detta società.
Ricorre per cassazione Z.A. presentando due ricorsi, uno a firma avvocato C.F. e l'altro a firma avvocato S.A..
L'avvocato C. premesso che correttamente il tribunale del riesame ha affermato che oggetto della condotta di trasferimento fraudolento di valori non è l'intera società ma piuttosto un bene aziendale della stessa, cioè il distributore, si duole della mancata indicazione degli elementi che, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, possono portare ad affermare la finalità di eludere un eventuale futuro provvedimento ablativo. In particolare, lamenta che il tribunale del riesame si è sottratto al tema d'analisi che era rappresentato dalla concreta efficacia dell'atto di affitto a determinare la funzione simulatoria cioè di allontanare del tutto fittiziamente il bene da chi ne risultava effettivo proprietario. Sottolinea come nel caso di specie ciò non si è verificato perché colui che ha stipulato l'atto ha mantenuto la piena proprietà della società e dei beni aziendali detenuti dalla stessa ivi compreso il distributore in oggetto.
Lamenta anche che l'ordinanza impugnata non si è confrontata con due diversi ordini di rilievi: il fatto che la ricorrente nonostante il contratto di affitto del ramo di azienda abbia mantenuto la titolarità formale della proprietà di tale bene e soprattutto che te risorse economiche impiegate per la realizzazione della suddetta società e quindi dei beni aziendali della stessa fossero del tutto giustificate.
Contesta anche la sussistenza dell'aggravante mafiosa sostiene che la motivazione dell'ordinanza sul punto è del tutto congetturale.
L'avvocato S. con un ampio ricorso che consta di ben 8 motivi ha sostanzialmente reiterato le censure sollevate dal codifensore lamentando anche il mancato confronto con le memorie difensive e i documenti allegati che vengono richiamati e che avrebbero fornito una versione diversa del contenuto delle conversazioni telefoniche.
Motivi della decisione
Premesso che i ricorsi propongono analoghe censure che investono la sussistenza dei presupposti del reato appare opportuno procedere ad un'unica trattazione.
Entrambi i ricorsi sono infondati alla stregua delle seguenti considerazioni.
Deve preliminarmente ricordarsi che contro le ordinanze emesse a norma dell'art. 324 c.p.p. in materia di sequestro preventivo il ricorso è ammesso solo per "violazione di_ legge" (art. 325 co 1 c.p.p.), per censurare, cioè, "errores in iudicando" o "errores in procedendo" (art. 606, lett. B e C, c.p.p.) commessi dal giudice di merito, la cui decisione risulti di conseguenza radicalmente viziata. Va ancora precisato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il difetto di motivazione integra gli estremi della violazione di legge solo quando l'apparato argomentativo che dovrebbe giustificare il provvedimento o manchi del tutto o risulti privo dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di ragionevolezza, in guisa da apparire assolutamente inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dall'organo investito del procedimento (ex plurimis: SS.UU. 13.2.2004; SS.UU. 28.5.2003,). Ne consegue che i ricorsi proposti dalla Zampaglione devono essere preliminarmente depurati dei rilievi riferibili a presunte illogicità e contraddizioni della motivazione sviluppata dal tribunale del riesame, segnatamente in tema di valutazione del contenuto delle intercettazioni. Passando, quindi, ad esaminare, in tale ottica, le doglianze avanzate dalle difese all'ordinanza impugnata va ricordato che il tribunale ha dato atto che l'attività intercettiva disposta nell'ambito della presente indagine ha portato alla captazione di diverse conversazioni che hanno dato conto dell'esistenza della dissociazione tra la titolarità formale e quella sostanziale della stazione di servizio.
In particolare, è stato posto in evidenza il fatto che il D.L., al quale era stata attribuita la titolarità formale della gestione della stazione di servizio, svolgeva l'attività commerciale ed imprenditoriale nell'interesse della cosca L.. E' stato evidenziato inoltre come il contenuto dei files Excel ,rinvenuti sul pc in uso al D.L., dimostravano il coinvolgimento della società della Z. nella gestione della stazione in esame ed è stato sottolineato che oggetto del procedimento non era l'intestazione fittizia della P. SRL, quanto piuttosto quella di un particolare cespite aziendale della stessa, rappresentato dalla stazione di rifornimento di carburante sita in viale C., concesso in affitto alla S. F. SRL di D.L. G..
In sintesi il tribunale del riesame ha ritenuto che, a fronte degli elementi valorizzati alle pagine da 5 a 9 dell'ordinanza, appariva del tutto inequivocabile la natura fittizia dell'operazione commerciale destinata ad attribuire la formale gestione della stazione di servizio in capo al D.L., tramite l'affitto del ramo d'azienda della P. da parte della S.F. srl mantenendosi invece il controllo sostanziale dell'attività in capo a L.P., il quale operava allo scopo anche per conto del padre L.F. S. e della madre Z.A., in tal modo evitando che l'interesse economico della famiglia potesse trovare ostacoli nell'imposizione di barriere legislative appositamente finalizzate a impedire il compimento di operazioni fraudolente di tal genere.
Il Tribunale ha rimarcato come l'attenzione investigativa nel presente giudizio si fosse soffermata sulle ragioni elusive della normativa in materia di misure di prevenzione patrimoniale che avevano indotto Z.A. nel corso dell'anno 2017 a stipulare con il D.L. un contratto d'affitto di ramo d'azienda a ridosso dell'adozione di una interdittiva antimafia nei confronti della medesima, nella qualità di amministratore unico della scuola materna S., provvedimento giustificato dai suoi rapporti di parentela con soggetti pregiudicati per reati di stampo mafioso appartenenti alla famiglia L.. L'attività di indagine ha fatto emergere come tale complessa e simulata operazione patrimoniale celasse in realtà le esigenze di assicurare in capo alla famiglia di L.F., per il tramite di L.P., la permanenza di effettivi e concreti poteri sul compenso aziendale, nonché la percezione degli utili dallo stesso derivati al contempo evitando, per il tramite della schermatura giuridica offerta dal D.L., di correre il rischio elle i cespiti potessero essere oggetto di provvedimento preventivo ablatorio.
L'esistenza di una dissociazione tra la titolarità formale e la gestione sostanziale della stazione di rifornimento di carburante investigata era rese evidente non solo dal rapporto di costante dipendenza commerciale e dall'assoluta mancanza di autonomia di cui il D.L. disponeva nella gestione della stazione di servizio, come si evinceva dal tenore delle conversazioni intercettate, ma anche dalla circostanza, sicuramente sospetta, che l'indagato corrispondeva mensilmente al L., oltre al canone di locazione anche un'ulteriore quota in contanti, probabilmente corrispondente allo storno di una percentuale delle somme provento della frode all'Iva che il broker aveva l'abitudine di restituire ai propri clienti affezionati, come riscontrato nell'ambito dell'indagine nei confronti degli altri gestori di benzina. L'indagine ha infatti per oggetto un sistema di frode fiscale, in materia di Iva e accise, nel settore della commercializzazione dei prodotti petroliferi. Ha ritenuto il tribunale tale circostanza certamente sintomatica dell'esistenza di una dissociazione tra la titolarità formale e quella sostanziale della stazione di distribuzione del carburante perché se l'attività commerciale fosse stata realmente nella disponibilità esclusiva del D.L. non sarebbe dato comprendere il motivo (e il bisogno) per costui di stornare al L. le somme di denaro in nero sui ricavi conseguiti.
La chiara correlazione cronologica tra l'interdittiva antimafia che colpiva la scuola materna S. della Z. e l'affitto del ramo d'azienda da parte dell'indagato rende evidente la circostanza che l'operazione era stata confezionata al solo scopo di eludere future misure di prevenzione e che tale intento avesse guidato tutte le azioni dei protagonisti.
Può quindi affermarsi che nell'ordinanza impugnata la fittizietà dell'affitto del distributore è stata affermata con analitica ricostruzione dei dati probatori.
Il delitto di trasferimento fraudolento di valori è una fattispecie a forma libera che si concretizza nell'attribuzione fittizia della titolarità o della disponibilità di denaro o altra utilità realizzata in qualsiasi forma. Il fatto-reato consiste, quindi, in una situazione di apparenza giuridica e formale della titolarità o disponibilità del bene, difforme dalla realtà, e nel realizzare volontariamente tale situazione al fine di eludere misure di prevenzione patrimoniale o di contrabbando ovvero al fine di agevolare la commissione di reati relativi alla circolazione di mezzi economici di Illecita provenienza. Nel prevedere l'attribuzione fittizia non solo della titolarità, ma anche della mera "disponibilità" il legislatore ha inteso, come già affermato da questa Corte, espungere gli atti dispositivi, di fatto o di diritto, pure ammessi dall'autonomia negoziale, di chiunque intenda prevenire e stravolgere i presidi legislativi, posti a tutela del nostro ordinamento economico, con la legislazione della prevenzione, del contrabbando e del riciclaggio.
La giurisprudenza di legittimità ha anche affermato che l'espressione "attribuzione" ha una valenza ampia che rinvia non soltanto alle forme negoziali tradizionalmente intese, ma a qualsiasi tipologia di atto idonea a creare un apparente rapporto di signoria tra un determinato soggetto e il denaro, i beni o le altre utilità, rispetto alle quali permane intatto il potere di colui che effettua l'attribuzione o per conto o nell'interesse del quale l'attribuzione è operata.
Il legislatore, infatti, non ha inteso formalizzare i meccanismi, che possono essere molteplici e non classificabili in astratto, attraverso i quali può realizzarsi la "attribuzione fittizia", ne' ricondurre la definizione di "titolarità" o "disponibilità" entro schemi tipizzati di carattere civilistico dovendo gli schemi e le modalità operative concretamente adottate essere oggetto di un apprezzamento coordinato ed unitario che tenga conto delle evoluzioni che la "storia" dei singoli beni può aver subito ( N. 30165 del 2007 Rv. 237595 - 01, N. 52616 del 2014 Rv. 261613 - 01; N. 15781 del 2015 Rv.263531). Correttamente il Tribunale del riesame ha quindi ritenuto che anche l'affitto in questione possa integrare un caso di "attribuzione fittizia" diretta a creare una realtà giuridica apparente nell'interesse del reale dominus.
Le conclusioni circa la sussistenza del fumus risultano quindi adeguatamente giustificate dal giudice di merito, attraverso una corretta e puntuale valutazione delle emergenze investigative.
Il collegio ribadisce inoltre che il reato di intestazione fittizia viene integrato ogni volta che si accerta che un bene sia trasferito al fine di eludere le misure di prevenzione o di agevolare attività cli ricettazione riciclaggio o reimpiego, mentre non è richiesto alcun accertamento sulla provenienza illecita delle risorse che sono state utilizzate ab origine per l'acquisto del bene. E 'stato infatti affermato che «Il disvalore della condotta si esaurisce sul piano del possibile giuridico, mediante l'utilizzazione di meccanismi interpositori in grado di determinare l'effetto traslativo del diritto sul bene (ovvero il conferimento di un potere di fatto sul bene stesso), così da determinarne (attraverso i modelli della simulazione o del negozio fiduciario) la (solo) formale attribuzione, al fine di raggiungere la conseguenza elusiva delle disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali» (Sez. U, n. 8 del 28/02/2001 - ciep. 24/05/2001, Ferrarese, Rv. 2187680). Sviluppando tali indicazioni la giurisprudenza ha altresì chiarito che ad essere incriminata non è la generica "disponibilità" di un bene in capo al soggetto che non ne risulta essere titolare formale quanto la specifica condotta di fittizia attribuzione della titolarità al fine elusivo indicato, non rilevando per l'integrazione del reato l'accertamento dell'illecita provenienza della provvista (Sez. 6, n. 26931 del 29/05/2018 - dep. 12/06/2018, Cardamone, Rv. 273419; Sez. 6, n. 5231 del 12/01/2018 - dep. 02/02/2018, Polverino e altro, Rv. 272128; Sez. 1, n. 42530 del 13/06/2018 - dep. 27/09/2018, Rv. 274024; Sez. 2, n. 28300 del 16/04/2019-dep. 28/06/2019 Rv. 276216 - 01).
Così come risultano giustificate le ragioni della contestazione dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa sul presupposto che la gestione del distributore di carburante aveva permesso ad un'esponente di primo piano della cosca L. di inserirsi nel settore del commercio degli idrocarburi, contestualmente sottraendosi al rischio di incorrere all'apprensione nel proprio patrimonio da parte dell'autorità giudiziaria.
Tanto basta per rendere l'ordinanza impugnata incensurabile in questa sede.
I ricorsi devono pertanto essere respinti e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.