Inutili le censure del ricorrente volte a sottolineare che la Corte d'Appello non avesse considerato l'eventualità che fossero state terze persone a pubblicare le offese sul social network utilizzando abusivamente il suo profilo.
La Corte di Appello confermava la sentenza con la quale il Tribunale aveva condannato l'imputato per il reato di cui all'
Contro tale...
Svolgimento del processo
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 9 febbraio 2021 dalla Corte di appello di Brescia, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Cremona che aveva condannato PC per il reato di cui all'art. 595 cod. pen. per aver offeso, con frasi pubblicate sul proprio profilo del social network "Facebook", la reputazione di MRL
2. Avverso la sentenza della Corte di appello, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del proprio difensore di fiducia.
2.1 Con un primo motivo, deduce il vizio di motivazione e l'inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 420-ter e 178 cod. proc. pen.
Rappresenta che la difesa aveva presentato istanza di rinvio per legittimo impedimento, dovuto a concomitante impegno professionale, ma la Corte di appello aveva rigettato l'istanza e deciso il giudizio.
A parere del ricorrente, il provvedimento di rigetto sarebbe nullo, poiché non avrebbe ritenuto rilevante il concomitante impegno professionale, per il solo fatto che era relativo a un processo civile.
In via subordinata, nel caso di ritenuta infondatezza del motivo, il ricorrente pone questione di legittimità costituzionale dell'art. 420-ter cod. proc. pen., per violazione degli artt. 3, 24 e 11 Cost., nella parte in cui non consente al difensore di addurre quale legittimo impedimento il concomitante impegno professionale relativo a un processo civile.
2.2 Con un secondo motivo, deduce il vizio motivazione, l'inosservanza di norme processuali e della legge penale. In relazione agli artt. 595, comma 3, cod. pen. e 530 cod. proc. pen.
Sostiene che la motivazione sarebbe carente e contraddittoria nella parte in cui attribuisce all'imputato il messaggio dal contenuto offensivo, pubblicato sul suo profilo facebook. Secondo Il ricorrente, non sarebbe stata raggiunta la prova certa che il messaggio fosse stato effettivamente scritto dall'imputato e la Corte di appello aveva lasciato del tutto inesplorata la possibilità che terze persone potessero aver scritto il messaggio, utilizzando abusivamente il profilo del P. Il ricorrente, in particolare, lamenta il mancato accertamento sull'indirizzo IP di provenienza di tali messaggi.
Evidenzia, inoltre, che la Corte di appello aveva sostenuto che dagli atti non risultava che il P avesse contestato l'utilizzo abusivo da parte di terzi del proprio profilo, quando, invece, la difesa, unitamente all'atto dì appello, aveva prodotto un documento a firma dell'avvocato Antonio de Grazia e diretto al difensore della persona offesa, mediante il quale l'imputato si sarebbe dichiarato estraneo ai fatti.
2.3 Con un terzo motivo, deduce il vizio di motivazione, l'inosservanza della legge penale, in relazione agli artt. 595, comma 3, cod. pen.
Sostiene che la motivazione sarebbe carente e contraddittoria nella parte in cui individua la M quale destinataria delle offese contenute nei messaggi in questione.
Evidenzia che per ritenere integrato il reato di diffamazione è necessario che l'offesa possa essere riferita con certezza a una persona determinata. Nel caso in esame, invece, a parere del ricorrente, la Corte di appello si sarebbe basata sulla mera valutazione soggettiva della persona offesa di riconoscersi quale destinataria dei messaggi.
Rappresenta che il nome della persona offesa non è mai indicato nei post, che fanno genericamente riferimento a un negozio di parrucchiere posto vicino a quello dell'imputato, ponendo in rilievo che nel territorio interessato vi sarebbero anche altri due negozi di parrucchiere.
3. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di rigettare il ricorso.
4. L'avv. F. F., per la parte civile MRL, con memoria scritta, ha chiesto di dichiarare Inammissibile il ricorso o di rigettarlo.
5. L'avv. S. T., per l'imputato, con memoria scritta, ha insistito per l'accoglimento del ricorso e l'annullamento della sentenza.
Motivi della decisione
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. Il primo motivo dì ricorso è manifestamente infondato.
Invero, dagli atti (il cui esame è consentito, essendo stata posta questione di erronea applicazione di norme processuali), emerge che l'istanza di rinvio della difesa era del tutto generica.
Al riguardo, va ricordato che il difensore che chiede il rinvio del dibattimento per legittimo impedimento, per concomitante impegno professionale, non può limitarsi a documentare la contemporanea esistenza dell'impegno, ma deve fornire l'attestazione dell'assenza di un codifensore nell'altro procedimento e prospettare le specifiche ragioni per le quali non possa farsi sostituire nell'uno o nell'altro dei due processi contemporanei, nonché i motivi che impongono la sua presenza nell'altro processo, in relazione alla particolare natura dell'attività che deve svolgervi (Sez. 5, n. 7418 del 06/11/2013, Anelli, Rv. 259520; Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009, De Marino, Rv. 244109).
Orbene, nel caso in esame, l'istanza di rinvio non soddisfa, da un punto di vista sostanziale, né il requisito della specifica indicazione dei motivi per i quali il difensore non poteva farsi sostituire nell'uno o nell'altro dei due processi contemporanei né quello della specifica esposizione delle ragioni che imponevano la sua presenza nell'altro processo.
In relazione a tali profili, nell'istanza genericamente si afferma che la presenza del difensore nel processo civile sarebbe necessaria perché si dovrebbe discutere una delicata causa di fallimento e che il medesimo avvocato non poteva farsi sostituire nel processo penale, dovendo discutere una causa di diffamazione.
Appare evidente che si tratta di affermazioni generiche che non consentono al giudice di effettuare un'effettiva valutazione comparativa dei diversi impegni al fine di contemperare le esigenze della difesa e quelle della giurisdizione, accertando se sia effettivamente prevalente l'impegno privilegiato dal difensore.
Sotto altro profilo, occorre ricordare che «In tema di legittimo impedimento a comparire, il concomitante impegno del difensore dell'imputato per l'esercizio del patrocinio In un processo civile o per la rappresentanza e l'assistenza di una parte civile non costituisce situazione idonea a determinare l'obbligo per il giudice di differire la trattazione dell'udienza» (Sez. 2, n. 36097 del 14/05/2014, Diodato, Rv. 260353).
Quanto alla questione di legittimità costituzione che il ricorrente, in via subordinata, chiede di sollevare, va rilevato che essa appare manifestamente infondata, in quanto l'art. 420-ter, nell'interpretazione che costituisce diritto vivente, contiene un adeguato bilanciamento degli interessi costituzionali in gioco. E, con particolare riferimento al profilo in esame, va rilevato che il difensore, in sede civile, ben potrebbe rappresentare proprio la necessità della presenza nel processo penale per avanzare una motivata richiesta di rinvio dell'udienza civile.
1.2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per plurime convergenti ragioni.
Con esso, il ricorrente ha articolato alcune censure che, pur essendo state da lui riferite alle categorie del vizio di motivazione, dell'inosservanza di norme processuali e della erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell'art. 606 cod. proc. pen., non evidenziano alcuna violazione di legge né travisamenti di prova o vizi di manifesta logicità emergenti dal testo della sentenza, ma sono, Invece, dirette a ottenere un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte di appello (cfr. Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano).
Va, in ogni caso, evidenziato che le censure sono manifestamente infondate.
La Corte, invero, ha evidenziato che si trattava del profilo personale del P e che non risultava alcuna denuncia all'autorità giudiziaria di un eventuale abusivo utilizzo del profilo.
Quest'ultima argomentazione appare corretta, rispondendo a criteri logici e a condivise massime di esperienza trarre elementi di rilievo - in ordine alla provenienza di un post da un determinato utente - dall'omessa denuncia dell'uso illecito del proprio profilo, eventualmente compiuto da parte di terzi.
E, infatti, questa Corte ha già ritenuto che l'omessa denuncia del c.d. "furto di identità", da parte dell'intestatario della bacheca sulla quale vi è stata la pubblicazione di post "incriminati", possa costituire valido elemento indiziario (Sez. 5, n. 4239 del 21/10/2021, dep. 2022, Ciocca, n.m.; Sez. 5, n. Sez. 5, n. 45339 del 13/07/2018, Petrangelo, n. m.; Sez. 5, n. 8328 del 13/07/2015, dep. 2016, Martinez, n.m.).
Va, peraltro, evidenziato che I giudici di merito hanno motivato l'attribuzione della condotta al P anche sulla base di alcune testimonianze, tra le quali quella della persona offesa che aveva sentito l'imputato discutere con terzi, ammettendo di aver pubblicato i post in questione.
Con particolare riferimento al documento prodotto dal ricorrente, va rilevato che esso non può essere certo equiparato a una denuncia presunta all'autorità giudiziaria, trattandosi di un messaggio di posta elettronica di un avvocato che, nel rispondere alla mail di un altro difensore, afferma che il signor P è una persona pacata e rispettosa e che crede che la presunta notizia sia frutto di una condotta da parte di terzi non improntata a buona fede o frutto di un fraintendimento o di un equivoco.
1.3. Anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile per plurime convergenti ragioni.
Con esso, il ricorrente ha articolato alcune censure che non evidenziano alcuna violazione di legge né travisamenti di prova o vizi di manifesta logicità emergenti dal testo della sentenza, ma sono, invece, dirette a ottenere un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte di appello.
Va, in ogni caso, evidenziato che le censure sono manifestamente infondate. La Corte di appella, invero, ha fatto riferimento alle dichiarazioni dei testi (non solo quelle rese dalla persona offesa): le persone che avevano letto i post e li avevano significativamente riferiti alla M
Quanto alla circostanza che nel territorio interessato vi sarebbero anche altri due negozi di parrucchiere, la Corte di appello ha osservato che il post faceva riferimento al negozio di parrucchiere "vicino" e che, mentre, i negozi dell'imputato e della persona offesa erano affiancati, gli altri negozi di parrucchieri erano distanti.
2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
Il ricorrente, altresì, è tenuto alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado di giudizio dalla costituita parte civile, che vanno liquidate complessivamente in euro 3.510,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 3.510,00, oltre accessori di legge.