La condotta del terzo acquirente in buona fede si risolve nell'aver partecipato inconsapevolmente all'operazione illecita pur avendo adempiuto ai doveri di informazione e conoscenza richiesti dall'ordinaria diligenza.
La Corte territoriale di Firenze, in qualità di giudice dell'esecuzione, rigettava l'istanza di revoca della confisca presentata dei terzi interessati avente ad oggetto le opere edilizie abusivamente costruite. A fondamento della sua decisione, la Corte d'Appello escludeva la sussistenza della buona fede in capo ai ricorrenti, avendo ritenuto...
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza del 27 gennaio 2022, la Corte di appello di Firenze, in funzione del giudice dell'esecuzione, ha rigettato l'istanza, proposta dai terzi interessati, di revoca della confisca, disposta dal Tribunale di Grosseto con sentenza in data 29/01/2010, nei confronti di F.A., avente ad oggetto le opere edilizie abusivamente costruite, facenti parte del complesso immobiliare "V.P.".
Nel pervenire a tale conclusione, la Corte di appello ha escluso la sussistenza della buona fede in capo ai ricorrenti, avendo ritenuto non plausibile, alla stregua degli atti, che gli stessi fossero inconsapevoli ed ignari del fatto che, al momento della stipula dell'atto notarile di acquisto, avvenuto il 5 dicembre 2011, i beni fossero certamente e oggettivamente inseriti in un preciso disegno lottizzatorio portato avanti su quel territorio, e deducendo ciò dal fatto che la lottizzazione abusiva fu irrevocabilmente accertata con sentenza del Corte di appello di Firenze del 29 maggio 2017.
2. Avverso tale ordinanza gli interessati, tramite il difensore, hanno proposto, con un unico atto, ricorsi per cassazione, deducendo, con un'unica censura, la violazione dell'art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
La difesa lamenta l'omessa considerazione da parte della Corte di appello di Firenze di circostanze fattuali, che risultano dirimenti al fine di comprovare la sussistenza di buona fede dei ricorrenti: a) essendo residenti in Umbria, erano estranei al contesto territoriale in cui si è svolta la vicenda; b) l'atto di vendita è stato stipulato successivamente alla sentenza di assoluzione del 06/06/2011 emessa dalla Corte di appello di Firenze, poi riformata (in epoca successiva alla stipula dell'atto) dalla Corte di Cassazione; c) non avendo competenze specifiche in materia, si sono affidati al notaio rogante per le verifiche tecniche e giuridiche relativamente ad ogni profilo, compreso quello della regolarità urbanistico-edilizia;
d) non possono costituire circostanze rilevanti ai fini dell'accertamento della buona fede il non essersi avvalsi di un proprio tecnico di fiducia per le verifiche tecniche (non essendo previsto da alcuna normativa), né l'aver fruito, per il pagamento di parte del prezzo del frazionamento dell'originario mutuo (essendo l'accollo del mutuo fondiario frazionato una modalità di pagamento del prezzo abituale e non rara); e) è fatto noto che l'iscrizione da parte dell'istituto di credito erogante all'atto della concessione di un mutuo fondiario non venga effettuata su un immobile non conforme dal punto vista urbanistico ed edilizio, per cui la possibilità di essersi potuti accollare il mutuo ipotecario li ha indotti a determinarsi all'acquisto dello stesso; f) non avevano alcun rapporto di parentela o di conoscenza con l'amministratore della società (omissis) s.r.l.; g) il prezzo convenuto per l'acquisto era conforme al valore di mercato del bene all'epoca dei fatti; h) l'inefficacia del provvedimento di confisca rispetto alla posizione dei terzi acquirenti costituitisi parte civile nel processo penale è già stata riconosciuta e la posizione degli attuali ricorrenti deve essere assimilata alle altre, non potendo ritenersi giustificata una disparità del trattamento, dal momento che gli stessi sono stati pretermessi, avendo acquistato l'immobile quando il processo era già iniziato.
Motivi della decisione
1. I ricorsi sono inammissibili, perché diretti, con argomentazioni generiche, ad ottenere una rivalutazione di elementi già presi adeguatamente in considerazione dal giudice dell'esecuzione, riducendosi ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare un'effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame (ex plurimis, Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970). A
fronte della ricostruzione e della valutazione della Corte di appello, non si offre la compiuta rappresentazione e dimostrazione di alcuna evidenza (pretermessa ovvero infedelmente rappresentata dal giudicante) di per sé dotata di univoca, oggettiva e immediata valenza esplicativa, tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della decisione impugnata, per l'intrinseca incompatibilità degli enunciati.
La difesa, senza prendere in considerazione la motivazione dell'ordinanza impugnata, propone un'elencazione di circostanze fattuali (così definite a pag. 5 dell'atto di ricorso), mediante una censura che risulta diretta a sollecitare accertamenti di fatto e una alternativa valutazione del quadro indiziario, preclusa in sede di legittimità.
2. In punto di diritto, si deve evidenziare che la giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Sez. 3, 36310 del 05/07/2019, Rv. 277346; Sez. 3, n. 32363 del 24/05/2017, Rv. 270443; Sez. 3, n. 45833 del 18/10/2012, Rv. 253853), ha chiarito come la Corte di Strasburgo abbia ritenuto arbitraria la confisca (considerata sanzione penale secondo le previsioni della CEDU) applicata a soggetti che, a fronte di una base legale non accessibile e non prevedibile, non siano stati messi in grado di conoscere il senso e la portata della legge penale, a causa di un errore insormontabile che non può essere in alcun modo imputato a colui o colei che ne è vittima. La Corte di cassazione ha perciò fornito un'interpretazione adeguatrice del d.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, alle decisioni della Corte Europea dei diritti dell'uomo, escludendo l'applicabilità della confisca nei confronti di chi risulti effettivamente in buona fede e ritenendo, per questa via, irrilevante la questione di costituzionalità, per asserito contrasto con gli artt. 27 e 42 Cost. e art. 117 Cost., comma 1 (in relazione all'art. 7 CEDU), del d.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, nella parte in cui consente la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite a prescindere dal giudizio di responsabilità e nei confronti di persone estranee ai fatti, poiché la confisca non è prevista nei confronti di terzi tout court, bensì di soggetti che hanno partecipato materialmente con il proprio atto d'acquisto al reato (ex plurimis, Sez. 3, n. 32363 del 24/05/2017, Rv. 270443Sez. 3, n. 39078 del 13/07/2009, Rv. 245348; Corte Cast. n. 239 del 16/07/2009), sottolineando infine che la confisca è condizionata, sotto il profilo soggettivo, quantomeno all'accertamento di profili di colpa nella condotta dei soggetti sul cui patrimonio la misura viene ad incidere.
In tale contesto interpretativo è stato poi affermato (ex multis, Sez. 3, n. 36310 del 05/07/2019, Rv. 277346; Sez. 3, n. 51429 del 15/09/2015, Rv. 269289; Sez. 3, n. 51387 del 24/10/2013) che, quanto all'identificazione della condotta del terzo acquirente di buona fede, essa si risolve, in sostanza, nell'avere il terzo partecipato inconsapevolmente alla operazione illecita pur avendo adempiuto ai doveri di informazione e conoscenza richiesti dall'ordinaria diligenza; cosicché la sua responsabilità è configurabile quando egli non abbia acquisito elementi circa le previsioni urbanistiche e pianificatorie di zona, in quanto con tale imprudente e negligente condotta si pone colposamente in una situazione di inconsapevolezza che apporta un determinante contributo causale all'attività illecita del venditore, pervenendosi alla conclusione che, pur se resta estraneo al procedimento penale per lottizzazione abusiva, l'acquirente degli immobili in cui questa si è concretizzata non è automaticamente qualificabile come terzo in buona fede rispetto all'attività criminosa. Del resto, non si prescinde, nel processo di cognizione e in quello di esecuzione, da un giudizio lato sensu definibile di responsabilità, anche se questo non ha come contenuto la responsabilità dell'illecito penale, ma concerne l'esistenza di profili di colpa essenzialmente rappresentati - come si è detto - dalla omissione dell'adeguata informazione attinente all'acquisto in rapporto ai titoli abilitativi, agli strumenti urbanistici e ad ogni altro aspetto di rilievo, tratto caso per caso dalle evidenze disponibili, che induca a ritenere o ad escludere la buona fede del terzo.
3.Ciò posto, l'ordinanza impugnata, contrariamente a quanto lamentato dalla difesa, risulta sufficientemente argomentata nella parte in cui evidenzia che vi sono elementi che inducono a ritenere l'assenza di buona fede degli acquirenti.
Si osserva che l'acquisto è intervenuto dopo il provvedimento con il quale il Tribunale di Grosseto ha disposto la confisca dei beni e senza che vi sia la documentazione di alcun pagamento di prezzo. Infatti, risulta solo che essi si sono accollati una quota del mutuo stipulato, non per la costruzione del complesso edilizio, ma per il minor importo stabilito a seguito del frazionamento dell'ipoteca originaria.
Ulteriormente, nel contratto di compravendita (art. 3) gli acquirenti dichiarano di acquistare il bene nello "stato di fatto e di diritto", nel quale si trovava, stato che affermano di conoscere. Sul punto, la Corte osserva che già nell'aprile del 2006 era stata revocata l'attestazione di agibilità e abitabilità dell'immobile. Pertanto, i ricorrenti erano consapevoli, o comunque potevano agevolmente divenirlo, dell'assenza di regolarità edilizia.
La mancata conoscenza è da ritenersi imputabile a una cattiva gestione della propria attività contrattuale e precontrattuale, sostanziatasi nel rifiuto ad avvalersi della consulenza di un tecnico. Infatti, l'assunzione delle necessarie informazioni sulla sussistenza di un titolo abilitativo e sulla compatibilità dell'intervento agli strumenti urbanistici avrebbe certamente evidenziato la non regolarità urbanistica dell'immobile per le vicende che ne avevano determinato la confisca, a seguito della ritenuta lottizzazione abusiva. Tale verifica era possibile, dal momento che avrebbero stipulato il contratto preliminare in data 16/04/2009 ed acquistato il bene dopo due anni.
La Corte di appello ha anche evidenziato che gli acquirenti hanno stipulato un contratto di compravendita al quale è allegato un regolamento, il cui art. 15 prevede astrattamente, senza comminare alcuna sanzione, che l'acquirente possa occupare per tutto l'anno l'immobile, così dimostrando che una modifica della destinazione d'uso dell'immobile, e del conseguente riconoscimento della lottizzazione abusiva, era seriamente verificabile. Si può rilevare che gli acquirenti hanno certamente beneficiato di questa modifica, riuscendo ad ottenere un prezzo più basso nell'acquisto dell'immobile. A conferma di quanto sostenuto, il giudice dell'esecuzione ha appurato che S. e P. hanno acquistato una porzione di una struttura immobiliare (facente parte del complesso immobiliare "V.P.") indicata con classamento catastale "A2", nonostante avrebbe dovuto essere oggetto di vendita come parte di un unico complesso produttivo, avente classamento "D".
A tali argomentate considerazioni i ricorrenti oppongono - come visto - una serie di rilievi fattuali in base ai quali effettuano un'alternativa ricostruzione della propria posizione rispetto alla confisca.
2. I ricorsi, in conclusione, devono essere dichiarati inammissibili. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.