Svolgimento del processo
1. — La Corte di appello di Salerno ha respinto le impugnazioni proposte da P.Z., M.B., A.Z. e P.Z. avverso la pronuncia del Tribunale per i minorenni di Salerno, che aveva dichiarato lo stato di adottabilità di A.Z., nata l’11 luglio 2012, figlia dei primi due, e rigettato la richiesta di affidamento della minore che era stata proposta dai germani della stessa, P. e A. La Corte di appello ha accertato l’inidoneità genitoriale di P.Z. e M.B. Per quanto qui rileva, va detto che la nominata Corte ha evidenziato come una recente sentenza penale, che pure aveva assolto la madre della minore dei reati che le erano stati ascritti, aveva evidenziato i gravissimi comportamenti posti in essere dal marito nei confronti della moglie e dei figli minori; secondo la sentenza impugnata la pronuncia in questione risultava essere «indicativa della totale inadeguatezza di B.M. a ricoprire responsabilmente il ruolo di genitore; costei, infatti, vittima delle violenze fisiche e psichiche del marito, al pari dei figli, non [aveva] svolto alcuna funzione di protezione in favore dei figli». Ha osservato la Corte di merito che il rapporto di dipendenza psicologica di M.B. dal coniuge l’aveva «resa del tutto incapace di operare scelte contrastanti col volere del marito, anche quando del tutto collidente con i bisogni primari dei figli»; tale condizione di sudditanza ¿ ha spiegato il Giudice di appello ¿ era del resto attuale, dal momento che M.B., nonostante l’affermazione della responsabilità penale di P.Z. in ordine al reato continuato di maltrattamenti in famiglia e di lesioni, continuava a vivere insieme al marito. La pronuncia impugnata ha quindi condiviso la prognosi sfavorevole espressa dal Tribunale quanto al recupero delle capacità genitoriali da parte della madre della minore, la quale non aveva fornito indicazioni che consentissero di affermare l’acquisto di una reale consapevolezza dei doveri correlati al ruolo di genitore, tanto da poter ipotizzare che un intervento di sostegno, ulteriore rispetto a quelli già adottati, potesse «assicurare il recupero effettivo delle capacità genitoriali, per di più in tempi compatibili con le esigenze della figlia A., che, affetta da gravissime patologie, [viveva] in comunità da circa dieci anni». E’ da aggiungere, infatti, che la condizione della minore è purtroppo segnata, fin dalla nascita, dalla presenza di gravissimi danni cerebrali, onde la stessa risulta essere priva della vista, oltre che portatrice di un ritardo cognitivo.
2. ¿ La sentenza è stata impugnata per cassazione da M.B. con un ricorso articolato in due motivi. Resistono con controricorso la tutrice e la curatrice speciale della minore.
Motivi della decisione
1. — Il primo motivo oppone la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c.. Si deduce che la motivazione del provvedimento impugnato non conterrebbe alcuna indicazione delle ragioni di fatto poste a fondamento della decisione e che, inoltre, anche a voler ritenere esistente l’esposizione di tali ragioni, la Corte di merito avrebbe «mal sussunto la fattispecie sotto gli artt. 1 e 8 della l. n. 184/1983». Si lamenta che il Giudice distrettuale abbia operato una mera trasposizione delle argomentazioni adottate dal Tribunale senza esaminare e valutare gli specifici motivi di gravame. Si contestano le argomentazioni della pronuncia impugnata rilevandosi come, tra l’altro, la pregressa dichiarazione di adottabilità assunta nei confronti di un altro figlio della coppia non potesse in sé giustificare l’adozione automatica del medesimo provvedimento nei confronti della piccola A..
Il secondo mezzo denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1, 8, 12, comma 1, 15 e 17, comma 4, l. n. 184/1983, 2729 c.c., della Convenzione di Strasburgo ratificata con l. n. 357/1974 e degli artt. 29 e 30 Cost.. Si sostiene che le valutazioni compiute dalla Corte di appello sarebbero carenti in punto di motivazione, la quale risulterebbe viziata sotto il profilo dell’implicazione logica, posto che i fatti valorizzati nel provvedimento non autorizzerebbero a concludere per lo stato di irreversibile abbandono della minore da parte della madre. Si sostiene, in particolare, che l’asserita irrecuperabilità della capacità genitoriale della ricorrente sarebbe «frutto di mere ‘presunzioni’ e non di ‘fatti’ concretamente accertati».
2. ¿ Il ricorso è nel complesso infondato.
Il diritto del minore di crescere nell'ambito della propria famiglia d'origine, considerata l'ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, è tutelato dall'art. 1 l. n. 184 del 1983. Ne consegue che il giudice di merito deve prioritariamente tentare un intervento di sostegno diretto a rimuovere situazioni di difficoltà o disagio familiare e, solo quando, a seguito del fallimento del tentativo, risulti impossibile prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di crescere in uno stabile contesto familiare, è legittima la dichiarazione dello stato di adottabilità (Cass. 30 giugno 2022, n. 20948; Cass. 27 settembre 2017, n. 22589). Come è stato di recente ribadito, le disposizioni degli artt. 1 e 8 l. n. 184 del 1983 esprimono l'esigenza che l'adozione del minore, recidendo ogni legame con la famiglia di origine, costituisca una misura eccezionale (una extrema ratio) cui è possibile ricorrere, non già per consentirgli di essere accolto in un contesto più favorevole, così sottraendolo alle cure dei suoi genitori biologici, ma solo quando si siano dimostrate impraticabili le altre misure, positive e negative, anche di carattere assistenziale, volte a favorire il ricongiungimento con i genitori biologici, ai fini della tutela del superiore interesse del figlio: il ricorso alla dichiarazione di adottabilità di un figlio minore è consentito, pertanto, solo in presenza di «fatti gravi», indicativi, in modo certo, dello stato di abbandono, morale e materiale, che devono essere «specificamente dimostrati in concreto», senza possibilità di dare ingresso a giudizi sommari di incapacità genitoriale, seppure espressi da esperti della materia, non basati su «precisi elementi fattuali», idonei a dimostrare un reale pregiudizio per il figlio e di cui il giudice di merito deve dare conto (così, in motivazione, Cass. Sez. U.17 novembre 2021, n. 35110). La capacità genitoriale, poi, non va valutata solo con riferimento alla persona del genitore in quanto tale, bensì anche nella prospettiva concreta dell'interrelazione tra genitore e minore (cfr. Cass. 12 novembre 2021, n. 35838); e ciò ben può portare ad attribuire rilievo, secondo le circostanze, anche alla concreta possibilità, da parte del genitore interessato, di superare le criticità che segnano il rapporto con un compagno e le condizioni di una vita di coppia che minano alla radice le attività di accudimento ed educative che riguardano il minore: tanto più in una situazione in cui quest’ultimo necessiti di particolari cure e attenzioni a causa della presenza di gravi disabilità.
Ora, la Corte di merito ha posto in risalto proprio quest’ultimo profilo, muovendo dal rilievo per cui M.B. non si era dimostrata capace di «tutelare i figli dalle condotte pregiudizievoli del padre, assicurando loro un ambiente familiare sicuro e sereno» (pag. 19 della sentenza impugnata): affermazione, questa, riferita, appunto, a un contesto familiare in cui non solo A., ma anche gli altri figli, P. e A., ora maggiorenni e dichiarati in passato adottabili (sentenza, pag. 22) sono portatori di handicap (ivi, pag. 15). Si tratta, come è evidente, di un giudizio sulla capacità genitoriale che, per quanto riguarda la vicenda che interessa A., non risulta enunciato in via astratta, ma che appare di contro fondato sulla sperimentata inadeguatezza del modello educativo che aveva portato a riconoscere lo stato di abbandono dei primi due figli.
La pronuncia impugnata non presenta, in tal senso, i vizi denunciati. Non ricorre, anzitutto, il vizio motivazionale, tenuto conto che è oggi denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali («mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico», «motivazione apparente», «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili», «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile»: Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054). Deve pure negarsi che si configuri, nella fattispecie, la denuncia del vizio motivazionale determinato dall’adozione di un impianto argomentativo basato sul semplice rinvio alla pronuncia di primo grado: infatti la decisione dell’appello di M.B. risulta modellata sui motivi di gravame, riassunti alle pagg. 17, 18 e 19 del ricorso, né l’istante si mostra in grado di spiegare in che modo la motivazione spesa dalla Corte di merito assuma i connotati della motivazione per relationem. Va parimenti disattesa la censura vertente sull’uso delle presunzioni, giacché la capacità genitoriale è materia di un accertamento di fatto devoluto al giudice del merito: e la Corte di appello ha formulato il proprio giudizio sulla scorta del corredo probatorio portato al suo esame, che era comprensivo delle relazioni degli assistenti sociali e degli psicologi: elementi questi ultimi, che costituiscono, nel quadro dei rapporti informativi, degli accertamenti e delle indagini da compiere in via sommaria e secondo il rito camerale, indizi sui quali il giudice ben può fondare il proprio convincimento (Cass. 23 gennaio 2019, n. 1883; Cass. 8 gennaio 2013, n. 232). E’ da escludere, infine, che la violazione o falsa applicazione delle altre disposizioni richiamate nella rubrica del secondo motivo, visto che la Corte di merito ha valutato quanto le competeva in punto di diritto, e cioè il possesso, in capo alla ricorrente, delle capacità genitoriali a fronte della necessità della minore di crescere in un contesto familiare sereno e accudente.
3. ¿ Reputa il Collegio che, in ragione della particolarità della vicenda trattata, incentrata sul controverso recupero di capacità genitoriali e sulla rimozione di complesse situazioni di disagio familiare, ricorrano le condizioni per una statuizione di integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
Poiché il procedimento è esente (art. 82, comma 1, l. n. 184/1983), esso, a norma dell’art. 10, comma 1, d.p.r. n. 115/2002, non è soggetto al contributo unificato, onde non opera la disposizione di cui all’art. 13, comma 1 quater, del medesimo decreto circa il raddoppio del detto contributo.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di legittimità; in caso di diffusione del provvedimento di dispone omettersi le generalità e gli altri atti identificativi di quanto sono stati ivi citati.