Svolgimento del processo
La Corte di appello di Napoli, con sentenza pronunziata in data 23 giugno 2022, ha integralmente confermato, in tal modo rigettando l'impugnazione presentata dall'imputato, la sentenza, emessa il precedente 9 aprile 2018 dal Tribunale di Napoli, con la quale G. R., imputato del reato di violenza sessuale continuata ed aggravata dal rapporto di parentela in danno della nipote ex filio G. I., di anni 5 al momento dei fatti, era stato condannato, essendo stato riconosciuto responsabile, alla pena di anni 7 di reclusione, oltre accessori.
Ha interposto ricorso per cassazione avverso la detta sentenza l'imputato, articolando tre motivi di impugnazione, aventi, rispettivamente, ad oggetto: il vizio di motivazione sia riferito alle ragioni che hanno indotto il giudici del merito a discostarsi, nel valutare le risultanze della escussione della minore persona offesa, dalla verifica sul rispetto delle linee operative indicate nei protocolli previsti dalla cosiddetta Carta di Noto, senza che sia stata data giustificazione delle ragioni di tale scostamento, sia riferito alla mancata valutazione della possibilità che le propalazioni della persona offesa siano state oggetto di una forma di "inquinamento" informativo a causa delle precedenti confidenze che la minore aveva scambiato con sorella, madre ed assistenti sociali, sia, infine, in relazione alla contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, essendo stata per un verso indicata come univoca la ricostruzione del fatti riportata dai vari testi ed essendo state, poi, ricordate le distonie esistente fra i vari racconti resi dai testi medesimi.
Con il secondo motivo di ricorso è censurata la sentenza in relazione alla mancata applicazione quanto al caso di specie della circostanza attenuante ad effetto speciale della minore gravità del fatto, non essendo stata provata, oltre ogni ragionevole dubbio, la ripetitività delle condotte delittuose.
Infine, il terzo motivo di impugnazione ha ad oggetto il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in favore del prevenuto.
Motivi della decisione
Il ricorso, essendo risultati infondati o inammissibili motivi posto alla sua base, deve essere rigettato.
In relazione al primo motivo di impugnazione - riguardante la mancata applicazione delle linee direttive suggerite dai protocolli della Carta di Noto allorché si debba procedere all'ascolto di un minore abusato, e, più in generale, il vizio motivazionale in punto di valutazione di attendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese dalla minore persona secondo modalità ritenute non tranquilizzanti dalla ricorrente difesa - se ne rileva la infondatezza per le ragioni che saranno qui di seguito rassegnate.
Invero, come ancora di recente questa Corte ha osservato, peraltro ribadendo un principio ben consolidato, il rispetto dei protocolli operativi previsti dalla Carta di Noto nelle ipotesi in cui si debba procedere all'audizione di un minore vittima di abusi non costituisce in vincolo metodologico che debba essere rispettato dal giudice a pena di inutilizzabilità della prova in tale modo acquisita (Corte di cassazione, Sezione III penale, 9 gennaio 2017, n. 648), posto che tali metodiche si limitano a fornire suggerimenti volti a garantire in realtà non solo l'attendibilità delle dichiarazioni del minore, ma anche, se non soprattutto, a tutelare, attraverso l'utilizzo anche di strumenti tecnici e di competenze anche specialistiche, la protezione psicologica dello stesso in occasione dell'esperimento della prova onde evitare il verificarsi di fenomeni di vittimizzazione secondaria della persona offesa (Corte di cassazione, Sezione III penale, 10 aprile 2019, n. 15737); come questa Corte ha, d'altra parte precisato, lo scarto fra le metodiche effettivamente applicate e quelle suggerite dalla Carta di Noto, laddove le stesse non siano state trasfuse in disposizioni legislative di fonte statuale, ha quale effetto - esclusa come detto la illegittimità o la inutilizzabilità della prova in questione - l'insorgenza in capo al giudicante di un dovere di illustrare le ragioni per le quali, secondo il suo libero, ma non arbitrario convincimento, la prova dichiarativa assunta senza l'osservanza di dette metodiche debba ritenersi comunque attendibile, assolvendo ad un onere motivazionale tanto più stringente quanto più grave e patente sia stato, anche alla luce delle eccezioni difensive, lo scostamento dalle menzionate linee guida (Corte di cassazione, Sezione III penale, 8 febbraio 2023, n. 5433).
Quanto alla presente fattispecie, premessa la genericità delle censure riguardanti siffatte violazioni, genericità segnalata dalla Corte di Napoli (caratteristica questa dell'atto di gravame non oggetto di contestazione in sede di ricorso per cassazione né oggetto di smentita materiale attraverso la puntuale indicazione nella medesima sede di quelle che sarebbero state le violazioni dei protocolli operativi cui ci si è riferiti, ove si eccettui un vago e generico riferimento alla mancata ripresa audiovisiva dei colloqui intercorsi fra la minore abusata e la dott.ssa P., soggetto che ha avuto in cura la G. presso un Istituto specialistico dopo che la stessa ebbe a manifestare, successivamente ai lamentati abusi dei disturbi da stress) si rileva che la Corte territoriale, investita da un motivo di gravame riguardante il profilo concernente la valutazione della propalazioni accusatorie della minore, ha puntualmente dato atto sia della loro genesi spontanea, sia della loro identità narrativa nelle diverse sedi in cui le stesse sono state riportate, sia della esistenza di taluni fattori, costituiti dalle condizioni di stress emotivo nelle quali la bambina si era trovata una volta data la stura al suo racconto, costituenti un riscontro indiziario della veridicità di quanto da lei riferito.
La Corte ha, ancora, chiarito come fosse da escludere che il narrato della persona offesa potesse essere il frutto di una manipolazione calunniatoria ordita dai suoi genitori in danno dell'imputato, posto che di un tale intento non era emerso alcun elemento sintomatico; anzi la Corte ha rimarcato come la madre della G., la quale ha pur riferito quanto la figlioletta le aveva detto in ordine alle condotte del nonno (racconto poi replicato anche al padre della persona offesa da quest'ultima), non ha mostrato in tale occasione nessun intento ritorsivo, né alcun particolare astio verso il ricorrente, né, tantomeno, volontà di carattere economicamente speculativo, come testimoniato dalla circostanza che, allo stato e quanto meno in sede di giudizio penale, non risulta essere stata avanzata alcuna istanza risarcitoria in danno dell'imputato.
Va ricordato che quanto detto dalla minore alla madre corrisponde a quanto dalla medesima riferito anche, come detto, al padre ed alla già citata dott.ssa P.; una siffatta costanza narrativa, tanto più se riferita ad una bambina, segnala logicamente la veridicità di quanto dalla medesima riferito portando ad escludere che ciò potesse essere frutto di una sua estemporanea fantasia, attesa la naturale mutevolezza della ideazione narrativa infantile; va. ancora, segnalato come la Corte abbia tenuto conto, ad ulteriore conferma della genuinità delle accuse della minore, della valutazione specialistica operata dalla dott.ssa P. (della quale, trattandosi di specialista in servizio presso una istituzione che, sebbene privata, opera in stretta sinergia con la sanità pubblica, non risulta evidentemente segnalabile - né esso è stato dalla difesa dell'imputato ipotizzato - alcun interesse a sostenere una determinata ricostruzione piuttosto che un'altra) la quale ha evidenziato - come dalla Corte di appello è stato sapientemente messo in luce - la piena coerenza delle risultanze delle prove psicodiagnostiche messa in atto riguardo alla minore con il contenuto del suo racconto.
I risultati di tali prove hanno delineato l'esistenza di una serie di elementi comportamentali della G., puntualmente elencati dalla Corte partenopea, che "la letteratura scientifica di riferimento (come riportato nelle conclusione del predetto professionista, cui, in sede di motivazione, la citata Corte ha mostrato di aderire pienamente) considera ricorrenti nelle piccole vittime di abuso sessuale".
Ritiene, pertanto, questo Collegio che la Corte di Napoli, attraverso la esauriente motivazione stilata al riguardo abbia più che adeguatamente esposto le ragioni per le quali, sebbene non siano stati rispettati tutti i parametri operativi suggeriti dai protocolli della Carta di Noto, il racconto degli abusi subiti ad opera del nonno fatto dalla persona offesa, puntualmente riferito da quanti lo hanno appreso dalla viva voce della stessa, debba intendersi pienamente attendibile.
Né una tale conclusione appare essere viziata dalla manifesta irragionevolezza della motivazione della sentenza, per come sostenuto dalla ricorrente difesa, sol perché non si sa in che termini, allorchè la madre della persona offesa ne ricevette le confidenze, quella abbia provveduto - secondo quanto riportato dal padre della minore, cui i medesimi fatti sono stati poi ripetuti - ad "invogliarla a parlare" o sol perché non sarebbe dato sapere come siano stati condotti i test valutativi somministrati dalla dott.ssa P. alla minore.
Intanto non può non osservarsi che "invogliare una persona a parlare", anche "tirandole le parole di bocca", non ha il significato né di spingere tale soggetto a dire cose determinate né, tantomeno, cose false (invero, l'espressione più appropriata per una tale evenienza sarebbe stata "mettendole le parole in bocca"); di tal che l'attività posta in essere dalla madre della persona offesa, volta a non creare al momento delle rivelazioni della figlia un clima di tensione (è infatti lo steso ricorrente che segnala il fatto che l'Ariosto, madre della G., parlasse, in quella circostanza, con quest'ultima "con calma") ma volto a consentire a questa di esternare serenamente quanto occorsole, non appare modalità di ascolto atta a rendere inattendibile quanto in tale modo appreso; correttamente la Corte di Napoli ha, pertanto, ritenuto tale atteggiamento materno non idoneo a pregiudicare la valutazione sulla veridicità di quanto riferito dalla minore.
In ordine poi alle modalità seguite dalla dott.ssa P. nella somministrazione alla minore dei test psicodiagnostici, i dubbi sollevati ora dalla ricorrente difesa appaiono frutto di elementi meramente ipotetici, non essendoci dati obbiettivi per potere ipotizzare, e meno ancora sostenere, che nell'esercizio della sua attività professionale la dott.ssa P., in ordine alle capacità tecniche della quale nessun elemento di perplessità è stato neppure prospettato dalla ricorrente difesa, si sia discostata delle ordinarie leges artis che assicurano di regola l'affidabilità delle risultanze derivanti dai predetti test.
Anche sotto i profili descritti la logicità della motivazione della sentenza impugnata regge solidamente all'urto del motivo di impugnazione formulato dalla ricorrente difesa.
Venendo al successivo motivo di impugnazione, avente ad oggetto la mancata qualificazione del fatto contestato nell'ambito della ipotesi di minore gravità di cui al comma terzo dell'art. 609-bis cod. pen. non può non segnalarsi, osservando che si tratta di rilievo idoneo a determinarne la inammissibilità, che nello sviluppare la sua doglianza la difesa dell'imputato offre all'esame di questa Corte una lettura del tutto parziale della sentenza della Corte di Napoli; non risponde, infatti, al reale contenuto della motivazione della decisione ora in scrutinio l'affermazione che siffatta qualificazione sia stata esclusa in funzione della "non provata oltre ogni ragionevole dubbio" ripetitività delle condotte abusanti.
Osserva infatti la Corte che, anche a voler prescindere - trattandosi di questione non significativa ai fini della presente decisione - dalla soluzione del quesito inerente alla circostanza se le condotte abusanti del prevenuto si siano o meno sviluppate lungo un determinato lasso di tempo attraverso la commissione di diversi atti sessualmente rilevanti in danno della nipote ex filio, la motivazione della Corte partenopea ha fatto puntuale e buon governo dei principi ermeneutici svariate volte espressi da questa Corte (si veda per tutte: Corte di cassazione, Sezione III penale, 28 dicembre 2022, n. 49308), in ordine alla necessità di operare, ai fini della qualificazione del reato in questione come caratterizzato dalla "minore gravità", una valutazione globale della complessiva vicenda, rilevando che, nella specie, il fatto non poteva essere qualificato nell'ambito della minore gravità in funzione di plurimi dati, ciascuno dei quali, si osserva, sarebbe anche se da solo considerato sufficiente ad escludere la benevola qualificazione (si veda, infatti, in tale senso: Corte di cassazione, Sezione III penale, 1 marzo 2023, n. 8735), costituiti, nella specie, dallo stato di evidente e profonda soggezione psicologica in cui la persona offesa si trovava riaspetto al reo vuoi per la sua giovanissima età vuoi per il naturale rapporto di fiducia che la legava al nonno, e dalla tipologia dei rapporti imposti alla minore, non certo indicativi di una lieve compromissione della sua intima sfera di percezione della sessualità, ed ancora dalle conseguenze che gli stessi hanno determinato, anche in relazione alla compromissione del rapporto affettivo nutrito verso l'avo dalla minore, danneggiandone il suo sviluppo e benessere psicologico.
Fattori tutti questi esemplarmente evidenziati dalla Corte di Napoli e negligentemente trascurati, nella formulazione del motivo di impugnazione, dalla difesa dell'imputato.
Da ultimo, con riferimento alla mancata attribuzione del beneficio delle circostanze attenuanti generiche - la cui esclusione già sarebbe stata giustificata non soltanto dalla mancanza di elementi positivi che le avrebbero potute consentire, quanto dalla condizione di soggetto già pregiudicato del G., evidentemente non ammaestrato dalle precedenti condanne subite, la cui mancanza di specificità non esclude che possa lo stesso essere delineata l'immagine di un soggetto poco incline al rispetto dei precetti penali - si osserva la piena irrilevanza del dato legato alla, enfatizzata in sede di impugnazione, adesione del prevenuto alla richiesta di essere sottoposto ad esame dibattimentale.
Al riguardo non può non osservarsi che una siffatta condotta - o, in linea di generalizzazione, quello che viene comunemente descritto come "il comportamento processuale dell'imputato" - potrebbe essere considerata rilevante ai fini della concessione del beneficio in questione solo nella ipotesi in cui in tale occasione (o attraverso tale comportamento) il prevenuto, facendo piena ammissione di colpevolezza o comunque tenendo condotte oggettivamente agevolative il raggiungimento di una piena ed esauriente verità processuale (da intendersi in questo caso necessariamente coincidente con quella storica), non solo dimostri di avere compreso il valore negativo delle proprie condotte criminose, ma consenta, fornendo elementi conoscitivi di giudizio che sino a quel momento erano ignoti alle parti (o quanto meno al giudicante), una più celere e completa definizione del processo.
Ma laddove ciò non si verifichi non può non osservarsi che l'adesione dell'imputato alla richiesta di essere sottoposto all'esame, così come qualsiasi altra dichiarazione da lui rilasciata o condotta da lui tenuta in giudizio, deve essere considerata una delle possibili forme di manifestazione dell'esercizio del suo diritto alla difesa; esercizio indubbiamente come tale intangibile, ma non per questo di per sé sintomatico della esistenza di comportamenti tali da legittimare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Al rigetto del ricorso proposto dal G. tiene dietro la condanna del medesimo, visto l'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.