Inoltre, requisito fondamentale del delitto ex art. 4 L. n. 300/1970 è che siano presenti lavoratori nel luogo ripreso dagli impianti di videosorveglianza.
Svolgimento del processo
Con sentenza emessa in data 28 aprile 2022, il Tribunale di Messina ha dichiarato la penale responsabilità di (omissis) (omissis) ,er il reato di cui all'art. 4 legge n. 300 del 1970, e la ha condannata alla pena di euro 3.000,00 di ammenda.
Secondo quanto ricostruito dal Tribunale, (omissis) in qualità di titolare di un bar, in data 13 dicembre 2018, avrebbe installato un impianto videosorveglianza senza la preventiva autorizzazione richiesta dalla legge.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale indicata in epigrafe (omissis) (omissis) con atto sottoscritto dall'avvocato(omissis) (omissis) articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, con riferimento all'art. 4 legge n. 300 del 1970, avendo riguardo alla ritenuta configurabilità della fattispecie di reato per la quale è stata pronunciata condanna.
Si deduce, in particolare, che non sono fornite indicazioni su due elementi centrali della fattispecie, perché non si dà conto se l'impianto fosse preposto alla registrazione, né se l'imputata fosse datrice di lavoro di qualcuno. Si segnala che, anzi, l'impianto è a circuito chiuso e non implica alcuna registrazione, e che l'azienda non ha dipendenti. Si osserva, inoltre, che non vi sono elementi idonei ad affermare la coscienza e volontà del fatto illecito e che manca una effettiva valutazione critica della attendibilità del principale teste di accusa.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia l'eccessività della pena.
Si deduce che la stessa è sproporzionata, avendo riguardo al fatto contestato ed al contesto in cui lo stesso si è verificato.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen.
Si deduce che dovrebbe essere comunque riconosciuta la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, per la modestia del danno e per la minima intensità del dolo.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato in relazione alle censure esposte nel primo motivo, per le ragioni di seguito precisate, con assorbimento delle ulteriori doglianze.
2. Le censure formulate nel primo motivo contestano la ritenuta configurabilità del reato, deducendo che non è indicato se l'imputata fosse datrice di lavoro di qualcuno, e che l'impianto era inidoneo ad effettuare registrazioni.
2.1. Per chiarezza, occorre una duplice. precisazione di carattere generale.
Innanzitutto, va osservato che la presenza di lavoratori nel luogo ripreso dagli impianti di videosorveglianza è requisito imprescindibile per la configurabilità del reato in contestazione. Invero, detto reato, sulla base di quanto previsto dall'art. 15 d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, che costituisce la disposizione incriminatrice, è integrato dalla violazione dell'art. 4, comma 1, legge 20 maggio 1970, n. 300, previsione a sua volta diretta a regolamentare l'uso, da parte del datore di lavoro degli impianti audiovisivi e degli altri strumenti «dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori».
Va poi rilevato che, secondo un principio enunciato in giurisprudenza, non è configurabile la violazione della disciplina di cui agli artt. 4 e 38 legge n. 300 del 1970 - tuttora penalmente sanzionata in forza dell'art. 171 d.lgs. n. 196 del 2003, come modificato dalla legge n. 101 del 2018 - quando l'impianto audiovisivo o di controllo a distanza, sebbene installato sul luogo di lavoro in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali legittimate o di autorizzazione dell'Ispettorato del lavoro, sia strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale, sempre che il suo utilizzo non implichi un significativo controllo sull'ordinario svolgimento dell'attività lavorativa dei dipendenti o resti necessariamente "riservato" per consentire l'accertamento di gravi condotte illecite degli stessi (così Sez. 3, n. 3255 del 14/12/2020, dep. 2021, Wang Yong Kang, Rv. 280542-01).
2.2. La sentenza impugnata si presenta lacunosa sotto entrambi i profili.
La decisione del Tribunale di Messina, infatti, si limita a dare atto che, nel bar di cui l'imputata era titolare, erano stati installati un monitor e cinque telecamere, sebbene in difetto di espressa autorizzazione.
La pronuncia, però, non precisa né se nell'esercizio commerciale gestito dall'imputata prestassero servizio dei lavoratori subordinati di questa, né, in ogni caso, se l'impianto di videosorveglianza implicasse un significativo controllo sull'ordinario svolgimento dell'attività lavorativa dei dipendenti e non vi fosse la necessità di mantenerlo "riservato" per consentire l'accertamento di gravi condotte illecite degli stessi.
3. La fondatezza delle censure sopra precisate impone l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Il Giudice del rinvio, che si individua nel Tribunale di Messina in diversa persona fisica, a norma di quanto previsto dall'art. 623, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., valuterà se debba o meno ritenersi sussistente il reato di cui agli artt. 4 e 38 legge n. 300 del 1970, e 171 d.lgs. n. 196 del 2003, come modificato dalla legge n. 101 del 2018, in particolare verificando se, nel bar gestito dall'imputata, prestassero servizio lavoratori subordinati, e, in caso affermativo, se l'impianto di videosorveglianza ivi posizionato implicasse un significativo controllo sull'ordinario svolgimento dell'attività lavorativa dei dipendenti e non vi fosse la necessità di tenerlo "riservato" per consentire l'accertamento di gravi condotte illecite degli stessi.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Messina, in diversa persona fisica.