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Tizia, con ricorso, aveva chiesto al Tribunale di condannare la società datrice di lavoro al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale patito in conseguenza dell'infortunio da lei subìto. In particolare, la ricorrente ha allegato che, mentre stava lavorando alla pressa per prosciutti dello stabilimento della convenuta, inserendo un pezzo di prosciutto disossato negli stampi del macchinario, la sua mano destra era rimasta incastrata tra il pistone pressatore e lo stampo dove si carica il prodotto ed era stata conseguentemente schiacciata, riportando gravi lesioni all'arto. Costituendosi in giudizio, la società eccepiva che l'evento infortunistico era stato causato da guasto fortuito e imprevedibile del macchinario. |
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A seguito dell'istruttoria di causa era emerso la macchina su cui si era verificato l'infortunio era munita di una barriera fotoelettrica intorno agli stampi su cui era stato caricato il prosciutto che, se attraversata dalla mano del lavoratore addetto al macchinario, causava l'arresto del pistone pressante. In proposito, secondo l'informativa redatta dal Servizio di Prevenzione dell'ASL, durante tale manovra, la mano della signora Tizia intercettava nuovamente la barriera fotoelettrica bloccando la pressa. Questo fatto aveva contenuto il danno subìto dalla signora, infatti se la spondina fosse andata a fine corsa, cosa non avvenuta per intercettazione della barriera fotoelettrica, il danno sarebbe stato l'amputazione delle dita della signora. Pertanto, secondo l'ASL, l'infortunio era imputabile, con buon grado di probabilità, ad una anomalia di funzionamento della spondina; dunque, l'evento «non era stato determinato da violazioni di norme sulla sicurezza del lavoro, bensì da un guasto fortuito e imprevedibile». Secondo il CTU, invece, l'anomalia di funzionamento della spondina della stazione non avrebbe potuto causare, da sola l'infortunio: sarebbe stata necessaria anche la mancanza di segnalazione dell'anomala posizione della spondina stessa a causa dell'esistenza di una zona libera dalla protezione delle fotocellule. Alla luce di quanto esposto, secondo il giudicante, nella vicenda vi era una mancanza, nella valutazione dei rischi della società dell'analisi dei possibili rischi dovuti alla presenza di una zona “libera” dalla barriera di fotocellule che consente il raggiungimento della zona della spondina da parte dell'operatore, in concomitanza con l'assenza di segnali di controllo della posizione della spondina stessa. Per meglio dire, nella vicenda in commento, l'evento infortunistico era riconducibile a una carenza del datore di lavoro nell'adozione di ogni misura concretamente idonea a evitare il pericolo di lesioni agli operatori del macchinario pressatore. Poiché, nell'azione di risarcimento del danno da infortunio sul lavoro grava sul datore di lavoro l'onere di provare di avere esattamente adempiuto ai suoi obblighi di prevenzione e di assicurazione della sicurezza dei lavoratori, la persistenza del dubbio circa l'adozione di ogni necessaria misura di sicurezza, comportava nel caso in esame l'accertamento della sua responsabilità per i danni causati al lavoratore dall'evento infortunistico. Per le ragioni esposte, il datore è stato ritenuto obbligato all'integrale risarcimento del danno subìto dal lavoratore per effetto di questo inadempimento. |
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Ai sensi dell'art. 2087 c.c., l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie per tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Dunque, poiché l'art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro obblighi di natura contrattuale, ai sensi dell'art. 1218 c.c. la responsabilità di quest'ultimo può essere esclusa solo se egli prova di avere adottato tutte le misure di sicurezza idonee a evitare il danno e che questo si è verificato a causa di un evento imprevisto e imprevedibile (Cass. civ., sez. lav., 23 aprile 2008, n. 10529). La giurisprudenza di legittimità ha inoltre chiarito che l'art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro di adottare non soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge, ma anche le altre misure in concreto necessarie per prevenire lesioni ai lavoratori derivanti da possibili guasti dei macchinari utilizzati dai lavoratori stessi (Cass. civ., sez. lav., 7 giugno 2013, n. 14468). Proprio in tema di macchine, i giudici amministrativi hanno sottolineato che gli obblighi del datore non si riferiscono soltanto alle attrezzature, ai macchinari ed ai servizi che il datore di lavoro fornisce o deve fornire ma si estendono, nella fase dinamica dell'espletamento del lavoro, ai comportamenti necessari per prevenire possibili incidenti (TAR Lazio-Roma 3 febbraio 2014, n. 1291). Da ciò consegue che l'adempimento dell'obbligo di tutela dell'integrità fisica del lavoratore è un obbligo di prevenzione che impone al datore di lavoro di adottare non solo le particolari misure tassativamente imposte dalla legge in relazione allo specifico tipo d'attività esercitata e quelle generiche dettate dalla comune prudenza, ma anche tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per proteggere il lavoratore. In tale circostanza, in caso di danno alla salute, il danneggiato non ha diritto al solo risarcimento del danno patrimoniale, ma anche di quello non patrimoniale. Secondo l'interpretazione da tempo consolidata, infatti, l'art. 2059 c.c., prevedendo che il danno non patrimoniale è risarcibile nei casi previsti dalla legge, fa riferimento anche alla Costituzione: ne consegue che, in caso di lesione a un diritto riconosciuto dalla Carta fondamentale (come il diritto alla salute di cui all'art. 32 Cost.), il danno non patrimoniale è sempre risarcibile, dovendosi garantire una tutela minima dei diritti fondamentali (Cass. S.U. 11 novembre 2008, nn. 26972-26795). |
Tribunale di Parma, sez. Lavoro, sentenza (ud. 9 febbraio 2023) 13 febbraio 2023, n. 58
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. Con ricorso depositato in data 16.11.2017, S.A. ha chiesto al Tribunale di Parma di condannare la società datrice di lavoro G.C. s.p.a. al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale patito in conseguenza dell’infortunio da lei subito in data 27.8.2010.
2. La ricorrente ha allegato che, mentre stava lavorando alla pressa per prosciutti dello stabilimento della convenuta, inserendo un pezzo di prosciutto disossato negli stampi del macchinario, la sua mano destra è rimasta incastrata tra il pistone pressatore e lo stampo dove si carica il prodotto ed è stata conseguentemente schiacciata, riportando gravi lesioni all’arto.
3. G.C. s.p.a. si è costituita in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso in quanto infondato in fatto e in diritto e sostenendo, in particolare, che l’evento infortunistico fosse stato causato da guasto fortuito e imprevedibile del macchinario.
4. La causa è stata istruita mediante escussioni testimoniali e due consulenze tecniche di ufficio: la prima, volta alla ricostruzione tecnica della dinamica dell’incidente; la seconda, volta all’accertamento medico-legale del danno patrimoniale e non patrimoniale riportato dalla ricorrente per effetto dell’infortunio.
5. A seguito di discussione, la causa è stata decisa con lettura in udienza della sentenza.
6. Il ricorso è fondato e deve essere accolto nei termini che seguono.
7. Ai sensi dell’art. 2087 c.c., «l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».
8. Poiché l’art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro obblighi di natura contrattuale, ai sensi dell’art. 1218 c.c. la responsabilità di quest’ultimo può essere esclusa solo se egli prova di avere adottato tutte le misure di sicurezza idonee a evitare il danno e che questo si è verificato a causa di un evento imprevisto e imprevedibile (Cass. 23 aprile 2008, n. 10529).
9. La giurisprudenza di legittimità ha inoltre chiarito che l’art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro di adottare non soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge, ma anche le altre misure in concreto necessarie per prevenire lesioni ai lavoratori derivanti da possibili guasti dei macchinari utilizzati dai lavoratori stessi (Cass. 7 giugno 2013, n. 14468).
10. È pacifico tra le parti che la macchina su cui si è verificato l’infortunio è munita di una barriera fotoelettrica intorno agli stampi su cui viene caricato il prosciutto che, se attraversata dalla mano del lavoratore addetto al macchinario, causa l’arresto del pistone pressante.
11. L’informativa redatta dal Servizio di Prevenzione dell’ASL di Parma (doc. 20 ricorrente) ha espresso, circa le possibili cause dell’infortunio, le seguenti considerazioni (pagg. 8-9): «Si ritiene, con buon grado di probabilità, che la mano destra della signora A. si sia potuta infilare all’interno dello stampo in quanto:
1) la spondina della stazione “D” era scesa di alcuni centimetri (per una anomalia) rispetto alla posizione alta di stampo chiuso, creando così uno spazio utile per poter infilare la mano nello stampo;
2) il caricamento della stazione “C”,1) interrompendo la barriera fotoelettrica ha fermato la discesa degli stampi di pressatura già avviati ma non ancora arrivati allo stadio di ''Stampo chiuso" ovvero la condizione in cui lo stampo è materialmente inaccessibile, e l’attraversamento della barriera non inibisce la fase del massaggio;
3) la pressione del pulsante di avvio della stazione “C”2) ha conseguentemente avviato la chiusura dello stampo della postazione "D" precedentemente interrotta, causando la risalita della spondina andando a schiacciare la mano contro il coperchio dello stampo. Durante tale manovra la mano della signora A. intercettava nuovamente la barriera fotoelettrica bloccando la pressa. Questo fatto ha contenuto il ·danno subito dalla signora, infatti se la spondina fosse andata a fine corsa, cosa non avvenuta per intercettazione della barriera fotoelettrica, il danno sarebbe stato l'amputazione delle dita della signora.
4) Pertanto l'infortunio si ritiene essere imputabile, con buon grado di probabilità, ad una anomalia di funzionamento della spondina della stazione "D" della pressa Mod. PLM/4A matricola (omissis))».
12. L’informativa ha perciò raggiunto la conclusione che l’evento «non è stato determinato da violazioni di norme sulla sicurezza del lavoro, bensì da un guasto fortuito e imprevedibile» (pag. 10).
13. La consulenza tecnica dell’Ing. B. ha raggiunto conclusioni diverse. Secondo il consulente, l’anomalia di funzionamento della spondina della stazione “D” non avrebbe potuto causare, da sola l’infortunio: sarebbe stata necessaria anche la mancanza di segnalazione dell’anomala posizione della spondina stessa a causa dell’esistenza di una zona libera dalla protezione delle fotocellule (consulenza Ing. B., p. 12).
14. Il consulente ha, inoltre, ritenuto non probabile che il malfunzionamento sia stato causato da un trafilamento di olio dalla elettrovalvola, come ipotizzato dalla costruttrice del macchinario (omissis), essendo difficilmente ipotizzabile che il trafilamento della valvola oleodinamica, che ha una ridotta luce di passaggio, «consenta una discesa della spondina di misura tale da consentire il passaggio di una mano, nel tempo ridotto tra un ciclo e l’altro della stazione D» (consulenza Ing. B., p. 12).
15. Il consulente ha poi evidenziato che le conclusioni raggiunte da AUSL presuppongono che l’operatrice abbia caricato la stazione C con la mano nello stampo D e azionato l’avviamento della stazione C, senza che l’arto dell’infortunata si trovasse in una posizione tale da interrompere il raggio della barriera fotoelettrica.
16. Tuttavia, ciò non risulta geometricamente possibile sulla base di quanto chiarito da (omissis) nella risposta alla richiesta di documentazione formulata dal consulente: sulla base di queste informazioni, infatti, il consulente ha affermato che:
«sembrerebbe non possibile che la mano della A. fosse impegnata in area protetta all’atto della ripartenza del ciclo, a meno che l’arto della A. non fosse nella zona non protetta dalla barriera di fotocellule.
Tale eventualità, non considerata da AUSL e (omissis), resta a parere dello scrivente da considerare, anche perché la geometria dell’area non protetta, così come descritta da (omissis), lascia uno spazio libero minimo di 8 cm. Data la mancanza di conoscenza della distanza tra linea di azione delle fotocellule e spondina ((omissis) scrive: “...la fotocellula è un traguardo verticale posta ad adeguata distanza orizzontale dalla zona pericolosa....”) non è possibile escludere che la mano della A. abbia potuto raggiungere tale zona pericolosa senza attivare la fotocellula» (consulenza Ing. B., p. 23).
17. Dall’analisi è emersa quindi, come possibile causa dell’infortunio, «una mancanza, nella valutazione dei rischi di (omissis), dell’analisi dei possibili rischi dovuti alla presenza di una zona “libera” dalla barriera di fotocellule che consente il raggiungimento della zona della spondina da parte dell’operatore, in concomitanza con la assenza di segnali di controllo della posizione della spondina stessa» (consulenza Ing. B., p. 27).
18. Benché le conclusioni del consulente siano espresse in termini meramente possibilistici, esse prospettano una plausibile eziologia dell’evento infortunistico riconducibile a una carenza del datore di lavoro nell’adozione di ogni misura concretamente idonea a evitare il pericolo di lesioni agli operatori del macchinario pressatore: segnatamente, come appena visto, l’incompleta analisi dei rischi collegati alla presenza della zona libera dalla barriera di fotocellule.
19. Poiché, come detto, nell’azione di risarcimento del danno da infortunio sul lavoro grava sul datore di lavoro l’onere di provare di avere esattamente adempiuto ai suoi obblighi di prevenzione e di assicurazione della sicurezza dei lavoratori, la persistenza del dubbio circa l’adozione di ogni necessaria misura di sicurezza comporta l’accertamento della sua responsabilità per i danni causati al lavoratore dall’evento infortunistico.
20. Ne consegue che il datore è tenuto all’integrale risarcimento del danno subito dal lavoratore per effetto di questo inadempimento.
21. Quanto al danno risarcibile, si osserva quanto segue.
22. Com’è noto, in caso di danno alla salute il danneggiato non ha diritto al solo risarcimento del danno patrimoniale, ma anche di quello non patrimoniale. Secondo l’interpretazione da tempo consolidata, infatti, l’art. 2059 c.c., prevedendo che il danno non patrimoniale è risarcibile nei casi previsti dalla legge, fa riferimento anche alla Costituzione: ne consegue che, in caso di lesione a un diritto riconosciuto dalla Carta fondamentale (come il diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost.), il danno non patrimoniale è sempre risarcibile, dovendosi garantire una tutela minima dei diritti fondamentali (Cass. S.U. 11 novembre 2008, nn. 26972-26795).
23. Secondo le più recenti ricostruzioni della giurisprudenza di legittimità, il danno non patrimoniale derivante da lesione del diritto alla salute si compone di due elementi: il danno biologico/dinamico-relazionale – ossia le conseguenze negative dell’evento lesivo sul fare areddituale del danneggiato, corrispondenti al grado di invalidità permanente suscettibile di accertamento medico-legale – e il danno morale o da sofferenza soggettiva interiore, che compensa invece le ricadute pregiudizievoli sull’individuo non suscettibili di accertamento medico-legale, come i sentimenti di dolore dell’animo, vergogna, paura, disperazione e disistima di sé (Cass. 27 marzo 2018, n. 7513; Cass. 29 settembre 2018, n. 23469; Cass. 21 marzo 2022, n. 9006)
24. Ai fini della liquidazione equitativa di tale danno è opportuno fare riferimento ai parametri elaborati dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano, che
costituiscono uno strumento adatto a garantire la parità di trattamento e la prevedibilità della decisione in casi analoghi (Cass. 6 maggio 2020, n. 8532). Ciò anche in considerazione del fatto che, nella loro più recente versione pubblicata nel 2021, le Tabelle di Milano recepiscono i più recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità indicando separatamente la quota di danno risarcibile a titolo di danno biologico/dinamico-relazionale e quella a titolo di sofferenza soggettiva interiore.
25. Le Tabelle di Milano adottano il sistema del “punto variabile”: il danno risarcibile è calcolato sulla base dei coefficienti del grado percentuale di invalidità permanente del danneggiato e della sua età anagrafica, con la possibilità di un ulteriore aumento (entro un limite percentuale massimo) a titolo di “personalizzazione” nel caso in cui il danneggiato alleghi e provi circostanze soggettive specifiche da cui si ricavi che l’evento lesivo gli abbia causato conseguenze negative diverse e ulteriori rispetto a quelle sofferte dalla generalità degli individui di età e grado di invalidità equivalente.
26. Inoltre, le Tabelle di Milano prevedono che, qualora l’evento dannoso provochi una inabilità di carattere temporaneo, il danneggiato abbia diritto al risarcimento di € 99,00 per ogni giorno di inabilità totali (aumentabili fino al 50% in presenza di circostanze idonee a giustificare la “personalizzazione”).
27. Per la liquidazione complessiva del danno occorre dunque accertare il grado di invalidità della ricorrente e il numero di giorni di inabilità, totale e parziale, conseguenti all’infortunio.
28. La CTU medico-legale del dott. C. ha raggiunto le seguenti conclusioni, a cui lo scrivente ritiene di aderire, in considerazione dell’adeguatezza della metodologia seguita, della assenza di vizi logici nel ragionamento e della condivisione delle conclusioni del CTU da parte dei consulenti di parte:
«L’attuale condizione clinica può essere considerata quale postumo permanente su cui è possibile esprimere la valutazione del danno biologico permanente.
Facendo riferimento a comuni riferimenti tabellari fra cui le Linee guida per la valutazione del danno alla persona in ambito civilistico della Società Italiana di Medicina Legale edito nel 2016 a cura di (omissis) Ed il danno biologico permanente conseguente alla globale menomazione prensile della mano dx (arto superiore dx non dominante) cui si associa apprezzabile nocumento estetico dello stesso distretto anatomico è valutabile nella misura del 18% circa.
Il periodo di temporanea inabilità biologica, tenuto conto della documentazione sanitaria esaminata, è quantificabile in 10 giorni di assoluta, 45 giorni di parziale al 75%, 75 giorni di parziale al 50% e 90 giorni di parziale al 25%».
29. Inoltre, il consulente ha ritenuto che, tra le spese mediche asseritamente sostenute dalla ricorrente, sono rimborsabili e adeguatamente documentate spese per totali € 3.837,91.
30. Il danno non patrimoniale risarcibile in base alle Tabelle di Milano per un soggetto con invalidità del 18% ed età di 33 anni al momento della stabilizzazione dei postumi è di € 62.238, comprensivo sia della componente di danno biologico che della componente di danno da sofferenza soggettiva interiore nella misura normalmente associata, secondo l’id quod plerumque accidit, a lesioni della stessa entità.
31. La somma risarcibile per i giorni di inabilità temporanea assoluta e parziale indicati dal consulente ammonta, invece, a € 10.271,25.
32. Da questo complessivo importo deve essere detratto l’indennizzo corrisposto da INAIL a titolo di danno biologico (secondo il criterio delle poste omogenee). Ciò in quanto il risarcimento del danno mira a realizzare l’integrale compensazione della perdita subita del danneggiato, come si desume dall’art. 1223 c.c.; deve perciò tenersi conto di ogni altro indennizzo volto a compensare la stessa perdita, dato che, in caso contrario, il danneggiato conseguirebbe un’indebita locupletazione (Cass. 22 maggio 2018, n. 12566).
33. Dal danno civilistico risarcibile devono essere detratti tanto la quota di danno biologico del valore capitale della rendita quanto la quota di danno biologico dei ratei già pagati (cfr. Cass. 15 ottobre 2018, n. 25618, § 3.3). Come emerge dalla documentazione INAIL in atti, il primo valore è pari a € 39.433,30; il secondo a € 14.851,61 (calcolato ponendo in proporzione la quota di danno biologico della rendita rispetto al valore totale della rendita con il valore totale dei ratei già corrisposti).
34. Non sussistono, invece, i presupposti per riconoscere alla ricorrente un importo ulteriore a titolo di personalizzazione del danno non patrimoniale subito. I pregiudizi allegati (la penosità del decorso clinico degli interventi chirurgici; l’apprezzabile nocumento estetico; l’impossibilità di proseguire attività sportive quali sci, palestra e bicicletta) non appaiono, infatti, rivestire i caratteri dell’unicità e dell’eccezionalità che la giurisprudenza di legittimità richiede per procedere all’aumento per personalizzazione (Cass. 6 maggio 2021, n. 12046).
35. Quanto al danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa specifica, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, sebbene si possa presumere, in caso di lesioni permanenti, la riduzione della futura capacità di guadagno, deve comunque essere dimostrata dal danneggiato la contrazione dei suoi redditi dopo il sinistro affinché possa ritenersi raggiunta la prova di una quantificazione del danno risarcibile (Cass. 22 maggio 2014, n. 11361; Cass. 15 giugno 2018, n. 15737).
36. Nel caso di specie, la ricorrente non ha provato di aver subito una riduzione permanente della capacità di guadagno, essendo documentato che l’infortunata, dopo l’evento lesivo, è rimasta alle dipendenze dello stesso datore di lavoro senza sostanziali variazioni di reddito (v. CUD sub doc. 26 ricorrente).
27. Il danno che deve essere risarcito alla ricorrente ammonta perciò a € 21.062,25.
38. Su questo importo, che, essendo dovuto a titolo di risarcimento del danno, costituisce un debito di valore, deve essere applicata la rivalutazione monetaria, da calcolare applicando gli indici ISTAT sul costo della vita, dalla data dell’evento (27.8.2010) fino alla data della liquidazione, effettuata con il presente provvedimento.
39. Sono inoltre dovuti gli interessi compensativi da valutarsi sulla somma corrispondente al valore del danno risarcibile al momento dell’illecito, rivalutata anno per anno sulla base degli indici ISTAT dei prezzi al consumo. Per l’effetto, ai fini del calcolo degli interessi, la somma capitale sopra determinata deve essere previamente devalutata, in base a detti indici ISTAT, alla data del sinistro; su di essa, progressivamente rivalutando anno per anno, devono quindi calcolarsi gli interessi al tasso legale (così Cass. S.U. 17 febbraio 1995, n. 1712).
40. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
41. Non può essere accolta la richiesta di parte convenuta di condanna della ricorrente al pagamento delle spese legali maturate dopo la proposta conciliativa formulata dalla convenuta all’udienza del 24.5.2018 (pari a € 32.081,28). La disposizione di cui all’art. 91 secondo periodo c.p.c. non può, infatti, trovare applicazione nel processo del lavoro, come condivisibilmente osservato da Corte cost. 11 dicembre 2020, n. 168:
«Tale disposizione si risolve in una “sanzione” per la parte che agisce in giudizio ed è quindi di dubbia compatibilità – ciò di cui non ha tenuto conto la Corte rimettente – con un processo, come quello del lavoro, che si caratterizza per una serie di norme di favore per il lavoratore, per lo più parte ricorrente, volte a tenere in considerazione la sua strutturale debolezza, anche sotto il profilo economico.
Essa, infatti, elevando il rischio della lite per l’attore, e quindi per il lavoratore, parte ricorrente, finirebbe – piuttosto che favorire quest’ultimo – per indurlo a non insistere nel chiedere integralmente quanto dedotto nella domanda a causa del rischio dei costi che sarebbe tenuto a sopportare qualora, accolta parzialmente la domanda, l’esito della controversia fosse meno favorevole (o equivalente) al contenuto della proposta proveniente dall’altra parte».
42. Le spese di entrambe le consulenze tecniche esperite in corso di causa sono poste definitivamente a carico, sulla base del criterio della soccombenza, della società convenuta.
P.Q.M.
Il Tribunale Ordinario di Parma, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza, eccezione o deduzione disattesa o assorbita, così dispone:
1. condanna G.C. s.p.a. a pagare a S.A. la somma di € 21.062,25., oltre rivalutazione e interessi come in motivazione;
2. condanna G.C. s.p.a. al pagamento in favore di S.A. delle spese di lite, che liquida in € 4.500, oltre 15% per spese generali, i.v.a., se dovuta, e c.p.a. come per legge;
3. pone definitivamente a carico di G.C. s.p.a. le spese di entrambe le consulenze tecniche d’ufficio, liquidate con separati decreti.
4. fissa il termine di 15 giorni per il deposito della sentenza.