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1 aprile 2021
Sì alla detenzione domiciliare per il condannato ultrasettantenne recidivo

Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 56 del 31 marzo 2021, dichiarando l'illegittimità costituzionale del divieto di accedere alla misura alternativa per gli ultrasettantenni condannati con l'aggravante della recidiva previsto all'art. 47-ter, c. 1, della legge sull'ordinamento penitenziario.

a cura di La Redazione

Il Magistrato di Sorveglianza di Milano sollevava le questioni di legittimità costituzionale in relazione all'art. 47-ter, c. 1, ord. pen., con riferimento agli artt. 3 e 27, c. 3, Cost., «nella parte in cui prevede che i condannati ultrasettantenni che abbiano riportato condanne con l'aggravante della recidiva non possono usufruire della misura della detenzione domiciliare prevista dalla norma in esame», e in subordine «nella parte in cui non prevede che i condannati ultrasettantenni che abbiano riportato condanne con l'aggravante della recidiva non possono usufruire della misura della detenzione domiciliare prevista dalla norma in esame, salva l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti cessata o grandemente diminuita la pericolosità del soggetto».

La Corte, affermando preliminarmente che la detenzione domiciliare per gli ultrasettantenni è ispirata al principio di umanità della pena sancito dall'art. 27 Cost., rileva che la disposizione in esame è l'unica, nell'intero ordinamento penitenziario, a precludere una misura alternativa a carico di chi sia stato condannato con l'aggravante della recidiva.
Sebbene il riconoscimento della recidiva da parte del giudice si fondi su un giudizio individualizzato di maggiore colpevolezza e pericolosità del reo, la Corte osserva che «tale giudizio è formulato unicamente ai fini della quantificazione della pena da infliggere, e dunque non è né attuale né specifico rispetto alle ragioni che potrebbero giustificare l'esecuzione della pena in detenzione domiciliare». Tra queste ragioni, si segnalano la maggiore sofferenza determinata dalla detenzione di una persona anziana, anche in relazione al suo crescente bisogno di cura e assistenza, difficilmente assicurabili nel contesto intramurario, nonché la diminuzione della pericolosità sociale del reo, dovuta sia all'avanzare dell'età, sia ad un eventuale percorso rieducativo intrapreso.

Alla luce di queste argomentazioni e dei principi di rieducazione e umanità della pena sanciti dalla Costituzione, la Corte dichiara incostituzionale la preclusione all'accesso alla detenzione domiciliare stabilita per gli ultrasettantenni condannati con l'aggravante della recidiva. Spetterà, dunque, alla magistratura di sorveglianza valutare nel caso concreto se il condannato, tenuto conto anche della sua eventuale residua pericolosità sociale, sia meritevole di accedere alla misura alternativa alla detenzione.

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