In tema di separazione dei coniugi, nessun accordo fra le parti può modificare la decisione del giudice sul beneficiario dell'assegno di mantenimento.
Il Tribunale di Padova pronunciava la separazione giudiziale di due coniugi, stabilendo in capo al marito l'obbligo di corrispondere mensilmente alla moglie un assegno di mantenimento destinato al figlio all'epoca minorenne.
Dopo un po' di tempo, l'ex moglie notificava all'ex coniuge un atto di precetto, intimandogli il pagamento del debito a titolo di arretrati nel versamento del mantenimento.
L'ex marito proponeva opposizione avverso il suddetto atto, negando la sussistenza del debito invocato e deducendo la sussistenza di un accordo contenente la previsione del versamento dell'assegno direttamente al figlio una volta divenuto maggiorenne.
Il Tribunale di Padova accoglieva il gravame; la decisione veniva impugnata dalla parte soccombente dinanzi alla Corte d'Appello di Venezia, la quale confermava le ragioni dell'ex moglie.
L'ex marito presenta allora ricorso in Cassazione deducendo il fatto che il Giudice non avesse tenuto conto dell'ammissione in sede di interrogatorio libero della ex moglie circa la sussistenza del menzionato accordo.
Sulla scorta di quanto affermato in sede di appello, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 9700 del 13 aprile 2021, rigetta il ricorso e ribadisce che «qualsiasi accordo, anche tacito, fra le parti, non poteva avere l'effetto di autorizzare il debitore a versare l'assegno nelle mani del figlio, in assenza di un provvedimento giurisdizionale che avesse modificato, su istanza di quest'ultimo, e statuizioni contenute nella sentenza di separazione».
Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza (ud. 11 dicembre 2020) 13 aprile 2021, n. 9700
Svolgimento del processo
1. Nel (omissis) il Tribunale di Padova pronunciò la separazione giudiziale del matrimonio contratto da M.P. ed D.N.A..
La sentenza di separazione impose a D.N.A. l'obbligo di corrispondere mensilmente a M.P., a titolo di contributo per il mantenimento del figlio minore D.N.R., la somma di Euro 300 mensili, rivalutabili annualmente.
2. Nel 2011 M.P. notificò ad D.N.A. un atto di precetto intimandogli il pagamento della somma di Euro 21.766,83, a titolo di arretrati nel versamento dell'assegno di mantenimento del figlio minore.
3. D.N.A. propose opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., negando l'esistenza del debito.
Dedusse di avere sempre puntualmente adempiuto la propria obbligazione versando l'importo dell'assegno mensile fino al 2007 direttamente nelle mani di M.P. ed a partire da (OMISSIS) versando nelle mani del proprio figlio, D.N.R., nato il (omissis).
4. Con sentenza 25 marzo 2014 n. 1013 il Tribunale di Padova accolse l'opposizione.
Il Tribunale ritenne che l'intimato avesse puntualmente adempiuto la propria obbligazione, versando l'assegno direttamente al figlio. Aggiunse che tale modalità di adempimento dell'obbligo di versare l'assegno di mantenimento era stata concordata fra l'obbligato, l'ex moglie ed il figlio. Osservò al riguardo il Tribunale che la prova di tale accordo bilaterale era desumibile sia da una dichiarazione scritta di D.N.R., beneficiario dall'assegno, depositata agli atti; sia dalle dichiarazioni rese da M.P. nel rendere l'interrogatorio formale.
5. La sentenza venne appellata dalla parte soccombente.
La Corte d'appello di Venezia con sentenza 29 agosto 2017 n. 1746 accolse il gravame e rigettò l'opposizione.
Ritenne che:
-) quando la sentenza di separazione ponga a carico di uno dei coniugi l'obbligo di versamento di un assegno mensile a titolo di contributo al mantenimento del figlio, tale obbligazione va adempiuta nei confronti dell'altro coniuge anche dopo il conseguimento della maggiore età del figlio;
-) la possibilità per l'obbligato di versare l'assegno direttamente nelle mani del figlio divenuto maggiorenne è subordinata ad un provvedimento giurisdizionale di mutamento delle condizioni di separazione;
-) tale provvedimento può essere pronunciato solo su istanza del figlio beneficiare dell'assegno;
-) nel caso di specie D.N.R. non aveva mai chiesto giudizialmente che l'assegno fosse versato direttamente a lui;
-) la circostanza che l'obbligato avesse versato direttamente l'assegno nelle mani del figlio, e che questo l'avesse poi effettivamente utilizzato per il proprio mantenimento, era irrilevante, in assenza di un mutamento in sede giudiziaria del titolo esecutivo.
6. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione da D.N.A. con ricorso fondato su due motivi.
M.P. ha resistito con controricorso illustrato da memoria.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo il ricorrente denuncia il vizio di omesso esame di un fatto decisivo.
Sostiene che la Corte d'appello ha trascurato di prendere in esame la dichiarazione compiuta in sede di interrogatorio libero da M.P. dinanzi al giudice istruttore di primo grado, dalla quale la Corte d'appello avrebbe dovuto trarre la conclusione che, per ammissione della stessa creditrice, padre, madre e figlio avevano concordemente convenuto che l'assegno fosse versato direttamente al figlio.
Aggiunge, con una seconda censura, che la Corte d'appello avrebbe trascurato di considerare l'inammissibile mutamento della domanda avvenuto in appello. M.P., infatti, solo nel secondo grado di giudizio avrebbe iniziato a negare che il pagamento effettuato dall'ex marito direttamente nelle mani del figlio costituisse adempimento dell'obbligo di mantenimento.
1.1. Il motivo è infondato.
La Corte d'appello ha accolto l'opposizione per una ragione di diritto, e non per una ragione di fatto.
Ha accolto l'opposizione affermando che qualsiasi accordo, anche tacito, fra le parti, non poteva avere l'effetto di autorizzare il debitore a versare l'assegno nelle mani del figlio, in assenza di un provvedimento giurisdizionale che avesse modificato, su istanza di quest'ultimo, le statuizioni contenute nella sentenza di separazione. Questa essendo la reale ratio decidendi sottesa dalla sentenza impugnata, è di conseguenza irrilevante vagliare se la Corte d'appello abbia o non abbia preso in esame le dichiarazioni di M.P., nella parte in cui contenevano - in tesi - dichiarazioni confessorie. Ed infatti, alla luce della decisione adottata, la Corte d'appello non aveva necessità di accertare se vi fosse stato davvero, tra le parti, un accordo derogativo delle statuizioni contenute nel titolo esecutivo.
2. Col secondo motivo il ricorrente prospetta il vizio di violazione di legge. Lamenta la violazione degli artt. 155 quinquies e 337 septies c.c..
Sostiene che l'obbligo di versamento dell'assegno di mantenimento del figlio, contenuto in una sentenza di separazione, può essere modificato per concorde volontà delle parti, senza bisogno di un provvedimento giurisdizionale; che il titolare del credito di mantenimento è il figlio, una volta divenuto maggiorenne; che la legittimazione a domandare il pagamento dell'assegno di mantenimento del figlio maggiorenne spetta al genitore solo nel caso di inerzia di quest'ultimo.
2.1. Il motivo è infondato.
Esso si fonda infatti su un duplice ed erroneo presupposto interpretativo, e cioè che:
a) sia consentito al creditore ed al debitore dell'assegno di mantenimento modificare le statuizioni contenute nella sentenza di separazione;
b) tale facoltà sia confermata dalle previsioni dell'art. 337 septies c.c., comma 1.
Tuttavia nessuna di queste due affermazioni può essere condivisa.
2.2. Quanto alla prima, essa non può essere condivisa in quanto la determinazione dell'assegno di mantenimento dei figli, da parte del coniuge separato, risponde ad un superiore interesse di quelli, interesse che non è disponibile dalle parti.
Sicchè, una volta stabilito nel provvedimento giudiziale chi debba essere il debitore, e chi il creditore di quella obbligazione, tale provvedimento non è suscettibile di essere posto nel nulla per effetto di un successivo accordo tra i soggetti obbligati.
Il coniuge beneficiario dell'assegno di mantenimento del figlio potrebbe, in teoria, indicare quest'ultimo quale adiectus solutionis causa, ai sensi dell'art. 1188 c.c.: ma, da un lato, altro è l'indicazione di pagamento (la quale non muta la persona del creditore), ben altra cosa invece è la sostituzione del creditore fissato dal titolo giudiziale con altro creditore; dall'altro lato, nel presente giudizio il ricorrente non risulta avere mai dedotto la violazione dell'art. 1188 c.c., nè risulta aver mai allegato in punto di fatto che la propria ex moglie avesse indicato nel figlio il destinatario del pagamento ai sensi della norma da ultimo citata.
L'odierno ricorrente risulta avere sempre dedotto una circostanza di fatto ben diversa, e cioè un vero e proprio accordo tra madre, padre e figlio in virtù del quale quest'ultimo sarebbe divenuto non già un mero adiectus, ma il vero e proprio creditore: accordo che, per quanto detto, non potrebbe che essere nullo e privo di effetti.
2.3. Quanto alla seconda allegazione del ricorrente, rileva la Corte che l'art. 337 septies c.c., comma 1, non può essere interpretato nel senso invocato dal ricorrente.
Quella norma, infatti, stabilisce che "il giudice" (soggetto grammaticale della disposizione) può disporre il pagamento di un assegno ai figli maggiorenni non indipendenti economicamente, e che in tal caso (cioè quando il giudice lo abbia disposto) l'assegno è versato direttamente all'avente diritto.
La norma dunque non consente dubbi sul fatto che il pagamento dell'assegno di mantenimento direttamente al figlio maggiorenne, invece che al genitore convivente, non è una facoltà dell'obbligato, ma può essere solo il frutto di una decisione giudiziaria.
3. Le spese del presente grado di giudizio vanno compensate integramente tra le parti, in considerazione della novità della questione e dell'esito alterno dei gradi di merito.
Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).
P.Q.M.
la Corte di cassazione:
(-) rigetta il ricorso;
(-) compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità;
(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di D.N.A. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione.