Con la decisione n. 814/08/2021, la Ctp Milano ha affermato che costituisce reddito imponibile IRPEF anche l'importo che lex coniuge versa all'altro per rimborsarlo delle imposte sul reddito riconducibili all'assegno.
L'Agenzia delle entrate notificava alla contribuente un avviso di accertamento da cui emergeva che l'importo degli assegni divorzili a lei erogati da parte del marito erano pari a circa 35mila euro, tuttavia l'importo da lei dichiarato era pari a 30mila euro. La stessa impugnava l'avviso di accertamento, chiarendo che le era stata rimborsata la somma di circa 6mila euro per l'importo delle imposte che avrebbe dovuto pagare sul totale dell'assegno divorzile e che ella non avrebbe indicato tale somma tra quelle da assoggettare a tassazione.
Per tale ragione, la ricorrente chiede l'annullamento dell'avviso di accertamento.
Considerando che la differenza richiesta dall'Ufficio consisterebbe nell'imposta IRPEF che sulle somme percepite la ricorrente aveva versato all'erario e che l'ex coniuge, in ossequio a quanto previsto dalla sentenza di divorzio, aveva provveduto a rimborsare, la Commissione tributaria provinciale di Milano afferma che tale importo è imponibile per il soggetto che lo percepisce, dunque deve essere indicato in dichiarazione e sottoposto a tassazione.
A tal proposito, la Commissione afferma che l'
Dunque, poiché la retrocessione del carico fiscale sopportato dal coniuge sull'assegno di divorzio rappresenta un onere deducibile per il soggetto erogante, allora gli stessi importi costituiscono reddito imponibile per il beneficiario.
Del resto, tale assunto trova conferma anche per via dell'applicazione del criterio di onnicomprensività ex art. 51 TUIR, per il quale il reddito di lavoro dipendente «è costituito da tutte le somme e i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, fatte salve le specifiche deroghe previste dai successivi commi dello stesso articolo 51». Non rientrando il caso in oggetto in una di queste deroghe, la Commissione rigetta il ricorso della contribuente.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con tempestivo ricorso la contribuente, D.M.C., impugnava l'atto sopra citato.
L'ufficio notificava l'avviso di accertamento surrichiamato con il quale accertava, attingendo dalla ricostruzione operata dai controlli informatici dell'Agenzia delle entrate, dal quale emergeva che l'importo degli assegni divorzili erogati alla ex-moglie, D.M.C., da parte del marito, M.A., erano pari ad Euro 35.621,00, rispetto al dichiarato di Euro 30.000,00.
La ricorrente impugnava l'avviso de quo adducendo le seguenti prove. Il provvedimento del giudice delle separazioni indicava, dal 1 gennaio 2014 fino al 31 ottobre 2014, la corresponsione mensile dell'assegno divorzile nell'importo mensile di Euro 2.500,00, poi per novembre e dicembre, l'importo mensili scendeva a Euro 2.000,00. Pertanto, l'importo di Euro 25.000,00 più Euro 4.000,00 danno la somma di Euro 29.000,00, dove per errore veniva trascritto nella dichiarazione dei redditi l'importo dì Euro 30.000,00.
Poiché alla moglie era stata rimborsata la somma di Euro 6.621,00, per l'importo delle imposte che la stessa avrebbe dovuto pagare sul totale dell'assegno divorzile, detto importo non era stato indicato nel totale delle somme percepite dalla ricorrente, da assoggettare quindi, a tassazione.
La ricorrente, concludendo le proprie argomentazioni, chiedeva di annullare l'avviso di accertamento per le ragioni esposte in narrativa, in quanto illegittime e infondate. Con vittoria di spese.
Si costituiva in giudizio l'ufficio che controbatteva alle osservazioni di parte ricorrente.
In tale occasione l'ufficio aveva rappresentato che l'importo corrisposto dall'ex coniuge, tale A.M., a titolo retrocessione dell'imposta Irpef operata sull'assegno di mantenimento, nel rispetto della sentenza di separazione, è deducibile dal reddito del soggetto erogante ai sensi dell'articolo 10 del TUIR. Per converso, tale importo, pur non configurando incremento dell'assegno di mantenimento, è imponibile per il soggetto che lo percepisce e, pertanto, deve essere indicato in dichiarazione e sottoposto a tassazione dalla contribuente.
L'ufficio concludeva le proprie eccezioni chiedendo il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente alle spese di giudizio, maggiorate di diritto del cinquanta per cento per la rifusione delle spese del procedimento di mediazione ai sensi dell'art. 15, comma 2-septies, del D.Lgs. n. 546 del 1992.
L'udienza si è svolta all' sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 27.
Il Collegio giudicante così decide. Il ricorso viene rigettato alla stregua delle seguenti motivazioni ed argomentazioni.
Nello specifico, dalla segnalazione numero (...) del 08/04/2019 effettuata dalla Divisione Contribuenti, nonché dai dati in possesso dell'Anagrafe tributaria, era emerso che l'ex coniuge, tale M.A., in relazione al periodo d'imposta 2014 aveva corrisposto alla contribuente un assegno divorzile per complessivi Euro 35.621,00. Tuttavia, l'odierna ricorrente nel modello Unico PF 2015 sottoponeva a tassazione solo l'importo di Euro 30.000,00.
La contribuente si era costituita in giudizio sostenendo la piena legittimità del proprio operato in quanto aderente alle pattuizioni stabilite dall'Autorità Giudiziaria in sede di declaratoria di cessazione degli effetti civili del matrimonio. Infatti, si legge negli atti di causa che, dal gennaio 2014 ad ottobre 2014, la contribuente aveva ricevuto un assegno di mantenimento di Euro 2.500,00 per effetto della sentenza di separazione consensuale emessa dal Tribunale di Milano in data 8 febbraio 2010 che prevedeva l'obbligo a carico dell'ex coniuge di corrispondere tale importo da considerarsi al netto delle imposte. Successivamente, in data 28 ottobre 2014, il Tribunale di Busto Arsizio pronunciava la sentenza di divorzio n. 1733/2014 la quale rimodulava le pattuizioni previste nella separazione consensuale e stabiliva la misura dell'assegno di mantenimento nella misura di Euro 2.000,00 mensili. Pertanto, in base alle summenzionate sentenze, l'istante avrebbe dovuto sottoporre a tassazione la somma complessiva di Euro 29.000,00. La differenza richiesta dall'ufficio sarebbe costituita dall'imposta Irpef che su tali somme la contribuente aveva versato all'erario e che l'ex coniuge, in ossequio alle disposizioni del Giudice del divorzio, aveva provveduto a rimborsare.
In merito al ricorso opposto dalla ricorrente, correttamente l'ufficio insisteva sulla legittimità della pretesa erariale contenuta nell'atto impugnato ribadendo quanto già comunicato alla controparte con diniego di autotutela n. 265857 del 02/10/2019. In tale occasione l'ufficio aveva rappresentato che l'importo corrisposto dall'ex coniuge, tale A.M., a titolo retrocessione dell'imposta Irpef operata sull'assegno di mantenimento, nel rispetto della sentenza di separazione, era deducibile dal reddito del soggetto erogante ai sensi dell'articolo 10 del TUIR.
Ebbene, per questo Giudice, tale importo, pur non configurando incremento dell'assegno di mantenimento, è imponibile per il soggetto che lo percepisce e, pertanto, doveva essere indicato in dichiarazione e sottoposto a tassazione dalla contribuente.
L'articolo 50, comma 1 lettera 1, del D.P.R. n. 917 del 1986 assimila ai redditi di lavoro dipendente gli altri assegni periodici, comunque denominati, alla cui produzione non concorrono attualmente né capitale né lavoro, compresi quelli indicati alle lettere c) e d) del comma 1 dell'articolo 10 tra gli oneri deducibili. Dalla lettura della norma emerge ictu oculi che il legislatore richiede la piena corrispondenza tra le somme dedotte dal proprio reddito a titolo di assegno periodico corrisposto al coniuge (articolo 10, comma 1, lettera c), e gli importi da sottoporre a tassazione in quanto assimilati al reddito di lavoro dipendente (articolo 50, comma 1, lettera i del TUIR).
Pertanto, se la retrocessione del carico fiscale sopportato dal coniuge sull'assegno divorzile costituisce un onere deducibile per il soggetto erogante, allora per questo Collegio gli stessi importi rappresentano reddito imponibile per il soggetto beneficiario.
L'architettura normativa in esame postula un logico equilibrio tra l'istituto della deduzione in capo all'erogante e quello dell'imponibilità in capo al beneficiario, cosicché il sistema risulta coerente, differenziandosi solo per il diverso peso delle aliquote Irpef applicabili sui redditi dei due contribuenti. La legittimità dell'atto impugnato emerge anche dall'analisi delle modalità di tassazione dei redditi assimilati al lavoro dipendente. Trova infatti applicazione il criterio di onnicomprensività stabilito dall'articolo 51 del TUIR in ordine al quale il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, fatte salve le specifiche deroghe previste dai successivi commi dello stesso articolo 51. Non rientrando il rimborso del carico fiscale sopportato dall'ex coniuge nel novero delle summenzionate deroghe, questo Giudice conferma la correttezza dell'operato dell'ufficio e la sua piena corrispondenza al dettato normativo.
Sono queste le ragioni per le quali il ricorso viene rigettato.
Spese del giudizio
Le spese del giudizio seguono la soccombenza, come da dispositivo.
Il Collegio giudicante
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna parte soccombente alle spese di complessivi Euro 1.300,00 (mille/300).