Nessuna sanzione di inammissibilità qualora la cancelleria abbia spontaneamente ed entro i termini previsti dalla legge stampato su supporto cartaceo ed inserito nel fascicolo d'ufficio le liste dei testimoni trasmesse via PEC da parte del PM e della parte civile.
La Corte d'Appello di Roma confermava la condanna dell'imputato pronunciata dal Tribunale di Frosinone in relazione al reato di cui all'
Avverso tale decisione, l'imputato propone ricorso per cassazione, denunciando, tra i diversi motivi, il fatto che le liste dei testimoni fossero state depositate, tanto dal Pubblico Ministero quanto dalla parte civile, a mezzo PEC e che il Giudice di secondo grado le avesse ritenute ammissibili in quanto tempestivamente stampate dalla Cancelleria su supporto cartaceo, evidenziando la sussistenza di una preclusione di utilizzo del mezzo informatico in tal senso.
Con la sentenza n. 20929 del 27 maggio 2021, la Suprema Corte dichiara non fondato il suddetto motivo di ricorso, rilevando che la ratio a cui tende la sanzione della inammissibilità delle comunicazioni effettuate dalle parti via PEC al posto delle modalità sancite dalla legge è rappresentata dalla mancanza del fascicolo telematico, il quale costituisce strumento di ricezione e di raccolta degli atti del processo trasmessi in tempo reale dalle parti e, come tale, accessibile e consultabile da parte di questi ultimi e dal giudice. In assenza del fascicolo telematico, infatti, l'atto depositato telematicamente risulta inesistente, poiché, per dirsi tale, avrebbe bisogno di essere stampato da parte della cancelleria ed inserito nel fascicolo d'ufficio.
Ciò posto, gli Ermellini sottolineano che se da un lato il suddetto onere non può essere posto a carico della cancelleria competente, d'altra parte, qualora essa vi abbia provveduto in maniera spontanea, come nel caso di specie, e in tempo utile rispetto al termine di 7 giorni rispetto alla data fissata per il dibattimento, viene meno il fondamento della sanzione di inammissibilità derivante dalla violazione delle forme di trasmissione degli atti di parte.
In tal senso, la Corte afferma che: «La piena visibilità dei documenti prodotti sia per le altre parti del processo sia per il giudice supera, infatti, l'irritualità originaria del mezzo di trasmissione, venendo meno, attraverso la loro trasformazione successiva in documenti cartacei, visibili, accessibili e consultabili da tutti i protagonisti del processo, le preclusioni che l'invio telematico per sua natura, allo stato, comporta».
Non essendo stato violato alcun diritto di difesa per l'imputato, la Corte rigetta il ricorso.
Svolgimento del processo
1.Con sentenza in data 17.9.2020 la Corte di Appello di Roma ha integralmente confermato la condanna alla pena di sette anni di reclusione resa dal tribunale di Frosinone all'esito del primo grado di giudizio nei confronti di T.E., ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 609 bis c.p. per aver costretto un minore infraquattordicenne a subire e a compire in due distinti frangenti atti sessuali.
2. Avverso il suddetto provvedimento l'imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando cinque motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo deduce il vizio di violazione di legge riferito all'art. 468 c.p.p. in ordine alle liste testimoniali depositate sia dal Pubblico Ministero, sia dalla parte civile a mezzo pec che la Corte di Appello aveva ritenuto ammissibili sull'assunto che fossero state tempestivamente stampate dalla Cancelleria su supporto cartaceo, evidenziando come invece fosse la stessa modalità di trasmissione da ritenersi come ab origine non consentita, essendo preclusa alle parti l'utilizzo del mezzo informatico, riservato nel processo penale alle sole comunicazioni effettuate dalla Cancelleria. Con lo stesso motivo lamenta altresì la contraddittorietà della motivazione resa dalla Corte di Appello secondo cui le dichiarazioni rese dalla p.o. sarebbero, attesa la sua attendibilità, da sole sufficienti a supportare l'accertamento della responsabilità dell'imputato, così smentendo l'affermazione contenuta nella stessa sentenza che desume la credibilità estrinseca del minore dai riscontri costituiti dai dati emersi dalle deposizioni rese de relato.
2.2. Con il secondo motivo censura la valutazione di attendibilità del minore resa in assenza di perizia medico legale sulla sua capacità a deporre al fine di escludere la presenza nel narrato della vittima di elementi inquinanti la capacità di ricordare ed esternare episodi di vita vissuta, scevri da fantasie o suggestioni, emergendo, invece, dal fascicolo dibattimentale i condizionamenti da costui subiti a seguito dell'intervento dei familiari adulti che ne avevano ricevuto e commentato le dichiarazioni, nonchè della frequentazione da parte del ragazzo del Centro di ascolto ove era stato avviato al percorso terapeutico, così che il suo racconto si era arricchito di volta in volta di particolari. Lamenta che il convincimento della Corte di Appello secondo cui trattasi di accertamento non indispensabile in quanto non emergono elementi patologici che possano far dubitare della capacità a deporre del minore, lasci trasparire una palese confusione tra la capacità specifica a testimoniare e la valutazione della sua attendibilità, dove l'oggetto della valutazione del perito è il testimone e non la testimonianza, sicchè soltanto al primo spetta l'indagine sollecitata. Evidenzia, in ogni caso, come il racconto reso dal ragazzo fosse singolarmente privo di stati emozionali legati alle esperienze sessuali narrate, quali la ripugnanza, il dolore, l'avversione ed i sentimenti provati, sembrando inverosimile secondo la consulente tecnica di parte come egli, dopo aver asseritamente subito un atto di violenza di tale entità, non presentasse alcun turbamento a livello nè psicologico, nè fisico. Deduce, inoltre, l'intrinseca contraddittorietà tra il particolare della deposizione della madre in relazione al secondo episodio secondo cui il figlio, arrivato l'imputato a casa per installare il ripetitore della linea wi-fi, le aveva chiesto di chiudere la porta della sua stanza dove si trovava con l'uomo, e la narrazione della stessa p.o. nell'incidente probatorio, che aveva riferito di essersi chiuso quel giorno in camera da solo al fine di evitare contatti con il prevenuto, memore dell'incresciosa esperienza vissuta con lui l'anno precedente, del tutto illogica risultando la spiegazione fornita sul punto dalla Corte di Appello, secondo cui il ragazzo avrebbe deciso di chiudersi in camera con l'imputato, sentendosi al riparo, per essere trascorso oltre un anno dalle precedenti molestie, da ulteriori morbose attenzioni. Altrettanto contraddittorie sono, secondo la difesa, le dichiarazioni della madre relative al primo episodio dove dapprima aveva descritto una serie di comportamenti anomali tenuti dal figlio dopo essere stato l'anno prima in casa del T., ovverosia il fatto che non mangiasse e non dormisse più ed accusasse dolori nella parte anale, per poi affermare in sede di controesame che al momento in cui aveva ripreso il bambino dall'abitazione dell'imputato per riportarlo a casa, le era apparso tranquillo e che lei non si era accorta di nulla: contrasti questi che trovavano la loro spiegazione nel fatto che fossero state le domande suggestive poste dalla donna ad avere indotto risposte del figlio conformi alle sue stesse aspettative. Conferma delle influenze esterne subite dalla vittima si trae peraltro, stando alla prospettazione difensiva, dal linguaggio del tutto anomalo utilizzato dal ragazzo nel corso della sua audizione che parla di "penetrazione anale" con termini del tutto desueti rapportati alla sua età.
2.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione dei principi codificati dalla Carta di Noto e dalla Convenzione di Lanzarote in ordine alla tempestiva audizione della vittima di un reato sessuale, sentita invece con l'incidente probatorio a due anni di distanza dal primo episodio di abuso, nonchè sulle metodologie dell'audizione che devono preservare la genuinità delle dichiarazioni del minore, laddove, invece, il numero di ripetizioni del racconto e le tecniche utilizzate per sollecitare la narrazione, ne avevano condizionato l'esposizione dei fatti.
2.4. Con il quarto motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'art. 609 bis c.p., comma 3, la mancata qualificazione del fatto come ipotesi lieve evidenziando che quand'anche l'imputato fosse ritenuto responsabile del reato, in ogni caso l'abuso non aveva causato alcun turbamento nel minore, non avendo questi neppure percepito la valenza sessuale dell'atto come confermato dal consulente tecnico di parte, Dott. D.E..
2.5. Con il quinto motivo censura, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli artt. 133 e 62 bis c.p. e al vizio motivazionale, il mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante, risultando la pena complessiva manifestamente sproporzionata rispetto al disvalore effettivo del fatto e considerato altresì lo stato di incensuratezza dell'imputato, senza che le determinazioni assunte sul punto risultino supportate da adeguate argomentazioni per essersi la Corte di Appello limitata ad utilizzare una formula generica. Chiede quindi in via subordinata una congrua riduzione del trattamento sanzionatorio contenuto nei limiti del minimo edittale.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo non può ritenersi fondato.
Se è pacifico nella graduale trasformazione del sistema processuale tradizionale dei vari settori in giustizia digitale che, in assenza di una espressa norma derogatoria - prevista invece per il giudizio civile dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-bis, convertito con modifiche in L. n. 221 del 2012 - il deposito degli atti di parte nel processo penale non possa essere effettuato con modalità diverse da quelle tradizionali prescritte dal codice di rito e che per quanto specificamente concerne la lista testimoniale resti ferma la prescrizione del deposito in Cancelleria come disposto dall'art. 468 c.p.p., comma 1, (Sez. 3, n. 6883 del 26/10/2016 - dep. 14/02/2017, Manzi, Rv. 269197), va tuttavia rilevato che la ratio sottesa alla sanzione di inammissibilità delle comunicazioni effettuate dalle parti a mezzo Pec in luogo delle modalità prescritte ex lege risiede nella mancanza del fascicolo telematico, che costituisce l'approdo finale dell'architettura digitale degli atti giudiziari, quale strumento di ricezione e raccolta in tempo reale degli atti del processo trasmessi dalle parti, accessibile e consultabile da costoro così come dal giudice. E' chiaro infatti che in assenza di tale ricettore, l'atto depositato a mezzo PEC sia di fatto inesistente, necessitando per essere visibile in concreto dell'attività di stampa da parte della cancelleria e di inserimento del documento stampato nel fascicolo d'ufficio, di formazione e composizione esclusivamente cartacea.
Se tale onere aggiuntivo non può essere posto a carico del personale di Cancelleria, non potendosi il mezzo di semplificazione di trasmissione degli atti giudiziari perseguito attraverso l'introduzione del processo telematico tradursi in un aggravio degli incombenti dell'ufficio che il nuovo sistema processuale, ancora in corso di elaborazione, intende al contrario alleviare, ciò non toglie che ove la Cancelleria abbia sua sponte provveduto, così come è accaduto nella specie per le liste testimoniali trasmesse via Pec dal Pubblico Ministero e dalla parte civile, a stampare su supporto cartaceo i suddetti atti e ad inserirli nel fascicolo di ufficio in tempo utile rispetto al termine di sette giorni liberi rispetto alla data fissata per il dibattimento, venga meno lo stesso fondamento della sanzione di inammissibilità conseguente alla violazione delle forme di trasmissione degli atti di parte.
La piena visibilità dei documenti prodotti sia per le altre parti del processo sia per il giudice supera, infatti, l'irritualità originaria del mezzo di trasmissione, venendo meno, attraverso la loro trasformazione successiva in documenti cartacei, visibili, accessibili e consultabili da tutti i protagonisti del processo, le preclusioni che l'invio telematico per sua natura, allo stato, comporta.
Correttamente pertanto la Corte distrettuale ha disatteso la contestazione difensiva rilevando come la tempestiva allegazione al fascicolo del dibattimento delle liste testimoniali in questione non abbia prodotto in concreto nessuna violazione del diritto di difesa per l'imputato, con conseguente inoperatività della sanzione processuale dell'inammissibilità, strumentale alla lesione del suddetto diritto ed al contempo posta a presidio del regolare funzionamento del processo. 2. Il secondo motivo deve invece ritenersi inammissibile sia per la manifesta infondatezza delle doglianze che lo compongono, sia per la mancanza di correlazione delle stesse con i puntuali rilievi svolti dalla Corte territoriale in ordine ai singoli profili censurati.
In ordine alle contestazioni afferenti alla capacità a deporre della vittima, deve rilevarsi che l'attitudine a testimoniare - intesa come capacità del teste di recepire le informazioni, ricordarle e raccordarle, esaminata alla luce del complesso delle condizioni emozionali che attengono alla sua sfera interiore, del contesto e delle dinamiche dell'ambito familiare e sociale che lo circonda, così come dei processi di rielaborazione delle esperienze vissute - non richiede necessariamente, per univoco orientamento giurisprudenziale, un'indagine tecnico scientifica ad opera di un esperto del settore ove non emergano elementi patologici che possano far dubitare della predetta capacità (Sez. 3, n. 38211 del 07/07/2011 - dep. 24/10/2011, C., Rv. 251381; Sez. 3, n. 8541 del 18/10/2017 - dep. 22/02/2018, Rv. 272299). Sebbene allorquando si tratti di un minore parte offesa di un delitto sessuale si ponga in termini astratti - proprio in considerazione delle assai complesse implicazioni che siffatta materia comporta e delle quali non è facile stabilire l'incidenza in concreto - la necessità di un vaglio specifico della sua credibilità in senso onnicomprensivo valutando la posizione psicologica del dichiarante rispetto al contesto di tutte le situazioni interne ed esterne in cui si inserisce, a fronte dei naturali pericoli di affabulazione e di un non ancora formato bagaglio esperienziale tratto dal vissuto, tipici di una personalità in via di formazione, è naturale tuttavia distinguere tra la testimonianza del minore già adolescente o preadolescente da quella resa da bambini ancora in tenera età: la più stringente necessità di un indagine peritale si pone, per vero, solo in quest'ultimo caso per l'insito rischio, connesso all'età, di fenomeni suggestivi e comunque di una innata confusione tra il piano reale e quello fantastico che potrebbero condizionarne la capacità di raccontare e ricordare (Sez. 3, n. 26692 del 23/02/2011 - dep. 07/07/2011, Rv. 250629).
Da nessuna illogicità può ritenersi affetto il vaglio, esaustivo e compiutamente argomentato, dei giudici di merito in ordine alla piena capacità a deporre della vittima in ragione sia della fluidità della narrazione risultata spontanea, lineare e ricca di particolari, con assoluta congruenza delle risposte alle domande postegli, sia del sufficiente grado di maturità raggiunto dal ragazzo che al momento della sua audizione aveva già compiuto tredici anni ed era quindi, in linea con l'età raggiunta, consapevole della valenza sessuale delle condotte subite o che comunque era stato costretto a compiere, così come dei rapporti intercorrenti con l'imputato, risalenti ad una pluriennale conoscenza con i genitori.
La confusione tra la capacità a deporre e l'attendibilità del minore emerge semmai dalla stessa prospettazione difensiva che, pur lamentando l'omesso espletamento di un'indagine peritale volta ad accertare la capacità del ragazzo di rendere testimonianza, in concreto tuttavia non chiarisce le ragioni che avrebbero resa necessaria la indagine richiesta, dolendosi invece dei condizionamenti subiti da costui per effetto dell'intervento degli adulti cui aveva narrato i fatti prima di essere sentito dall'autorità giudiziaria, senza neppure chiarire in cosa tali condizionamenti sarebbero consistiti, spostando così il piano delle contestazioni sulla genuinità delle sue dichiarazioni e dunque sulla valutazione di attendibilità che compete esclusivamente al giudice di merito. Peraltro, trattasi di censure non soltanto generiche facendosi riferimento ad un racconto "arricchitosi di volta in volta di particolari", fatto questo che non trova alcuna rispondenza nelle risultanze istruttorie avendone i giudici, al contrario, accertato la coerenza intrinseca ed estrinseca rispetto ai dati raccolti dai testi de relato, ma altresì congetturali attenendo solo ad ipotesi astrattamente possibili, fondate come sono soltanto sulla reiterazione del racconto della vicenda reso vari interlocutori prima dell'audizione del ragazzo in sede di incidente probatorio, fatto questo di per sè assolutamente neutro in termini di soggezione ad influenze esterne.
Va infatti chiarito che, come ritenuto dalla più accreditata dottrina in materia, la suggestionabilità non è un tratto personologico, bensì un fenomeno dipendente dal contesto socio-ambientale in cui viene a trovarsi il dichiarante. Non esiste una suggestionabilità in astratto, ma esistono al contrario delle relazioni suggestive, delle circostanze suggestive, delle domande suggestive. Perciò è stato reiteratamente affermato dalla giurisprudenza che la capacità del testimone va valutata in concreto e non in astratto: in tanto il giudice può ritenere l'inaffidabilità della testimonianza in quanto disponga di tangibili elementi per stabilire che il dichiarante non sia in grado di rendere dichiarazioni a causa dell'intervento di specifici fattori inquinanti (Sez. 3, n. 8057 del 06/12/2012 - dep. 20/02/2013, Rv. 254741) che nella specie non risultano essere stati in tali termini affatto prospettati, tale non potendosi ritenere la circostanza che le prime rivelazioni fossero state sollecitate dalla madre, accortasi di anomale interlocuzioni via chat tra il figlio e l'imputato.
La circostanza che costei, abbia nell'immediatezza, posto al figlio delle domande che la difesa definisce "chiuse" non assume alcuna rilevanza nè rispetto alla Carta di Noto che, contenendo dei "suggerimenti" volti a preservare la genuinità delle risposte del minore alle domande postegli e soprattutto a contenere l'impatto traumatico che il coinvolgimento di un minore in un processo giudiziario ineludibilmente comporta (Sez. 1, n. 37244 del 13/11/2013 - dep. 08/09/2014, Altamura, Rv. 260531; Sez. 3, n. 15737 del 15/11/2018 - dep. 10/04/2019, L, Rv. 275863), è applicabile, pur dovendosene ribadire la mancanza di valore precettivo, alle sole audizioni assunte ad opera del giudice, nè rispetto alle risposte fornite dal ragazzo che non diventano, quand'anche le domande postegli dalla mamma non fossero conformi alle "best practices" elaborate dalla dottrina, perciò solo inattendibili, essendo la versione resa da costui sugli abusi subiti, come coerentemente rilevato dalla Corte distrettuale, rimasta immutata nelle plurime narrazioni rese sia agli adulti di riferimento che all'autorità giudiziaria.
Del resto, a chiudere il cerchio, soccorre la valutazione di attendibilità del minore, condotta dai giudici capitolini attraverso il rigoroso vaglio sia intrinseco che estrinseco delle dichiarazioni rese che non risultano scalfite dalle censure difensive le quali, appuntandosi sull'apprezzamento della prova, sollecitano un sindacato non consentito nel giudizio di legittimità, non essendo rimesso a questa Corte alcun giudizio sul dissenso, pur motivato, in ordine al risultato del procedimento valutativo cui è pervenuta la decisione di merito, all'infuori dell'ipotesi in cui la valutazione resa risulti affetta da contraddittorietà o manifesta illogicità, evenienza questa sicuramente non ricorrente nel caso di specie. Le contestazioni di cui al presente ricorso tradiscono, invero, il dissenso sulla valutazione della deposizione della p.o. in ordine alla sua attendibilità, operazione censorea questa non consentita nella presente sede di legittimità ove sì consideri che il giudice di merito, peraltro ben più vicino alle fonti di prova, è libero, nella formazione del suo convincimento, di attribuire alle acquisizioni probatorie il peso ed il significato ritenuti coerenti e rilevanti ai fini della decisione purchè ne fornisca - così come è avvenuto nella fattispecie in esame - un'adeguata motivazione, non potendo trovare ingresso nel presente giudizio una diversa e più favorevole rilettura per il ricorrente degli elementi di fatto posti a base della decisione. Il vizio motivazionale deducibile in sede di legittimità deve essere, infatti, diretto ad individuare un preciso difetto del percorso logico argomentativo offerto dalla Corte di merito, che va non solo identificato come illogicità manifesta della motivazione o come omissione argomentativa, intesa sia quale mancata presa in carico degli argomenti difensivi, sia quale carente analisi delle prove a sostegno delle componenti oggettive e soggettive del reato contestato, ma deve essere altresì decisivo, ovverosia idoneo ad incidere sul compendio indiziario così da incrinarne la capacità dimostrativa, non potendo il sindacato di legittimità, riservato a questa Corte, dilatarsi nella indiscriminata rivalutazione dell'intero materiale probatorio che si risolverebbe in un nuovo giudizio di merito.
La sentenza impugnata, invero, evidenzia, sotto il primo profilo, come in assenza di ragioni di astio o di conflitto pregresso con l'imputato, che era al contrario una figura ben inserita nel gruppo familiare tanto da meritare l'appellativo di "zio" da parte del ragazzo, il quale aveva peraltro cercato di dissuadere i genitori, una volta emersa la condotta criminosa posta in essere ai suoi danni, da iniziative che potessero rivelarsi nocive per l'uomo, non si ravvisino elementi volti ad incrinare la credibilità del giovane, nè tantomeno a rivelare suggestioni eteroindotte che la difesa tenta vanamente di individuare nelle espressioni utilizzate dal dichiarante a sua detta non consone all'età: ma trattasi, come rileva la Corte distrettuale, di argomentazione soltanto suggestiva atteso che, quand'anche mutuate dagli adulti, le locuzioni impiegate rispondevano pienamente alla tipologia di abusi subiti e ripetutamente descritti sin dalle originarie rivelazioni.
Quanto all'attendibilità estrinseca, vengono messi in luce i plurimi riscontri costituiti dal contenuto dell'unica conversazione via chat non cancellata contenente per l'appunto l'invito al ragazzo ad eliminare tutti i precedenti messaggi, certamente emblematico di un contenuto sospetto degli stessi, dal racconto collimante tra la vittima ed il prevenuto circa la visione durante i loro incontri di immagini di natura sessuale, poi ritrovate sul computer personale di quest'ultimo, dalle deposizioni dei genitori sul numero e le modalità dei loro incontri, dalla coincidenza tra la versione resa dal ragazzo in sede di incidente probatorio e il racconto ricevuto dalla madre e dal terapeuta, sentiti come testi de relato, nonchè in via diretta la deposizione della madre sulle reazioni del tutto anomale mostrate dal figlio dopo il primo episodio. Del resto, le pretese discrepanze evidenziate dalla difesa tra la deposizione della p.o. e quella della madre vengono espressamente affrontate dai giudici del gravame che ne evidenziano o la natura del tutto marginale, che si riverbera nel presente giudizio di legittimità come contestazione priva della decisività necessaria ad integrare il vizio motivazionale deducibile ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), o ne forniscono, come nel caso della richiesta da parte del giovane di chiudere la porta della sua stanza dove si trovava con l'imputato, una plausibile spiegazione che non cessa di essere logica solo perchè contraria agli assunti del ricorrente.
3. Il terzo motivo è inammissibile in ragione della sua aspecificità, risolvendosi in contestazioni aventi ad oggetto pretese violazioni dei principi codificati dalla Carta di Noto e dalla Convenzione di Lanzarote senza alcuna indicazione nè delle ripercussioni concrete derivate alla genuinità del racconto dalla distanza temporale tra il primo episodio di violenza sessuale e l'audizione del ragazzo, nè delle concrete modalità di assunzione dell'incidente probatorio asseritamente suggestive, limitandosi la difesa a contestare le tecniche utilizzate per sollecitare il racconto del dichiarante, senza alcuna ulteriore precisazione all'infuori della tralatizia riproduzione di massime giurisprudenziali, astrattamente invocate.
4. Il quarto motivo afferendo ad un profilo mai devoluto ai giudici del gravame, deve essere dichiarato inammissibile: nessuna contestazione risulta essere stata articolata con l'atto di appello in ordine alla sussumibilità del fatto nell'ipotesi di minor gravità di cui all'art. 609 bis, comma 3 di cui si duole ora i ricorrente, avendo egli limitato, come risulta dai motivi di gravame sinteticamente riportati dalla sentenza impugnata, le proprie censure, successive a quelle appena esaminate concernenti l'affermazione di responsabilità, al solo trattamento sanzionatorio.
5. Quanto a queste ultime, oggetto del quinto motivo, deve essere rilevato che il bilanciamento tra le opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito nell'apprezzamento dei fatti e nella concreta determinazione della pena, sfugge al sindacato di legittimità qualora la soluzione adottata sia stata giustificata con la indicazione degli elementi ritenuti prevalenti in applicazione dei parametri fissati dall'art. 133 c.p. ai fini del giudizio di comparazione, anche se non abbia confutato tutte le deduzioni delle parti volte a conseguire una diversa valutazione comparativa di tutte le circostanze del reato (Sez, U. n. 10713 del 25.2.2010, Contaldo, Rv. 245931).
Nel caso in esame la motivazione della sentenza, nel dar conto della gravità della condotta in ragione sia del grado di invasività degli atti rispetto alla sfera sessuale della vittima, sia della reiterazione degli abusi, essendosi trattato di due distinti episodi, nonchè della violazione del rapporto fiduciario riposto dai genitori nell'imputato cui avevano affidato il figlio perchè assistesse alle prestazioni professionali richiestegli nella riparazione degli apparecchi domestici, non lascia spazio ad alcuna incoerenza nel ritenuto giudizio di equivalenza, compiuto in aderenza agli elementi obiettivamente tratti dalle risultanze processuali, tenuto conto che la pena base è stata comunque fissata nel minimo edittale, nè nell'aumento applicato ai fini della continuazione.
Il motivo in esame deve essere dichiarato perciò inammissibile.
6. Deve quindi concludersi per il rigetto del ricorso, seguendo a tale esitp la condanna del ricorrente, a norma dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali. A carico del medesimo vanno altresì poste, secondo la regola della soccombenza, le spese processuali sostenute nel grado dalle parti civili in relazione alle quali, essendo stati costoro ammessi al gratuito patrocinio, può essere pronunciata nella presente sede di legittimità la sola condanna generica in favore dell'Erario, ai sensi dell'art. 541 c.p.p. e D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 110, mentre è rimessa al giudice del rinvio la liquidazione dei relativi importi mediante l'emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del citato D.P.R. (Sez. U, n. 5464 del 26/09/2019 - dep. 12/02/2020, De Falco, Rv. 277760).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili S.Q. e R.C., in proprio e quali esercenti la responsabilità genitoriale sul minore S.M., ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di Appello di Roma con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2000, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, in quanto imposto dalla legge.