Lo ha stabilito la Corte di Cassazione affermando un nuovo principio di diritto e ribadendo il limite invalicabile della domanda quale regola processuale a cui soggiacciono i diritti a c.d. disponibilità attenuata, tra cui le condizioni patrimoniali dei coniugi.
Il Tribunale di Sondrio revocava l'assegnazione esclusiva all'ex moglie della casa coniugale e disponeva in favore della medesima un assegno divorzile mensile di 1.800 euro.
In sede di gravame, la Corte d'Appello di Milano riformava parzialmente la decisione di primo grado, stabilendo che il marito avrebbe dovuto versare all'ex consorte un assegno divorzile di 1.000 euro fino al momento in cui la stessa sarebbe rimasta a vivere nella casa coniugale, da aumentare a 1.800 euro non appena l'avrebbe lasciata.
Avverso tale decreto, il marito propone ricorso in Cassazione lamentando, tra le varie doglianze, il vizio di ultra petizione nella determinazione del quantum da versare a titolo di assegno divorzile.
Con l'ordinanza n. 11795 del 5 maggio 2021, la Corte di Cassazione accoglie parzialmente il ricorso e rimette gli atti alla Corte di merito enunciando il seguente principio di diritto: «in tema di soluzione giudiziale della crisi familiare, le statuizioni che regolano gli aspetti economico-patrimoniali tra i coniugi incidono nell'area dei diritti a cd. disponibilità attenuata e soggiacciono alle regole processuali ordinarie con il corollario del limite invalicabile della domanda, in quanto presuppongono l'iniziativa della parte interessata e l'indicazione, a pena di inammissibilità, del petitum richiesto al giudice, potendo configurarsi come diritto indisponibile solo quello relativo alla parte del contributo economico connotata dalla finalità assistenziale».
Nel caso in esame, infatti, nonostante l'ex moglie non avesse proposto alcuna domanda subordinata e la parte dell'assegno eccedente il petitum non fosse riconducibile a natura assistenziale, i Giudici di merito imputavano l'aumento ufficioso dell'assegno al fatto che la beneficiaria avesse a suo carico il 10% delle spese straordinarie per la figlia; tuttavia, la Corte d'Appello non aveva tenuto conto che non può aversi un aumento d'ufficio senza allegazione o domanda di parte sul punto.
Svolgimento del processo
1. Con decreto del 9-4-2015 il Tribunale di Sondrio, pronunciando sul ricorso proposto L. n. 898 del 1970, ex art. 9 da S.F. nei confronti di G.S. avente ad oggetto la modifica delle condizioni di divorzio congiunto di cui alla sentenza n. (omissis) depositata il (omissis), revocava l'assegnazione esclusiva all'ex moglie della casa coniugale in comproprietà e, di conseguenza, anche la contribuzione al 50% dell'ex marito per le spese relative all'abitazione, disponeva il versamento del contributo di mantenimento in favore della figlia maggiorenne mediante versamento diretto alla stessa, poneva a carico dei genitori il contributo per il pagamento delle spese straordinarie della figlia nella misura del 90% a carico del padre e del 10% a carico della madre e disponeva in favore dell'ex moglie un assegno divorzile mensile di Euro 1.800 rivalutabile annualmente, compensando tra le parti le spese di giudizio.
2. Con decreto n. 2157/2017 depositato il 31-3-2017 la Corte d'appello di Milano ha parzialmente accolto il reclamo proposto da S.F. avverso il citato decreto del Tribunale di Sondrio e, in parziale modifica dello stesso, ha disposto in favore dell'ex moglie e a carico dell'ex marito la corresponsione dell'assegno divorzile dell'importo mensile di Euro 1.000, senza obbligo di restituzione delle eventuali somme ricevute in eccedenza, fino al momento della permanenza della G. nella casa coniugale, nonchè ha disposto la corresponsione dell'assegno nell'importo mensile di Euro 1.800 a decorrere dal momento in cui l'ex moglie avrebbe lasciato la casa coniugale, compensando per metà le spese di lite e ponendo a carico della G. la residua metà. La Corte d'appello ha ritenuto che: (i) non ricorresse il denunciato vizio di ultra petizione, per avere il Tribunale riconosciuto alla G. l'assegno di divorzio nell'importo mensile di Euro 1.800, nonostante fosse stato richiesto dall'ex coniuge nell'importo mensile di Euro 1.000, in quanto la maggiorazione di Euro 800 era stata riconosciuta dal Tribunale tenendo conto della revoca dell'assegnazione della casa familiare all'ex moglie e del contributo alle spese per la medesima abitazione, nonchè in considerazione del disposto contributo al 10% posto a carico della madre per le spese straordinarie della figlia, sicchè la maggiorazione era da ritenersi compensativa del venir meno dei suddetti benefici economici; (ii) sussistessero i presupposti per il riconoscimento dell'assegno di divorzio, non essendo contestata la sopravvenuta perdita del lavoro da parte della G., e vi fosse un notevole squilibrio economico tra le parti, svolgendo l'ex moglie attività lavorativa part time con retribuzione mensile di 800-1000 Euro ed avendo la stessa sempre lavorato e continuando ad avere capacità reddituali; (iii) fosse congruo l'importo mensile di Euro 1.000 a titolo di assegno divorzile, valutata la durata del matrimonio e le condizioni economiche peggiorative in essere dell'ex moglie, che di fatto continuava ad abitare nella casa coniugale, evidentemente con il consenso del marito, nonchè fosse congrua la quantificazione dell'assegno nell'importo mensile di Euro1.800 a decorrere dal momento in cui l'ex moglie avrebbe lasciato la casa coniugale.
3. Avverso questo decreto propone ricorso per cassazione S.F., affidato a tre motivi, nei confronti di G.S., che ha depositato controricorso.
4. Il ricorso è stato fissato per l'adunanza in camera di consiglio ai sensi dell'art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Il ricorrente denuncia: (i) con il primo motivo, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c. in rapporto all'art. 345 c.p.c. e art. 99 c.p.c.), in particolare per avere la Corte d'appello, con motivazione totalmente carente, ritenuto insussistente il vizio di ultra petizione, mentre la G., nell'opporsi alla revoca dell'assegnazione della casa familiare, aveva chiesto in primo grado l'assegno di divorzio di Euro 1.000, senza svolgere alcuna domanda subordinata, neppure con riferimento alla casa coniugale, in comproprietà con l'altro coniuge e facilmente divisibile, anche perchè dell'estensione complessiva di mq. 216, considerato, peraltro, che a dicembre 2016 l'ex moglie era divenuta proprietaria di altri due immobili abitativi personali; (ii) con il secondo motivo, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l'omesso esame di un fatto decisivo, in particolare per aver omesso la Corte d'appello di considerare che, come rimarcato nel reclamo alle pagine indicate nel ricorso e come emerge dal verbale di accordo prodotto dalla stessa G. in primo grado quale doc. 16, l'ex moglie aveva perso il lavoro a seguito di licenziamento in ambito di procedura ex L. n. 233 del 1991, aderendo ad una mobilità volontaria e percependo n. 50 mensilità lorde dello stipendio, pari ad un importo netto complessivo di circa Euro 150.000-160.000; (iii) con il terzo motivo, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, e la violazione del principio di "auto-responsabilità" degli ex coniugi, in relazione al riconoscimento del diritto all'assegno divorzile anche in base ai principi affermati da questa Corte con la sentenza n. 11504/2017, per essere l'ex coniuge economicamente indipendente o in grado di esserlo, nonchè per avere la G. perso il lavoro in conseguenza, in concreto, di un esodo volontario con cospicui incentivi, essendo, altresì, l'ex moglie soggetto professionalmente qualificato, tanto da avere reperito un nuovo lavoro presso la società di famiglia nel luogo di residenza e potenzialmente capace di guadagnare di più, oltre che comproprietaria della casa familiare e proprietaria di due immobili acquistati nelle more della decisione d'appello.
2. In via pregiudiziale, deve rilevarsi che, in base all'esame diretto del fascicolo d'ufficio consentito a questa Corte per il controllo della ritualità degli atti processuali, il controricorso non risulta notificato al ricorrente, nè è stata chiesta dalla G. alcuna rimessione in termini in sanatoria. Conseguentemente le questioni sollevate con il controricorso, ove non suscettibili di rilievo ufficioso, non possono essere esaminate (cfr. Cass. n. 3218/1987).
3. Passando all'esame dei motivi, è inammissibile il terzo, da scrutinare prioritariamente in ordine logico in quanto la censura concerne la debenza dell'assegno divorzile, chiesto per la prima volta dall'ex moglie nel (OMISSIS) nel giudizio di revisione (il matrimonio è del (omissis), la separazione consensuale è avvenuta nel (OMISSIS), il divorzio congiunto nel (omissis)).
3.1. Il ricorrente, nel sostenere, in modo non del tutto lineare, di aver riproposto nel giudizio di reclamo la questione relativa all'an della pretesa di assegno divorzile azionata in primo grado dall'ex moglie, per avere la stessa subito nelle more un peggioramento della sua situazione economico-patrimoniale a causa della perdita del lavoro, omette di trascrivere nel ricorso, con modalità autosufficienti, le parti di riferimento dell'atto di reclamo, da cui possa risultare con chiarezza dove e come aveva chiesto il diniego dell'assegno di divorzio. Tanto non è dato desumere, in particolare, da quanto espone il ricorrente circa "il ragionamento dogmatico e le domande che ci si pongono nel caso in esame" (cfr. pag. 8 e 9 ricorso) che assume di aver dedotto in sede di reclamo, risolvendosi l'illustrazione in un richiamo di considerazioni sulla distinzione tra licenziamento ed esodo volontario incentivato. Dal provvedimento impugnato emerge che il reclamante aveva chiesto la parziale modifica del decreto del Tribunale - cfr. pag. 2 del decreto, in cui si legge che lo S. aveva chiesto stabilire l'assegno entro e non oltre i limiti richiesti dalla controparte - e che, pertanto, in base a quanto esposto dalla Corte di merito sul contenuto del reclamo dell'attuale ricorrente, l'ultra petizione imputata al Tribunale riguardava il quantum dell'assegno divorzile. A fronte di ciò, l'onere di autosufficienza avrebbe dovuto essere assolto dal ricorrente con particolare rigore e precisione, il che non è stato, per quanto si è detto.
Sotto ulteriore e dirimente profilo, la doglianza è inammissibile in quanto sollecita, in buona sostanza, una rivisitazione del merito, mediante il richiamo di dati fattuali di cui viene chiesto il riesame a questa Corte, come se il giudizio di legittimità fosse una sorta di prosecuzione di quello di revisione.
4. Il primo motivo è fondato.
4.1. E' incontroverso in causa che alla G. sia stato riconosciuto dal Tribunale, a titolo di assegno divorzile, un importo superiore a quello che quest'ultima aveva chiesto (Euro 1.000) e la Corte d'appello ha in buona sostanza confermato quella statuizione, con una decisione condizionata ad un evento futuro, ossia da valere, quanto alla debenza dell'importo di Euro 1.800 già determinato dal Tribunale, dal momento in cui la G. avrebbe lasciato la casa familiare, in comproprietà con l'ex marito, la cui assegnazione in favore della G. era stata revocata per essere venuta meno la convivenza stabile con la figlia (pag. n. 5 decreto impugnato).
Ciò posto, a differenza delle condizioni patrimoniali che riguardano la prole (cfr. Cass. n. 25055/2017), le condizioni che regolano gli aspetti patrimoniali tra i coniugi rientrano nell'area dei diritti a cd. disponibilità attenuata e soggiacciono alle regole processuali ordinarie, con il corollario del limite invalicabile della domanda. In base all'orientamento di questa Corte al quale il Collegio intende dare continuità (Cass. n. 11061/2011 e Cass. n. 4205/2006), la domanda a contenuto patrimoniale concernente i rapporti tra i coniugi, quale è quella di assegno divorzile, deve contenere, a pena di inammissibilità, il petitum richiesto al giudice, atteso che tutto ciò che riguarda direttamente i rapporti economici di dare ed avere tra i coniugi presuppone l'iniziativa della parte interessata, potendo rivestire carattere di diritto indisponibile solo quello relativo alla parte del contributo economico connotata dalla finalità assistenziale.
Nella specie, esclusa la connotazione assistenziale della parte di assegno eccedente il petitum della pretesa azionata dalla G. (Euro 1.000), che non risulta attribuita con quella finalità dalla Corte di merito, peraltro non compatibile con la complessiva quantificazione dell'assegno stesso (Euro 1.800), non è stata proposta dalla G. una domanda subordinata, correlata alla revoca dell'assegnazione della casa familiare o al venir meno di altri benefici economici, in base a quanto emerge dallo stesso tenore del decreto impugnato.
I Giudici di merito hanno, dunque, proceduto ad aumentare d'ufficio l'importo dell'assegno divorzile chiesto dalla G., rimarcando, per l'appunto, che detto aumento compensava benefici economici venuti meno, poichè a suo carico era stato posto il contributo del 10 % per le spese straordinarie per la figlia ed inoltre avrebbe subito la perdita, futura ed eventuale, del godimento della casa familiare, di cui è comproprietaria.
Le suesposte circostanze, seppur rappresentano in linea astratta un valore economico (Cass. n. 25420/( omissis) sul godimento della casa familiare), non potevano essere prese in considerazione ufficiosamente, senza che vi fosse allegazione e domanda sul punto da parte dell'ex coniuge beneficiario, con una pronuncia esorbitante dal petitum azionato.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il decreto impugnato va cassato nei limiti del motivo accolto e la causa va rimessa alla Corte di merito che dovrà attenersi al seguente principio di diritto: "In tema di soluzione giudiziale della crisi familiare, le statuizioni che regolano gli aspetti economico-patrimoniali tra i coniugi incidono nell'area dei diritti a cd. disponibilità attenuata e soggiacciono alle regole processuali ordinarie con il corollario del limite invalicabile della domanda, in quanto presuppongono l'iniziativa della parte interessata e l'indicazione, a pena di inammissibilità, del "petitum" richiesto al giudice, potendo configurarsi come diritto indisponibile solo quello relativo alla parte del contributo economico connotata dalla finalità assistenziale".
5. Dall'accoglimento del primo motivo consegue l'assorbimento del secondo.
6. In conclusione, merita accoglimento il primo motivo di ricorso, dichiarati assorbito il secondo ed inammissibile il terzo, con la cassazione del decreto impugnato nei limiti del motivo accolto e rinvio della causa alla Corte d'appello di Milano, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarati assorbito il secondo ed inammissibile il terzo, cassa il decreto impugnato nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d'appello di Milano, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.
Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.