
Per la Corte di Cassazione, il fatto che paziente si sia rivolto anche ad altri dentisti ha reso impossibile quantificare il danno da ascrivere al professionista.
Un paziente proponeva opposizione avverso un decreto ingiuntivo intimatogli dal Tribunale di Vicenza a titolo di pagamento delle prestazioni odontoiatriche, lamentando che tali prestazioni non erano state eseguite perfettamente dal dottore a tal punto da doversi rivolgere ad altri professionisti a causa dei forti dolori avuti dopo l'operazione. Contestualmente chiedeva la condanna al risarcimento dei danni.
La Corte d'Appello di Venezia rigettava il gravame reputando che l'impugnazione fosse priva sia della prova della non corretta esecuzione della prestazione da parte del professionista sia del nesso causale tra la prestazione eseguita e i disturbi lamentati dall'attore, anche in ragione del fatto che successivamente erano intervenuti altri professionisti.
L'attore propone ricorso in Cassazione, lamentando che il giudice non avesse verificato la corretta esecuzione della prestazione e che l'onere di provare la diligente esecuzione di tale prestazione fosse a carico del professionista e non del ricorrente stesso.
In linea con i Giudici d'Appello, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 15108 del 31 maggio 2021, rigetta il ricorso osservando che non era possibile quantificare i danni riconducibili alla prestazione originaria a causa dei successivi interventi di altri dentisti.
Svolgimento del processo
1. B.R., con atto di citazione del 19/5/2008, propose opposizione ad un Decreto Ingiuntivo intimatogli dal Tribunale di Vicenza in favore del Dott. Be.Bo., per l'importo di Euro 6.330, a titolo di pagamento di prestazioni odontoiatriche. Rappresentò che dette prestazioni non erano state eseguite a regola d'arte, al punto che egli aveva accusato fastidiosi scricchiolii alla mandibola, acufeni e vertigini e, rivoltosi ad altro professionista, aveva appreso che il Dott. Be., nell'esecuzione di un impianto, non aveva provveduto ad applicare, prima dei definitivi denti in porcellana, dei denti in resina più elastici che avrebbero garantito il buon esito della prestazione professionale. Oltre ad opporsi al decreto ingiuntivo chiese la condanna del Be. al risarcimento dei danni.
Il convenuto si costituì i difendendo il proprio operato; ed assunse che la prestazione non era stata ultimata perchè il paziente non si era presentato alle visite; citò in giudizio la propria compagnia di assicurazioni UGF per essere, nell'ipotesi di condanna, da essa manlevato.
Il Tribunale adito, assunte prove orali ed espletata una CTU, ritenne che le prove acquisite avessero confermato la prospettazione difensiva del convertito e rigettò l'opposizione.
2. La Corte d'Appello di Venezia, adita dal B., con sentenza n. 2444 del 2018, ha rigettato l'appello, ritenendo, per quanto ancora qui di interesse, mancante la prova della non corretta esecuzione della prestazione da parte del professionista, specie con riguardo alla pretesa mancata esecuzione dell'impianto in resina ritenuta inattendibile e l'assenza del nesso causale tra la prestazione eseguita ed i disturbi di acufene e di vertigini lamentati dal paziente, anche in ragione del fatto che sull'impianto erano intervenuti, dopo il Be., altri professionisti.
Avverso la sentenza il B. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. Nessuno ha resistito al ricorso.
3. La causa è stata assegnata per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell'art. 380bis.1 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo - violazione e falsa applicazione degli artt. 1460 e 2697 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - il ricorrente assume che, a seguito dell'eccezione di inadempimento da lui sollevata nell'atto di opposizione al decreto ingiuntivo, il giudice avrebbe dovuto verificare, sul piano della prova, che la prestazione fosse stata eseguita a regola d'arte, incombendo sul professionista l'onere della relativa prova.
2. Con il secondo motivo - Violazione e falsa applicazione dell'art. 1176 c.c. ed art. 2697 c.c., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - assume che la sentenza avrebbe una motivazione apodittica nella parte in cui esclude la fondatezza delle censure relative al comportamento non diligente del Be., laddove la giurisprudenza di questa Corte porrebbe a carico del professionista la prova della diligente esecuzione della prestazione professionale.
1-2 I motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto entrambi afferenti al regime probatorio della diligenza qualificata del professionista e sono entrambi inammissibili, perchè non si confrontano con l'autonoma ratio decidendi dell'impugnata sentenza relativa al nesso causale. La Corte d'Appello infatti neppure ha esaminato i profili soggettivi della eventuale responsabilità del professionista, perchè ha escluso la configurabilità del nesso causale tra la prestazione posta in essere dal medesimo ed i disturbi accusati dal B. in ragione del fatto che il quadro clinico risultava alterato dagli interventi successivi di altri professionisti. Ciò rendeva infatti impossibile comprendere quali danni potessero essere ricondotti alla prestazione originaria del Be.. E' evidente che, essendosi la sentenza fermata prima, per dir così, dell'accertamento della colpa, il ricorrente anzichè soffermarsi sulla pretesa violazione delle regole di riparto dell'onere della prova sulla diligenza professionale, avrebbe dovuto impugnare la statuizione che ha escluso la possibilità di accertamento del nesso causale tra la prestazione professionale e il danno;e non avendolo fatto la sua impugnazione non può che essere ritenuta inammissibile, in conformità alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass., 1, n. 17182 del 14/8/2020; Cass., 3 n. 13880 del 617/2020, Cass. 1, n. 18641 del 27/7/2017).
3. Con il terzo motivo di ricorso - violazione dell'art. 132 c.p.c., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità del procedimento. Motivazione apparente o contraddittoria. Omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 - il ricorrente lamenta la motivazione apparente della impugnata sentenza nella parte in cui, da un lato, escluderebbe la sussistenza del nesso causale dall'altro richiamerebbe passaggi della CTU che sembrerebbero, invece, deporre per la sussistenza del medesimo.
3.1 Il motivo è infondato in quanto la sentenza ha valutato congiuntamente tutti gli elementi raccolti in giudizio per escludere, da un lato, la prova dell'infondatezza dell'addebito relativo alla mancata esecuzione di un impianto in resina, dall'altro l'impossibilità, per il CTU, di apprezzare attualmente la presenza di acufeni e vertigini, così dando luogo ad una motivazione complessa ed esaustiva circa l'assenza di elementi certi per la sussistenza del nesso di causalità tra la prestazione professionale ed il danno.
4. Conclusivamente il ricorso va rigettato. Non occorre provvedere sulle spese perchè le parti intimate non hanno svolto difese. Si dà, invece, atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del cd. "raddoppio" del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorsa). Nulla spese. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.