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1 giugno 2021
Troppe azioni esecutive nei confronti dello stesso debitore costituiscono abuso del processo

Condotta illecita, anche sul piano deontologico, è quella del creditore che moltiplica le azioni esecutive nei confronti dello stesso debitore con il solo effetto di aggravare i costi della procedura.

a cura di La Redazione

L'attuale ricorrente, in possesso di ben 5 titoli esecutivi nei confronti della stessa società, iniziava altrettante esecuzioni forzate nei confronti della stessa nella forma del pignoramento presso terzi. Tutte e 5 le esecuzioni venivano riunite dal Tribunale di Treviso che, nelle vesti di giudice dell'esecuzione, assegnava al creditore le somme precettate a titolo di onorari e di spese.
Tuttavia, il creditore proponeva opposizione contro la suddetta ordinanza di assegnazione, lamentando la sottostima sia delle spese, sia degli onorari a lui assegnati, in quanto il Giudice aveva liquidato gli stessi per un'unica procedura, senza considerare che avrebbe dovuto liquidare gli onorari in relazione a 5 procedure diverse per le attività svolte prima della riunione.
Il Tribunale di Treviso rigettava l'opposizione.
Il creditore, allora, si rivolge alla Corte di Cassazione, sostenendo che il Tribunale avesse erroneamente ritenuto non dovuti (perché superflui) gli onorari e le spese da lui richiesti.

Con l'ordinanza n. 15077 del 31 maggio 2021, la Suprema Corte dichiara fondati i motivi di ricorso. Tuttavia, ciò non determina la cassazione della decisione impugnata, imponendosi esclusivamente la parziale correzione della motivazione su cui essa si fonda.
Innanzitutto, gli Ermellini chiariscono che per soggezione del debitore all'esecuzione, principio che governa la regolazione delle spese nel procedimento esecutivo, si intende che nel processo di esecuzione per espropriazione forzata ci sono «debitori dal patrimonio dei quali il creditore procedente ha diritto di ricavare quanto gli spetta per capitale, interessi e spese», dunque, quando il giudice dell'esecuzione liquida le spese sostenute dal creditore sta semplicemente verificando l'importo del credito, senza emettere alcuna decisione di condanna. Da ciò non discende, però, che il creditore non possa dolersi della sottostima delle spese processuali, essendo esse accessori del credito per capitale e potendo, dunque, essere oggetto di istanze rivolte al giudice dell'esecuzione ovvero di opposizioni esecutive.
Per tale ragione, l'opposizione all'esecuzione contro un'ordinanza di assegnazione può sempre essere impugnata mediante opposizione agli atti esecutivi.

Nella stessa ordinanza, gli Ermellini chiariscono un altro passaggio fondamentale, vale a dire quello per cui «non è consentito al creditore aggravare inutilmente la posizione del debitore, abusando del processo», precisando che per abuso del processo si intende qualsiasi iniziativa processuale volta ad ottenere un vantaggio ingiusto distorcendo i fini naturali del processo civile. A tal proposito, la Corte chiarisce che «In sede esecutiva, costituisce abuso del processo la moltiplicazione delle iniziative esecutive che, senza frutto per il creditore, hanno l'unico effetto di far lievitare i costi della procedura», rilevando che tale condotta è illecita anche dal punto di vista deontologico ai sensi dell'art. 66.
Considerando che nei fatti il creditore ha triplicato le spese di procedura, pignorato per ben 5 volte lo stesso credito nei confronti dello stesso debitore e che, al momento del primo pignoramento, egli era già in possesso di 4 titoli esecutivi in seguito messi in esecuzione, la Corte di Cassazione non ha dubbi sull'illegittimità della sua condotta; segue il rigetto del ricorso.

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