Con il parere in commento, il Consiglio di Stato smentisce i dubbi circa la legittimità dei D.P.C.M. adottati da Governo per fronteggiare l'emergenza sanitaria, anche in relazione al divieto di svolgere l'attività di ristorazione tra le 18.00 e le ore 5.00.
Con il parere n. 850 del 13 maggio 2021 il Consiglio di Stato ha dichiarato legittimi i
Quanto alla conformità dei D.P.C.M. al nostro sistema costituzionale, il Consiglio di Stato spiega che la normativa secondaria dell'esecutivo è funzionale a regolare la disciplina di dettaglio e analitica della fattispecie, poiché tale specificità non è riservata, in linea generale, alla normativa primaria; aggiunge inoltre che l'utilizzo di questa tipologia di atto è dovuta alla sua duttilità, adattabilità e flessibilità che consentono di adattare la normativa alla mutevolezza della pandemia più velocemente rispetto al decreto-legge.
Per quanto riguarda il divieto di svolgere attività di ristorazione, Consiglio di Stato ritiene che tale preclusione sia ragionevole, alla stregua del principio di precauzione, per la tutela della salute pubblica. Sebbene il principio di precauzione debba essere ponderato con il principio di proporzionalità, il Consiglio di Stato ritiene che la prevalenza del primo sul secondo sia giustificata dall'attuale contesto di emergenza sanitaria caratterizzato «dalla circolazione di un virus sul cui comportamento non esistono certezze nella stessa comunità scientifica, con la logica conseguenza che, non essendo conosciuti, né prevedibili con certezza i rischi indotti da attività lavorative e commerciali potenzialmente pericolose, l'azione dei pubblici poteri ben può e deve tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, a tutela del valore primario della salute».
Svolgimento del processo/Motivi della decisione:
1. Il ricorso è in parte inammissibile, in parte infondato nel merito.
2. È in primo luogo fondata leccezione di inammissibilità proposta dalla Presidenza del consiglio riguardo allimpugnativa del decreto del Questore di Pesaro e Urbino del 27 ottobre 2020, trattandosi evidentemente di un atto non definitivo sottoposto a ricorso gerarchico, non esperito. È altresì inammissibile la domanda risarcitoria, esclusa nellambito del ricorso straordinario al Capo dello Stato, che è dato esclusivamente per lannullamento di atti amministrativi definitivi e non consente la proposizione di domande di accertamento e di condanna.
3. Ciò posto, occorre verificare, sul piano della legittimazione e dellinteresse a chiedere lannullamento degli impugnati dd.P.C.M. del 24 ottobre 2020 e del 3 novembre 2020, se persistano lammissibilità e la procedibilità di tali domande, pur dopo aver rilevato linammissibilità dellimpugnativa dellatto questorile sanzionatorio e nonostante la circostanza, sottolineata nella relazione dellAmministrazione, che gli impugnati dd.P.C.M. abbiano ormai cessato di avere efficacia, nelle more del giudizio.
3.1. Premesso, sul piano formale, che linammissibilità del capo della domanda relativo al provvedimento questorile non coinvolge la domanda di annullamento dei predetti dd.P.C.M., che sono stati impugnati in via principale, in quanto autonomamente e direttamente lesivi, e non come meri atti presupposti, ritiene il Collegio che la società ricorrente, che opera nel campo della ristorazione, conservi un suo adeguato titolo legittimante e un suo apprezzabile interesse concreto e attuale alla decisione nel merito della domanda di annullamento degli impugnati dd.P.C.M. del 24 ottobre 2020 e del 3 novembre 2020, limitatamente alle restrizioni da essi introdotte allattività di ristorazione, pur essendo risultata inammissibile la domanda di annullamento dellatto applicativo, costituto dal decreto questorile di applicazione della sopra ricordata sanzione amministrativa. Ed invero, i dd.P.C.M. in questione, con il contestato art. 1, comma 9, lettera ee), recano il divieto di svolgere attività di ristorazione tra le ore 18,00 e le ore 5,00 e dunque introducono una restrizione diretta, di immediata applicazione, della libera iniziativa economica privata e del diritto al lavoro del ricorrente, tale da fondare e radicare dunque un interesse concreto e attuale al chiesto annullamento, indipendentemente dalla sorte dellatto sanzionatorio applicativo.
3.2. Quanto allefficacia nel tempo dei suddetti decreti presidenziali impugnati, premesso che entrambi erano ancora efficaci alla data di notifica del ricorso (4 novembre 2020), la circostanza che, ad oggi, essi abbiano cessato di avere efficacia, in quanto atti ad tempus, poi sostituiti da altri, analoghi e successivi atti emergenziali, se può essere rilevante e determinante agli effetti della fase cautelare (per levidente venir meno il presupposto del periculum in mora), non può dispiegare analoghi effetti impeditivi dellaccesso alla trattazione del merito della causa, posto che, altrimenti, i tempi della giustizia (per quanto, nel caso in esame, senzaltro rapidi e rispettosi del principio della ragionevole durata del processo), non disponibili per il ricorrente, finirebbero per ritorcerglisi contro, vanificando la domanda di tutela, che deve possibilmente essere soddisfatta mediante una decisione nel merito delle censure proposte, così da fornire comunque, al di là dellesito della causa, una risposta di giustizia alla domanda del privato. Daltra parte, diversamente opinando, si perverrebbe alla conclusione della inammissibilità potenziale di tutte le domande di annullamento di provvedimenti la cui efficacia abbia durata inferiore a 120 giorni, termine per la presentazione del ricorso straordinario (cfr. i pareri della Sezione n. 12 del 2021 e n. 436 del 2020).
3.3. È vero che la Sezione, in un recente precedente (parere n. 598/2021 del 6 aprile 2021), ha chiarito che la proposizione della domanda risarcitoria, in quanto inammissibile in sede di ricorso straordinario, non può valere ad attivare la previsione dellart. 34, comma 3, del codice del processo amministrativo (in forza della quale Quando, nel corso del giudizio, l'annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l'illegittimità dell'atto se sussiste l'interesse ai fini risarcitori), ed ha pertanto concluso, in una fattispecie per certi aspetti analoga, nel senso dellimprocedibilità del gravame. Ma, ciò nondimeno, ritiene il Collegio che, tenuto conto anche della ritenuta infondatezza nel merito delle censure proposte, nel caso in esame possa prescindersi da un ulteriore approfondimento di questa questione preliminare di rito per affrontare comunque il merito della causa, anche in ragione di un generale favor per la soluzione processuale che ammette lingresso alla disamina del merito, rispetto a soluzioni alternative che ne arrestino la trattazione in limine litis.
4. Venendo dunque allesame del merito della residua parte ammissibile del gravame, ossia della domanda di annullamento dei dd.P.C.M. del 24 ottobre 2020 e del 3 novembre 2020, come già anticipato, tutti i motivi dedotti sono infondati e da respingere.
5. La società ricorrente contesta gli impugnati dd.P.C.M. in primo luogo in quanto tali, sul piano della legittimità costituzionale, nel sistema delle fonti (e da qui la deduzione della questione di legittimità costituzionale dei diversi decreti-legge che li hanno previsti e autorizzati) e, in secondo luogo, e con riguardo alla specifica misura prevista dallart. 1, comma 9, lettera ee) di divieto di svolgere attività di ristorazione tra le ore 18,00 e le ore 5,00, sotto il profilo della violazione grave e inammissibile del fondamentale diritto al lavoro sancito dalla Costituzione, nonché per eccesso di potere per carenza di motivazione e di istruttoria, oltre che per sproporzione e irragionevolezza.
6. Sotto il primo profilo - della asserita mancanza di ogni copertura legislativa e dellesorbitanza dalle attribuzioni amministrative, per cui il Presidente del Consiglio si è di fatto arrogato il potere legislativo da esercitare in via monocratica e sulla base di decreti-legge convertiti da un parlamento il cui funzionamento è ridotto o impedito dall'allarme Covid-19, con sovvertimento del procedimento legislativo e [del]la gerarchia delle fonti il Collegio ritiene, in senso contrario, che i dd.P.C.M. impugnati possano rinvenire unadeguata e legittima collocazione razionale nel vigente sistema delle fonti che caratterizza il nostro ordinamento giuridico.
6.1. Giova precisare in premessa che la seguente disamina considera, in accordo con il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, esclusivamente i profili di costituzionalità del meccanismo normativo e amministrativo qui contestato relativi alle limitazioni dei diritti al lavoro e alla libera iniziativa economica privata della cui illegittima compressione si duole la parte ricorrente, ma non anche altri e diversi profili, che qui non vengono in rilievo, concernenti il rapporto delle contestate misure limitative con altre libertà personali coperte da riserva assoluta di legge.
6.2. Ciò premesso, è indispensabile un previo inquadramento giuridico dei decreti del Presidente del consiglio dei ministri, qui impugnati, recanti disposizioni attuative per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da Covid-19, applicabili sull'intero territorio nazionale.
6.3. La questione fondamentale che viene posta in ricorso investe la conformità al nostro sistema ordinamentale dellintroduzione di tale, per certi versi innovativa, tipologia di atti, adottati sulla base di una reiterata decretazione durgenza, essa stessa investita, nella prospettazione di parte ricorrente, da dubbi e censure di radicale incostituzionalità per la sua asserita esorbitanza dal sistema, in quanto in contrasto con le previsioni della Legge fondamentale (o, quantomeno, per lassenza di una base giuridica certa nella Carta costituzionale).
6.4. Ora, contrariamente a siffatta prospettazione, è convincimento del Collegio che il meccanismo di produzione normativa costruito dal Governo e approvato dal Parlamento nella sede della conversione in legge dei decreti-legge di volta in volta susseguitisi (e in primo luogo quelli qui contestati) nel corso dellemergenza da pandemia da Covid 19, sia conforme al dettato costituzionale e si inquadri coerentemente nel sistema delle fonti, rinvenendo in esso unadeguata base giuridica.
6.5. Fatta eccezione per il primo dei decreti-legge, che ha iniziato la sequenza sviluppatasi a partire dal mese di marzo del 2020 (ossia il decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, la cui struttura logico-giuridica appare diversa rispetto ai successivi interventi normativi), a partire dal successivo decreto-legge (n. 19 del 2020), il governo ha impostato correttamente la sequenza logico-giuridica degli atti-fonte preordinati a fronteggiare la pandemia, secondo il fondamentale schema generale della decretazione durgenza, introduttiva di norme primarie, poi approvate dal Parlamento in sede di legge di conversione, attributive, a valle, allesecutivo, di un potere normativo di livello secondario e di provvedimento generale, modellato sullesempio delle ordinanze emergenziali di protezione civile sotto il profilo della temporaneità, della eccezionalità e del presupposto dello stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, ai sensi dellart. 24 del codice della protezione civile di cui al d.lgs. n. 1 del 2018.
6.6. Certamente sarebbe stata altrettanto percorribile in astratto e del tutto conforme alla Costituzione lopzione per il modello parallelo (e sostanzialmente equivalente) del ricorso alle ordinanze contingibili e urgenti già previste dalla norme vigenti: la decretazione durgenza, con norma primaria, ben avrebbe potuto richiamare e attivare i poteri di ordinanza già previsti in capo al Presidente del consiglio dei ministri e al Capo del Dipartimento della protezione civile (art. 5 del d.lgs. n. 1 del 2018), o in capo al Ministro della salute (art. 32 della legge n. 833 del 1978 istitutiva del sistema sanitario nazionale), anziché introdurre la figura dei decreti del Presidente del consiglio dei ministri. Ma la questione della configurazione di tali atti attuativi a contenuto generale di rango secondario, ad tempus, con causa rinvenibile nello stato emergenziale creatosi a seguito della pandemia, riveste a ben vedere un rilievo più formale e nominalistico che sostanziale, essendo pacifico che, in ogni caso, la nuova legge ordinaria speciale ben può derogare alle competenze e alle procedure previste dalle norme pari-ordinate recate dal codice della protezione civile (d.lgs. n. 1 del 2018) e dalla legge n. 833 del 1978, senzaltro derogabili con atto successivo avente pari forza e valore di legge.
6.6.1. Più nello specifico, rileva al riguardo il Collegio che non sussiste alcuna violazione della legge n. 833 del 1978 (art. 32, che attribuisce al Ministro della sanità il potere di emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia estesa all'intero territorio nazionale o a parte di esso comprendente più regioni), né della legislazione sulla protezione civile (d.lgs. 2 gennaio 2018, n. 1, Codice della protezione civile, il cui art. 5 attribuisce peraltro i poteri di ordinanza in materia di protezione civile proprio al Presidente del consiglio dei ministri, prevedendo che questi possa esercitarli per il tramite del Capo del Dipartimento della protezione civile): la nuova decretazione durgenza, ritualmente convertita in legge, ha infatti prodotto norme di rango primario in tutto e per tutto equiordinate, quanto a forza e valore di legge, rispetto a quelle la cui violazione viene dedotta come motivo di censura. Né la legge sul sistema sanitario nazionale del 1978, né quella sulla protezione civile sono leggi (così dette) rinforzate, sicché nulla vieta, a Costituzione vigente, che una successiva norma primaria (non importa se introdotta direttamente dal Parlamento con una legge ordinaria o, in prima battuta, dal Governo, con lo strumento del decreto-legge, poi validamente convertito in legge dal Parlamento) possa derogare alle previsioni di tali, anteriori, leggi ordinarie. Non si comprende, peraltro, in che cosa si sostanzierebbe il ritenuto vulnus di valori costituzionali nellattribuzione in favore del Presidente del consiglio dei ministri, operata dai decreti-legge qui censurati, della competenza a introdurre atti equivalenti nella sostanza alle ordinanze contingibili e urgenti, competenza assegnata, invece, dalla precedente legislazione ordinaria di settore, rispettivamente al Ministro della salute e al Capo del Dipartimento della Protezione civile. Si tratta, in entrambi i casi, di unelevazione del livello di responsabilità amministrativa, compiuta dalla normazione del 2020, che attribuisce la competenza al vertice dellesecutivo, ossia al massimo livello di responsabilità politico-amministrativa del governo. Né può condividersi la censura con la quale parte ricorrente ha contestato limputazione in capo allorgano monocratico, anziché in capo al governo nella sua collegialità (Consiglio dei ministri), di siffatto potere. Risulta in definitiva logico e ragionevole, esclusa ogni valutazione di merito politico, attribuire, per evidenti ragioni di speditezza e di semplificazione connesse alla specifica emergenza da pandemia, le funzioni di intervento urgente allorgano monocratico che, peraltro, quale capo del Governo, riassume e sintetizza in sé il ruolo e la responsabilità dellintero esecutivo, ai sensi dellart. 92 Cost., primo comma, secondo periodo (Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene la unità di indirizzo politico ed amministrativo, promovendo e coordinando l'attività dei Ministri).
6.7. Sotto un diverso angolo di visuale, pur essendo in astratto possibile (come peraltro sta avvenendo con il nuovo governo insediatosi il 13 febbraio 2021, a partire dal decreto-legge 1 aprile 2021, n. 44 e, da ultimo, con il decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52) definire direttamente nellatto-fonte di rango primario (nel decreto-legge) anche tutti i dettagli applicativi delle chiusure e delle altre misure limitative finalizzate ad assicurare il così detto distanziamento sociale in funzione di contenimento dellespandersi della pandemia, ciò nondimeno il modello innovativo adottato con il sistema imperniato sul rinvio ai decreti attuativi non presenta i denunciati profili di incostituzionalità e di dissonanza rispetto al sistema delle fonti (avendo riferimento precipuo, in questa sede, deve ripetersi, allincidenza, qui denunciata, sui diritti al lavoro e alla libera iniziativa economica privata, e non anche ad altre libertà individuali presidiate da riserva assoluta di legge).
6.7.1. Occorre invero collocare realisticamente la valutazione giuridica degli impugnati decreti nel loro effettivo e proprio contesto cronologico di riferimento. In tal senso non può non considerarsi che nel primo anno della pandemia, nel 2020, la assoluta novità e linusitata gravità di questa emergenza globale, nonché la ancora scarsa conoscenza di questo fenomeno pandemico, hanno comprensibilmente richiesto ladozione di misure ordinamentali emergenziali particolarmente rapide e duttili, apparendo, in quel contesto, difficilmente praticabile il ricorso alla sola decretazione durgenza, con la definizione, allinterno del decreto-legge stesso, dellintero quadro di dettaglio applicativo delle misure necessarie. Viceversa oggi, a distanza di oltre un anno dallesplosione di questa epocale calamità naturale, anche sulla base dellesperienza sinora accumulata, della maggiore conoscenza acquisita e della stessa produzione normativa per linnanzi sedimentatasi, appare ragionevolmente possibile concentrare direttamente nel decreto-legge larticolazione di tutte le misure restrittive da mettere in campo (fermo restando che anche i citati decreti-legge n. 44 e n. 52 del 2021 non mancano di operare ampi rinvii ai provvedimenti adottati in attuazione dell'articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020, ossia ai precedenti dd.P.C.M.).
6.7.2. Ciò doverosamente premesso, ritiene il Collegio che il ricorso ai decreti attuativi, operato dai precedenti decreti-legge, qui contestati, sia in sé coerente con il sistema delle fonti, e ciò per due ordini di ragioni: in primo luogo perché in linea generale non è riservata alla norma primaria (ancorché contenuta nellatto-fonte di necessità e urgenza) la disciplina di dettaglio e analitica delle fattispecie regolate (soccorrendo a tal fine, nella fisiologia della normazione, secondo uno schema gradualista delle fonti, la disciplina secondaria dellesecutivo); in secondo luogo perché il decreto-legge, per quanto agile e di rapida approvazione parlamentare, non avrebbe consentito, nel sopra descritto contesto storico, la duttilità, ladattabilità e la flessibilità necessarie ad aderire plasticamente alla continua mutevolezza delle condizioni oggettive di sviluppo e andamento della pandemia, notoriamente variabili e scarsamente prevedibili, con significative diversificazioni territoriali, tali da richiedere la capacità di provvedere di mutare le disposizioni anche nel breve arco di un mese (o, addirittura, di settimane), duttilità, adattabilità e flessibilità certamente assicurate in misura maggiore dallo strumento esecutivo del d.P.C.M.
6.7.3. La stessa Corte costituzionale, nella sentenza 12 marzo 2021, n. 37, nel dichiarare lillegittimità costituzionale della legge della Regione Valle dAosta 9 dicembre 2020, n. 11 (Misure di contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2), ha fornito (nel par. 9 della motivazione in diritto) indicazioni utili che convergono nella direzione della compatibilità costituzionale del sistema dei dd.P.C.M. adottato dal Governo nel 2020 per far fronte allemergenza pandemica da Covid-19. Ha, tra laltro, evidenziato la Consulta come il modello offerto dalla legislazione vigente, e appena rammentato - potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti in materia di igiene e sanità pubblica previsto dallart. 32 della legge n. 833 del 1978 e analogo potere previsto dal Codice della protezione civile di cui al decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1 (n.d.r.) -, se da un lato appare conforme al disegno costituzionale, dallaltro non ne costituisce lunica attuazione possibile. È perciò ipotizzabile che il legislatore statale, se posto a confronto con unemergenza sanitaria dai tratti del tutto peculiari, scelga di introdurre nuove risposte normative e provvedimentali tarate su questultima. È quanto successo, difatti, a seguito della diffusione del COVID-19, il quale, a causa della rapidità e della imprevedibilità con cui il contagio si spande, ha imposto limpiego di strumenti capaci di adattarsi alle pieghe di una situazione di crisi in costante divenire. Fin dal decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6 (Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dellemergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 5 marzo 2020, n. 13, il legislatore statale si è affidato ad una sequenza normativa e amministrativa che muove dallintroduzione, da parte di atti aventi forza di legge, di misure di quarantena e restrittive, per culminare nel dosaggio di queste ultime, nel tempo e nello spazio, e a seconda dellandamento della pandemia, da parte di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Allo stato, il quadro normativo vigente si articola soprattutto sul d.l. n. 19 del 2020 e sul d.l. n. 33 del 2020, con i quali una tale sequenza ha trovato ulteriore specificazione. Lart. 1 del d.l. n. 19 del 2020 reca un vasto insieme di misure precauzionali e limitative, la cui applicazione continua ad essere affidata a d.P.C.m., assunti, dopo aver acquisito il parere dei Presidenti delle Regioni interessate, o, nel caso in cui riguardino lintero territorio nazionale, del Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome (art. 2 del d.l. n. 19 del 2020). Ancorché la Corte abbia precisato, come ovvio, che Non è in discussione in questo giudizio, che riguarda il riparto di competenze nel contrasto alla pandemia, la legittimità dei d.P.C.m. adottati a tale scopo comunque assoggettati al sindacato del giudice amministrativo, non vi è dubbio che il Giudice delle leggi abbia dimostrato di ritenere quanto meno rispondenti alla specifica realtà, del tutto nuova e imprevedibile, imposta dalla pandemia, i più duttili strumenti attuativi costituti dai qui contestati dd.P.C.M. Sotto tale profilo appare del tutto coerente e razionale la replica defensionale opposta nella relazione della Presidenza del consiglio, secondo la quale La scelta del Governo di adottare le misure di contenimento ivi previste mediante il ricorso allo strumento dei DDPCM, come previsto dall'art. 2 del D.L. n. 19/2020, trova la propria ragion d'essere nella necessità di intervenire con rapidità a fronte di una situazione emergenziale destinata a mutare nel tempo in modo repentino ed imprevedibile. E da condividere, ad avviso del Collegio, il rilievo da riconoscere, anche in chiave ermeneutica, alla situazione emergenziale in corso.
6.8. Ritiene pertanto il Collegio che non illegittimamente il Governo, posto dinanzi allinusitata ampiezza e alla straordinaria incisività limitativa di diritti fondamentali della persona delle misure restrittive resesi necessarie per la gravissima crisi pandemica mondiale verificatasi a partire dal mese di febbraio del 2020, abbia preferito apprestare unadeguata copertura di rango primario per lesercizio di tali, amplissimi, poteri emergenziali, facendo ricorso, come era inevitabile, allo strumento appropriato della decretazione durgenza ex art. 77 della Costituzione, che ha consentito al Parlamento di esercitare la sua funzione di controllo ratificando loperato del governo mediante le leggi di conversione, nel pieno rispetto degli assetti e degli equilibri costituzionali disegnati dalla Costituzione. In questo contesto, mai prima sperimentato, il profilo fondamentale, che assicura la costituzionalità (sostanziale, e non solo formale) di questo sistema, almeno per quanto concerne la possibile compressione di diritti individuali non presidiati da riserve assolute di legge, è costituito dalla adeguata specificità della predefinizione, al livello di norma primaria (introdotta con la decretazione durgenza), degli ambiti materiali, delle condizioni e dei limiti entro i quali il potere emergenziale temporaneo del Presidente del consiglio dei ministri poteva validamente esplicarsi.
6.9. Orbene, fatta eccezione, come detto, per il primo dei decreti-legge in questione (il n. 6 del 2020), già a partire dal successivo decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 (Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 3, il Governo ha provveduto, sin dallart. 1 (Misure urgenti per evitare la diffusione del COVID-19), a definire analiticamente, con adeguato livello di specificità, i casi, gli ambiti materiali, i presupposti e le condizioni, nonché i limiti e le modalità di esercizio del potere normativo di secondo livello costituito dai decreti del Presidente del consiglio dei ministri previsti dallart. 2 del decreto-legge, autorizzati espressamente e chiaramente dalla norma primaria a derogare diritti dei cittadini e delle imprese come quello di iniziativa economica privata inciso dallart. 9, comma 1, lett. ee) dei dd.P.C.M. oggetto del presente ricorso - il cui esercizio è, peraltro, soggetto a precisi limiti di utilità sociale, sicurezza, dignità e libertà umana ai sensi dellart. 41, secondo comma della Costituzione, al fine di contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COVID-19, su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso . . . per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 31 luglio 2020 (termine poi più volte prorogato, da ultimo fino al 31 luglio 2021 n.d.r.), termine dello stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, e con possibilità di modularne l'applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l'andamento epidemiologico del predetto virus. Più nel dettaglio, la norma primaria ora richiamata che ha costituito il paradigma normativo fondamentale, cui i successivi decreti-legge si sono agganciati - ha conferito allesecutivo il potere di adottare, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso, una o più tra le seguenti misure: a) limitazione della circolazione delle persone, anche prevedendo limitazioni alla possibilità di allontanarsi dalla propria residenza, domicilio o dimora se non per spostamenti individuali limitati nel tempo e nello spazio o motivati da esigenze lavorative, da situazioni di necessità o urgenza, da motivi di salute o da altre specifiche ragioni; b) chiusura al pubblico di strade urbane, parchi, aree gioco, ville e giardini pubblici o altri spazi pubblici . . . etc. (con un elenco di ipotesi che va fino alla lettera hh), per ben 29 tipologie di aree di intervento delle suddette misure emergenziali).
6.10. Del tutto analoghe sono le previsioni contenute nel decreto-legge 7 ottobre 2020, n. 125, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 novembre 2020, n. 159, richiamato dal d.P.C.M. del 24 ottobre 2020, qui impugnato, che ha apportato talune integrazioni ai precedenti decreti-legge 25 marzo 2020, n. 19, 16 maggio 2020, n. 33, 30 luglio 2020, n. 83.
6.11. La norma primaria ora in sintesi richiamata si inscrive coerentemente, a giudizio del Collegio, nello schema logico-giuridico fondamentale previsto dallart. 17 della legge n. 400 del 1988, attuativo dellart. 95, secondo comma, della Costituzione, che prevede il potere regolamentare dellesecutivo per disciplinare l'esecuzione delle leggi e l'attuazione e l'integrazione delle leggi recanti norme generali e astratte, abbisognevoli (di regola) di specificazioni attuative ed esecutive. Al di là dei poteri di ordinanza contingibile e urgente, il Governo ha correttamente costruito una nuova impalcatura giuridica fondata sullart. 77 della Costituzione, mediante la quale attivando lo schema comune «legge generale atti attuativi dellesecutivo», ha predefinito al livello normativo primario, con un sufficiente livello di analisi, gli ambiti, le condizioni e i limiti del potere di disciplina emergenziale, attribuendo al vertice politico-amministrativo dellesecutivo medesimo la competenza ad adottare decreti aventi la duplice natura, del regolamento sotto il profilo della relazione attuativa, di livello secondario, rispetto alla norma di legge e delle ordinanze extra ordinem contingibili e urgenti sotto il profilo della ragione giustificatrice del potere e quanto alla modalità della eccezionalità e temporaneità. Si tratta, dunque, di atti aventi finalità simili alle ordinanze contingibili e urgenti, ma non extra ordinem, non liberi nei contenuti, bensì inquadrati nellordine della previa decretazione durgenza, ossia di una cornice di norma primaria che ne predetermina e ne circoscrive con sufficiente livello analitico gli spazi e i limiti applicativi. Il sistema dei decreti-legge adottati dal governo, dunque, lungi dal sovvertire il nostro sistema ordinamentale, come infondatamente asserito dalla parte ricorrente, ha dato ordine allesercizio del potere emergenziale, altrimenti libero ed extra ordinem con i soli limiti della Costituzione, imbrigliandolo in una fitta rete di condizioni e limiti predefiniti dalla legge, assicurando in tal modo anche un adeguato (e necessario) controllo parlamentare.
6.12. Alla luce delle esposte chiarificazioni risulta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla parte ricorrente con riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione. Sulla base alle argomentazioni motivazionali qui sopra sviluppate possono in particolare ritenersi superate le contestazioni nelle quali la parte ricorrente afferma che il provvedimento del Presidente del consiglio dei ministri sarebbe manifestamente contrario alla Carta costituzionale nella misura in cui incide, mediante un mero atto amministrativo, sull'esercizio dei diritti fondamentali al lavoro ed alla libera iniziativa economica privata e che lart. 76 Cost. non permetterebbe che il governo deleghi sostanzialmente sé stesso ad adottare norme di legge mediante un decreto-legge, essendo necessario a tal fine il vaglio parlamentare mediante l'approvazione di una legge-delega. Come già chiarito supra, la sequenza logico-giuridica degli atti-fonte dispiegati dal Governo (con lapprovazione parlamentare, nella forma della conversione in legge dei decreti-legge) risulta in realtà, a partire dal decreto-legge n. 19 del 2020, conforme alla Costituzione. I decreti del Presidente del consiglio dei ministri si pongono come atti generali a contenuto normativo-regolamentare assimilabili alle ordinanze contingibili e urgenti quanto a temporaneità e quanto ai presupposti giustificativi costituiti da una grave emergenza sanitaria di carattere eccezionale, tale da imporre risposte organizzative e gestionali straordinarie, essendo palesemente e pacificamente impossibile far fronte ad essa con gli ordinari mezzi e strumenti disponibili nel vigente ordinamento giuridico.
7. Si rivela altresì infondata la censura secondo la quale il d.P.C.M. avrebbe violato la legge fondamentale che disciplina l'attività di prestazione di servizi (tra i quali rientra anche la ristorazione), e cioè il d.lgs. n. 59 del 26 marzo 2010, il cui art. 12, comma 1, lett. a) subordina le restrizioni quantitative all'esercizio dell'attività di prestazione dei servizi alla previa notifica alla Commissione europea secondo il disposto dell'art. 13. Come correttamente replicato dalla Presidenza del consiglio, la censura si fonda sullerroneo presupposto interpretativo secondo il quale le misure contestate, introdotte con i dd.P.C.M. impugnati, costituirebbero regole atte a limitare la concorrenza ovvero la libera circolazione dei servizi, trattandosi, al contrario, di misure restrittive temporanee e parziali aventi il fine di tutelare la salute e l'incolumità pubblica, valide in modo generale, omogeneo e indifferenziato per ciascuna categoria merceologica interessata, in quanto tali del tutto inidonee ad alterare la concorrenza e il mercato, come del resto chiarito dallart. 8 del d.lgs. n. 59 del 2010 (non costituiscono requisiti le disposizioni in materia ambientale, edilizia ed urbanistica, nonché quelle a tutela della sanità pubblica, della pubblica sicurezza, della sicurezza dei lavoratori e dell'incolumità delle persone e che si applicano indistintamente ai prestatori nello svolgimento della loro attività economica e ai singoli che agiscono a titolo privato). Soccorre, altresì, nel senso dellinsussistenza del preteso obbligo di notifica, il disposto dellart. 2 del d.lgs. n. 59 del 2010, in base al quale "Le disposizioni del presente decreto non si applicano: a) alle attività connesse con l'esercizio di pubblici poteri, quando le stesse implichino una partecipazione diretta e specifica all'esercizio del potere pubblico e alle funzioni che hanno per oggetto la salvaguardia degli interessi generali dello Stato e delle altre collettività pubbliche".
8. Passando allesame del secondo gruppo di censure, quelle dirette a contestare i contenuti, per quanto di interesse della parte ricorrente, delle disposizioni impugnate, si assume in ricorso che i decreti del Presidente del consiglio dei ministri sarebbero illegittimi per totale mancanza di motivazione e di istruttoria, poiché non sarebbero illustrate in motivazione le ragioni per le quali la disposta chiusura dei ristoranti dopo le ore 18,00 costituirebbe una misura indispensabile per contrastare la diffusione del contagio, in luogo delle misure pure già introdotte con l'allegato 9 del d.P.C.M. del 7 agosto 2020, nel quale erano minuziosamente elencate le cautele da osservarsi nell'esercizio dell'attività di ristorazione.
8.1. La censura è infondata. Occorre innanzitutto ribadire che i decreti impugnati, proprio in ragione della loro natura di atti generali, introduttivi di disposizioni di rango secondario, ancorché temporanee ed emergenziali, sfuggono allapplicabilità delle norme in tema di motivazione degli atti amministrativi contenute nella legge n. 241 del 1990 (il cui art. 3, comma 2, chiarisce che La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale).
8.2. Deve nel contempo evidenziarsi come, trattandosi indubbiamente di atti di alta amministrazione, espressione di ampia discrezionalità, attraverso i quali il Governo ha attuato le fondamentali scelte politiche e amministrative di gestione della gravissima crisi pandemica verificatasi a partire del mese di gennaio del 2020, essi, da un lato, anche da questo angolo di visuale, non richiedono corredi motivazionali raffrontabili a quelli necessari per gli ordinari provvedimenti amministrativi, dallaltro lato sono sindacabili in questa sede di esame di legittimità solo per carenze e/o errori gravi e manifesti e per evidente illogicità, irrazionalità, sproporzione o irragionevolezza, restando precluso ogni sindacato che possa riguardare il merito e la condivisibilità delle decisioni adottate, né la loro opportunità e convenienza. Nei decreti impugnati vi è peraltro un espresso rinvio ai verbali delle sedute del Comitato tecnico-scientifico (ad esempio, nel decreto del 3 novembre 2020 sono richiamati i verbali nn. 122 e 123 delle sedute del 31 ottobre e del 3 novembre 2020 del Comitato tecnico-scientifico di cui all'ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile 3 febbraio 2020, n. 630, e si dà atto dellintervenuto contraddittorio sui dati elaborati ed utilizzati mediante il coinvolgimento delle Regioni e delle Province autonome in sede di partecipazione diretta delle stesse in seno alla Cabina di regia di cui al d.m. 30 aprile 2020 e al d.m. 29 maggio 2020, nonché nellambito dell'iter procedimentale che contempla l'adozione, da parte del Ministro della salute, delle relative ordinanze, sentiti i Presidenti delle regioni interessate).
8.3. Così precisata la natura e i limiti del sindacato di legittimità in questa sede ammissibile, rileva il Collegio che le misure censurate risultano non illogiche, né irrazionali, sono adeguatamente fondate su una sufficiente istruttoria tecnico-scientifica, non appaiono inattendibili nel metodo, né nelle conclusioni raggiunte, e risultano nel complesso proporzionate e ragionevoli, alla stregua del principio di precauzione, in funzione della migliore tutela della salute pubblica. Se è vero, come ribadito dalla recente giurisprudenza formatasi in materia di misure restrittive per contrasto alla pandemia da covid-19 (Tar Catanzaro, Sez. I, 18 dicembre 2020, n. 2075, Tar Piemonte, Sez. I, 3 dicembre 2020, n. 580), che il principio di precauzione non può essere invocato oltre ogni limite, ma deve essere contemperato con quello di proporzionalità, come ricordato tanto dallinsegnamento, nelle materie di competenza dellUnione europea, dalla Corte di Giustizia (cfr. CGUE, Sez. I, 9 giugno 2016, in causa C-78/2016, Pesce), quanto dalla giurisprudenza della Corte costituzionale nel caso Ilva di Taranto (Corte cost., 9 maggio 2013, n. 85, sul bilanciamento tra valori dellambiente e della salute da un lato e della libertà di iniziativa economica e del diritto al lavoro dallaltro), è altrettanto vero che il test di proporzionalità e di stretta necessità delle misure limitative deve ragguagliarsi al livello di rischio - e quindi al proporzionale livello di protezione ritenuto necessario causato dalla straordinaria virulenza e diffusività della pandemia. La prevalenza del principio di precauzione (Cons. Stato, Sez. III, 3 ottobre 2019, n. 6655; Tar Lazio, Sez. III-quater, 4 gennaio 2021, n. 35) è dunque ragionevolmente motivata in relazione al presente contesto di emergenza sanitaria, caratterizzato dalla circolazione di un virus sul cui comportamento non esistono certezze nella stessa comunità scientifica, con la logica conseguenza che, non essendo conosciuti, né prevedibili con certezza i rischi indotti da attività lavorative e commerciali potenzialmente pericolose, l'azione dei pubblici poteri ben può e deve tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, a tutela del valore primario della salute.
8.4. Come condivisibilmente fatto rilevare nella relazione della Presidenza del consiglio, la chiusura, peraltro parziale in quanto limitata alla fascia serale, delle attività di ristorazione risponde secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente e si è resa necessaria per la nota situazione pandemica al fine di evitare possibili forme di assembramento, ed è stata adottata tenendo conto delle cognizioni e valutazioni acquisite dal Comitato tecnico-scientifico, sulla base di una scelta, ampiamente discrezionale, di accordare prevalenza, nel contemperamento di tutti gli interessi coinvolti, alla necessità di tutelare il diritto alla salute quale primario interesse generale della collettività, anche a scapito di altri diritti costituzionalmente tutelati, di cui il ricorrente lamenta la violazione con il presente ricorso.
8.5. Sotto il profilo più specificamente istruttorio e motivazionale, i decreti impugnati non possono ritenersi arbitrari e irragionevoli o privi di istruttoria, in quanto si fondano sulle indicazioni e raccomandazioni elaborate da esperti e scienziati, nell'ambito di protocolli internazionali formulati per il contrasto alla pandemia, e in particolare sul documento intitolato "Prevenzione e risposta a COVID-19. Evoluzione della strategia e pianificazione nella fase di transizione autunno-invernale", realizzato prendendo a riferimento i pilastri strategici individuati dall'Organizzazione Mondiale della Sanità per la risposta a COVID-19, con la collaborazione tra gli altri, dell'Istituto Superiore di Sanità, della Conferenza delle Regioni e di vari altri organismi di ricerca.
8.6. Contrariamente alla tesi di parte ricorrente, le scelte operate dal Governo e tradottesi nei contestati decreti-legge e negli impugnati dd.P.C.M. risultano tutte fondate su unadeguata istruttoria tecnico-scientifica, improntate a un legittimo (anche se, come è fisiologico, opinabile sul piano politico e del merito) criterio prudenziale di prevenzione e di rigore nel tentativo di mitigare e contenere il dilagare della pandemia, e dunque basate su una non manifestamente irrazionale e illogica scelta discrezionale (connotata, data la gravità dellemergenza e la pervasività dei conseguenti provvedimenti emergenziali, da discrezionalità politico-amministrativa, e non solo tecnico-scientifica). Ladeguatezza dellistruttoria tecnico-scientifica a supporto di tutte le misure adottate è stata del resto assicurata dal Comitato tecnico-scientifico appositamente costituito a partire dallordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile 3 febbraio 2020, n. 630 (recante Primi interventi urgenti di protezione civile in relazione all'emergenza relativa al rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili), adottata ai sensi degli artt. 25, 26 e 27 del decreto legislativo n. 1 del 2018, recante il codice della protezione civile, e sulla base della delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, con la quale è stato dichiarato, per i primi sei mesi, lo stato di emergenza sul territorio nazionale relativo al rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili, oltre che attraverso le strutture del Ministero della salute. È altresì notorio che la pandemia ha determinato una forte cooperazione tra gli Stati e le organizzazioni internazionali, con unampia condivisione di dati scientifici ed epidemiologici sia a livello eurounitario, sia a livello internazionale, con interventi e indicazioni di fonte sovranazionale facenti capo all'Organizzazione mondiale della sanità. Così come è altrettanto notorio che misure in tutto simili (se non identiche) a quelle introdotte in Italia, e qui contestate, sono state adottate in pressoché tutti i Paesi, non solo europei, colpiti dalla medesima pandemia. In questo contesto, una generica contestazione di carenza di istruttoria, di violazione del principio di ragionevolezza per mancata ponderazione e bilanciamento dei diritti, principi, interessi e valori costituzionali, prima ancora che infondata, si appalesa inammissibile, poiché implica una impossibile sostituzione di questo Organo giudicante agli organismi tecnico-scientifici, non solo nazionali, deputati a valutare i rischi connessi alla pandemia e lappropriatezza e la convenienza-opportunità delle misure via via introdotte.
9. La parte ricorrente assume quindi che i decreti qui contestati avrebbero trattato in modo ingiustificatamente vessatorio alcune attività, tra le quali la ristorazione, a beneficio di altre che non subiscono alcuna limitazione (quali, ad esempio, il settore della vendita al dettaglio o i ristoranti ubicati sulla rete autostradale, negli ospedali e negli aeroporti). Anche tale censura è infondata. Essa compara situazioni evidentemente eterogenee e non comparabili tra loro. Merita piena adesione, riguardo alla logica di queste previsioni, la replica fornita dalla Presidenza del consiglio, secondo la quale Queste disposizioni consentono la prosecuzione di un servizio di ristorazione comunque necessario nell'ambito degli alberghi, delle scuole, dei luoghi di lavoro, nonché negli ospedali e negli aeroporti, purché tali attività rispettino le misure previste nei rispettivi protocolli e soprattutto venga garantito il distanziamento sociale ed osservato il divieto di assembramento.
10. Conclusivamente, per tutti gli esposti motivi, il ricorso, assorbita nella decisione conclusiva di merito la fase cautelare, deve essere giudicato in parte inammissibile, in parte infondato e da respingere.
11. Le questioni testé vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dellart. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
P.Q.M.
Esprime il parere che il ricorso debba essere in parte dichiarato inammissibile, in parte respinto.