É necessaria anche la prova dell'incasso. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nell'ordinanza in commento, contestando la rilevanza della matrice dell'assegno ai fini della prova del pagamento.
Un avvocato proponeva domanda di pagamento dei compensi per le prestazioni professionali svolte in favore del resistente e quest'ultimo eccepiva l'estinzione di tale debito. Il Tribunale di Milano accoglieva la richiesta del professionista e rigettava l'eccezione in quanto provata attraverso la sola produzione in giudizio delle matrici degli assegni.
Il cliente propone ricorso in Cassazione, sostenendo che spettava al creditore provare che gli assegni ricevuti fossero riferibili ad altre prestazioni rese dal professionista.
Nella disamina del caso in oggetto, la Corte di Cassazione ribadisce che, sebbene di regola spetti al professionista provare l'esistenza del credito quando sostiene che la somma di denaro corrispostagli estingue un debito diverso da quello eccepito, esiste tuttavia un'eccezione quando l'estinzione del debito è fatta valere in giudizio per effetto di un assegno. In questo specifico caso, il debitore deve dimostrare «il collegamento tra il debito azionato ed il successivo debito cartolare, con la conseguente estinzione del primo per effetto della dazione di assegno». Ma non basta: l'estinzione del debito non si perfeziona con la mera produzione delle matrici dell'assegno, ma è necessaria anche la prova dell'incasso da parte del creditore. Secondo la giurisprudenza, infatti, il debito è estinto «nel momento dell'effettiva riscossione della somma portata a titolo, poiché la consegna dello stesso deve considerarsi effettuata, salva diversa volontà delle parti, “pro solvendo”».
Per questi motivi, la matrice dell'assegno esibito del debito non ha alcuna rilevanza ai fini della prova del pagamento e pertanto, con l'ordinanza n. 15709 del 4 giugno 2021, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.Svolgimento del processo
Il giudizio trae origine dalla domanda proposta dall'Avv. C.B. di pagamento dei compensi delle prestazioni professionali svolte in favore di A.M..
Il Tribunale di Milano, con ordinanza del 15.11.2019 accolse la domanda e rigettò l'eccezione del resistente di estinzione del debito, sul rilievo che non poteva essere provata attraverso la produzione in giudizio delle matrici degli assegni in favore del professionista.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso A.M. sulla base di due motivi;
ha resistito con controricorso l'Avv. C.B. Il relatore ha formulato proposta di decisione, ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., di manifesta infondatezza del ricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto sarebbe onere del creditore provare che le somme corrisposte dal cliente, attraverso la produzione delle matrici degli assegni di importo corrispondente all'importo richiesto non fossero idonee ad estinguere il debito.
Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi.
Il Tribunale non ha ritenuto che il pagamento fosse da imputare ad altri debiti ma che non fosse sufficiente, ai fini della prova dell'eccezione estintiva, la produzione delle matrici degli assegni.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 1988 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in quanto, in applicazione del principio dell'astrazione della causa, sarebbe stato onere del creditore provare che gli assegni ricevuti, peraltro in concomitanza del sorgere del credito, fossero riferibili ad altre prestazioni rese dal professionista.
Il motivo è infondato.
Come correttamente affermato dal Tribunale, nei giudizi aventi ad oggetto l'accertamento di un credito per prestazioni professionali, incombe sul professionista la prova dell'avvenuto conferimento dell'incarico, dell'effettivo espletamento dello stesso nonchè dell'entità delle prestazioni svolte (Cassazione civile sez. II, 20/08/2019, n. 21522).Ove però il convenuto per il pagamento di un debito dimostri di aver corrisposto una somma di denaro idonea all'estinzione del medesimo, spetta al creditore, il quale sostenga che il pagamento sia da imputare all'estinzione di un debito diverso, allegare e provare di quest'ultimo l'esistenza, nonchè la sussistenza delle condizioni necessarie per la dedotta diversa imputazione (Cassazione civile sez. VI, 30/01/2020, n. 2276).
Detta regola iuris trova eccezione nell'ipotesi in cui il debitore eccepisca l'estinzione del debito fatto valere in giudizio per effetto dell'emissione di un assegno. Infatti, implicando tale emissione la presunzione di un rapporto fondamentale idoneo a giustificare la nascita di un'obbligazione cartolare, resta a carico del debitore l'onere di superare tale presunzione, dimostrando il collegamento tra il debito azionato ed il successivo debito cartolare, con la conseguente estinzione del primo per effetto della dazione di assegno (cfr. Cass. 28.2.2012, n. 3008; conf. Cass. 18.2.2016, n. 3194; Cass. 6.11.2017, n. 26275).
Non è però sufficiente, per provare il pagamento, la produzione delle matrici dell'assegno ma, è necessaria, anche la prova dell'incasso da parte del creditore.
Il Tribunale ha correttamente ritenuto che il debitore non avesse provato l'estinzione del debito attraverso la produzione delle matrici degli assegni. La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel ritenere che nemmeno la consegna del titolo bancario determina l'estinzione del debito, che si perfeziona soltanto nel momento dell'effettiva riscossione della somma portata dal titolo, poichè la consegna dello stesso deve considerarsi effettuata, salva diversa volontà delle parti, "pro solvendo" (Cassazione civile sez. II, 05/06/2018, n. 14372).
La matrice di un assegno costituisce una mera annotazione da parte del debitore, che, in assenza del titolo, e della prova dell'incasso, non ha alcuna rilevanza ai fini della prova del pagamento.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.