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21 giugno 2021
Legittima l’informativa antimafia che si basa sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia

Per il Consiglio di Stato, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia rilevano in sede di valutazione degli elementi di fatto per l'emissione di un'interdittiva antimafia.

La Redazione

Con parere n. 1060 del 18 giugno 2021, il Consiglio di Stato chiarisce la rilevanza delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ai fini dell'emissione dell'informativa antimafia, fornendo, anzitutto, una panoramica delle diverse misure di prevenzione amministrative previste dal D. Lgs n. 159/2011 in materia di documentazione antimafia.

Il Codice antimafia disciplina, da un lato, la comunicazione, consistente nell'attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto ex art. 67 cit. a carico di specifici soggetti e, dall'altro lato, l'informativa antimafia, che rispetto alla precedente presenta un quid pluris, ossia il giudizio motivato del Prefetto circa il pericolo di infiltrazione mafiosa all'interno dell'impresa, funzionale ad interdirla da ogni rapporto con la Pubblica Amministrazione.
In merito alla motivazione del provvedimento prefettizio, il Consiglio di Stato ha chiarito che è necessario indicare sia gli elementi di fatto posti alla base della valutazione, sia le ragioni in base alle quali si deduce il rischio di infiltrazione mafiosa nell'impresa. Gli elementi di fatto possono essere desunti oltre che dai provvedimenti giudiziari, dagli atti di indagine e dagli accertamenti svolti dalle Forze di Polizia in sede istruttoria, anche dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.

Sulla rilevanza delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia nell'interdittiva antimafia, Palazzo Spada ha affermato che «è legittima l'interdittiva antimafia che si basi, oltre che su precedenti penali del titolare della società interdetta, anche su dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, atteso che se è vero che nel processo penale tali dichiarazioni non possono essere poste alla base del giudizio di colpevolezza se non si acquisiscono i c.d. riscontri esterni (artt. 192,197 bis e 210 c.p.p.), le stesse, per la diversità tra la logica del “più probabile che non“ e quella dell'“oltre ogni ragionevole dubbio”, possono essere correttamente considerate, ad colorandum, unitamente a tutti gli altri elementi indiziari». 

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