Un condomino propone ricorso in Cassazione avverso la sentenza di rigetto del gravame pronunciata dalla Corte d'Appello di Bari, lamentando, tra le varie doglianze, il mancato rispetto del termine di cinque giorni per la comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea di cui all'
Con ordinanza n. 18635 del 30 giugno 2021, la Suprema Corte rigetta il ricorso ritenendo che la questione sollevata dal ricorrente non fosse conforme al consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte secondo il quale «ogni condomino ha il diritto di intervenire all'assemblea e deve, quindi, essere messo in condizione di poterlo fare, con la conseguente necessità che l'avviso di convocazione previsto dall'
Precisa poi la Corte che, nei casi in cui la legge fa riferimento al dies a quem per la decorrenza del termine, deve essere considerato il giorno iniziale e non quello finale, in quanto la non computabilità di entrambi costituisce un'ipotesi limitata ai casi espressamente previsti dalla legge.
Nel caso in esame, dunque, conteggiando il giorno della ricezione dell'avviso ai fini del calcolo del termine per la comunicazione del medesimo, esso risulta tempestivo.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. S.G. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, avverso la sentenza 21 dicembre 2019, n. 2437/2019, pronunciata dalla Corte d'appello di Bari, che ha respinto l'appello avanzato dal medesimo S.G. contro la sentenza 30 ottobre 2014 del Tribunale di Bari.
2. Resiste con controricorso il Condominio via Bottalico 58, Bari.
3. La Corte d'appello ha confermato così l'infondatezza della impugnazione ex art. 1137 c.c. della delibera assembleare 4 aprile 2006 del Condominio via Bottalico 58, Bari, sia quanto al mancato rispetto del termine di cinque giorni per la comunicazione dell'avviso di convocazione di cui all'art. 66 disp. att. c.c. (essendo pervenuta al condomino S. in data 29 marzo 2006 la raccomandata ed essendo fissata in data 3 aprile 2006 la riunione di prima convocazione), sia quanto alle carenze del verbale in ordine alla documentazione delle necessarie maggioranze.
4. Il primo motivo del ricorso di S.G. denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 66 disp. att. c.c., comma 3, in relazione all'art. 155 c.p.c., comma 1, assumendo che non doveva computarsi nel termine il giorno di ricezione della raccomandata.
Il secondo motivo del ricorso di S.G. denuncia la violazione dell'art. 2725 c.c. in relazione all'art. 1136 c.c., assumendo che nel verbale della riunione non fosse indicato il numero degli intervenuti, nè il sopraggiungere di alcuni condomini durante l'assemblea, e non fosse perciò documentato il raggiungimento dei quorum necessari.
5. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all'art. 380 bis c.p.c., in relazione all'art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1), il presidente ha fissato l'adunanza della Camera di Consiglio.
Il ricorrente ha presentato memoria.
6. Il primo motivo è inammissibile in quanto la sentenza impugnata ha deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l'esame della censura non offre elementi per mutare l'orientamento della stessa, con conseguente inammissibilità ex art. 360 bis c.p.c., n. 1.
Secondo consolidata interpretazione, infatti, l'art. 1136 c.c. e l'art. 66 disp. att c.c., nella formulazione antecedente alle modifiche apportate dalla L. n. 220 del 2012 (formulazione qui operante, dovendosi giudicare la validità di una deliberazione approvata il 4 aprile 2006), ogni condomino ha il diritto di intervenire all'assemblea e deve, quindi, essere messo in condizione di poterlo fare, con la conseguente necessità che l'avviso di convocazione previsto dall'art. 66 disp. att. c.c., u.c., testo previgente, quale atto unilaterale recettizio, sia non solo inviato, ma anche ricevuto nel termine, ivi stabilito, di almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza, avendo riguardo alla riunione dell'assemblea in prima convocazione (Cass. Sez. 2, 30/10/2020, n. 24041; Cass. Sez. 6 - 2, 26/09/2013, n. 22047; Cass. Sez. 2, 22/11/1985, n. 5769). Ai fini della prova dell'osservanza di tale termine dilatorio è necessario che il condominio dimostri la data in cui l'avviso è pervenuto all'indirizzo del destinatario.
Il termine di "almeno cinque giorni prima" stabilito dall'art. 66 disp. att. c.c. per la tempestiva comunicazione ai condomini dell'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale va poi calcolato a partire dal primo giorno immediatamente precedente la data fissata per l'adunanza, e pertanto va considerato di cinque giorni non liberi prima dell'adunanza stessa. Va infatti ribadito che, quando la legge, per la decorrenza del termine, fa riferimento come a capo o punto fermo, al dies ad quem anzichè al dies a quo, il dies finale - a cominciare dal quale il termine decorre all'indietro - viene ad assumere il valore di capo o punto fermo iniziale che, ai sensi della regola generale sancita tanto nell'art. 155 c.p.c., comma 1 (che il ricorrente malamente invoca), quanto nell'art. 2963 c.c., non deve essere computato, mentre va considerato nel termine il dies iniziale, che, funzionando da capo o punto fermo finale, va perciò computato in conformità alla stessa regola. La non computabilità sia del giorno iniziale che del giorno finale (cosiddetto termine libero o "di giorni liberi") rappresenta, infatti, una ipotesi eccezionale, limitata a casi espressamente previsti dalla legge (cfr. Cass. Sez. 2, 27/03/1969, n. 995).
Poichè, dunque, nel calcolo del termine di cinque giorni previsto dall'art. 66 disp. att. c.c., non va conteggiato il giorno iniziale (e, dunque, quello dello svolgimento della riunione in prima convocazione), mentre va computato invece quello finale (cioè quello della ricezione dell'avviso), è corretta in diritto l'affermazione della Corte d'appello di Bari secondo cui, a fronte di riunione dell'assemblea fissata in prima convocazione per il 3 aprile 2006, risultava tempestivo l'avviso ricevuto dal condomino S. essendo pervenuta al condomino S. in data 29 marzo 2006.
7. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perchè non osserva i requisiti di contenuto-forma di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6. Esso non contiene critiche specifiche alle argomentazioni decisorie su cui poggia la sentenza impugnata (la quale ha escluso la violazione delle maggioranze qualificate ai fini dei quorum costitutivi e deliberativi alla luce delle testimonianze assunte in primo grado), nè indica analiticamente il contenuto del verbale della delibera impugnata, limitandosi a contrapporre una diversa ricostruzione fattuale ed auspicando un diretto accesso agli atti ed un complessivo riesame delle risultanze documentali da parte di questa Corte. Il verbale di un'assemblea condominiale ha, del resto, natura di scrittura privata, sicchè il valore di prova legale del verbale di assemblea condominiale, munito di sottoscrizione del presidente e del segretario, è limitato alla provenienza delle dichiarazioni dai sottoscrittori e non si estende al contenuto della scrittura, e, per impugnare la veridicità di quanto risulta dal verbale, non occorre che sia proposta querela di falso, potendosi, invece, far ricorso ad ogni mezzo di prova. Incombe, tuttavia, sul condomino che impugni la delibera assembleare l'onere di sovvertire la presunzione di verità di quanto risulta dal relativo verbale (Cass. Sez. 2, 23/11/2016, n. 23903; Cass. Sez. 6 - 2, 09/05/2017, n. 11375). Il ricorrente non fa riferimento in ricorso ad alcuna sua specifica deduzione istruttoria volta a sovvertire le risultanze del verbale che la Corte d'appello, nell'ambito dell'apprezzamento di fatto spettante al giudice del merito, ha ritenuto comprovanti la regolarità del procedimento collegiale.
8. Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell'importo liquidato in dispositivo.
Quanto all'istanza dell'avvocato Angelini, difensore del ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato, per la liquidazione dei compensi, opera al riguardo il chiaro disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 83, comma 2, secondo il quale, per il giudizio di cassazione, a detta liquidazione procede il giudice di rinvio, ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato (non rilevando in senso diverso a tal fine il comma 3 bis del medesimo art. 83 - introdotto dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 783 - il quale semplifica le modalità di emissione del decreto di pagamento, senza tuttavia incidere sulle regole di competenza per la liquidazione).
Sussistono i presupposti processuali per il versamento - ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater - da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione, se dovuto (non ostando a tale attestazione l'ammissione della parte al patrocinio a spese dello Stato: Cass. Sez. U, 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.