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2 luglio 2021
Esclusa la ripetizione delle spese per la ristrutturazione anche se la casa è della compagna

La Cassazione rigetta la richiesta del ricorrente di ottenere la ripetizione di quanto pagato per l'esecuzione dei lavori per la casa in cui abitava con l'ex compagna, poiché ritenuta riconducibile all'adempimento di un dovere morale e sociale.

La Redazione

Il Tribunale di Udine accoglieva la domanda attorea e condannava l'ex convivente al pagamento di quanto corrisposto per eseguire dei lavori nell'immobile di proprietà della convenuta, ritenendo che gli esborsi effettuati dall'attore non fossero riconducibili alla solidarietà conseguente alla comunanza di affetti.
L'ex compagna impugnava tale decisione dinanzi alla Corte d'Appello di Trieste, la quale accoglieva il gravame qualificando le prestazioni effettuate dall'attore come obbligazioninaturali alla luce dei doveri di carattere morale e civile di solidarietà e di reciproca assistenza nei confronti dell'ex compagna.

L'attore propone ricorso in Cassazione lamentando che i Giudici di secondo grado avevano sostenuto l'inconciliabilità tra la convivenza more uxorio e l'azione di arricchimento senza causa nell'ipotesi di prestazioni rese da un convivente a favore dell'altro per la costruzione o ristrutturazione della dimora comune, nonostante la giurisprudenza di legittimità avesse più volte riconosciuto la sussistenza del diritto dell'ex convivente di esperire l'azione di ingiustificato arricchimento «a prescindere dalla spontaneità delle elargizioni, ove le stesse abbiano portato vantaggio all'altro».

Con l'ordinanza n. 18721 del 1° luglio 2021 la Corte di Cassazione ritiene inammissibile il ricorso, sostenendo che le operazioni effettuate dal ricorrente siano da ricondurre all'adempimento di un dovere morale e sociale tali da rientrare nella fattispecie di irripetibilitàex art. 2034 c.c., in quanto non esorbitanti «dalle esigenze familiari» e rispettose «dei minimi di proporzionalità e adeguatezza di cui alla medesima disposizione». Sul punto la Corte aggiunge che la decisione della Corte d'Appello di Trieste è conforme con l'orientamento degli Ermellini, secondo il quale «un'attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorio può configurarsi come adempimento di un'obbligazione naturale allorchè la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all'entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens».

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