Avverso tale pronuncia ricorrono in Cassazione, lamentando che i Giudici torinesi avevano escluso la causa di non punibilità
Con sentenza n. 25176 del 1° luglio 2021, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso sostenendo che i Giudici di prime cure avevano escluso la particolare tenuità del fatto sulla scorta del livello di pericolo per le persone insito nella condotta illecita dei ricorrenti, in quanto «la totale trascuratezza nel provvedere alla messa in sicurezza dell'edificio, protrattasi per un periodo consistente, aveva determinato la caduta di tegole sulla pubblica via e nel terreno confinante, abitato da un nucleo familiare, sicchè il rischio che una pluralità di persone, che avevano libero accesso nei luoghi interessati, subissero conseguenze alla loro integrità fisica, venendo colpite da elementi della costruzione in deterioramento, era stato concreto ed effettivo».
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Torino ha dichiarato (omissis) e (omissis) colpevoli della contravvenzione di cui all'articolo 677 c.p., comma 3,, in essa assorbita quella, meno grave, di cui all'articolo 650 c.p. e, per l'effetto, li aveva condannati alla pena di Euro 2.400,00 di multa con il riconoscimento ad entrambi delle circostanze attenuanti generiche.
Sulla scorta del materiale probatorio acquisto, il Tribunale ha ritenuto accertato che gli imputati, in concorso tra loro, nella qualita' di proprietari di un edifico sito nella via (omissis), non avevano ottemperato all'ordinanza sindacale, regolarmente notificata ad entrambi, emessa per ragioni di sicurezza pubblica. In particolare, avevano omesso di eseguire, a propria cura e spese, entro il termine previsto le opere indispensabili alla messa in sicurezza dell'immobile che minacciava rovina, creando pericolo per le persone.
2. Avverso la pronuncia ricorrono il (omissis) e la (omissis), per il tramite del comune difensore di fiducia avv. (omissis), articolando due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari ex articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo denunciano manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione a seguito dell'erronea valutazione delle risultanze istruttorie in punto di esclusione della causa di non punibilita' prevista dall'articolo 131 bis c.p..
Il Tribunale ha desunto la gravita' del reato, ostativa al riconoscimento della invocata causa di proscioglimento, da elementi fattuali non risultanti dalla piattaforma probatoria acquista. Ha, infatti, ritenuto l'immobile in stato di abbandono nonostante piu' di un testimone avesse riferito che i proprietari, nel corso degli anni, avevano eseguito opere di messa in sicurezza con l'apposizione di una rete metallica e l'esecuzione di lavori di piccola manutenzione. Ha, parimenti, considerato elevata la portata del pericolo alla pubblica incolumita', conseguito all'omessa ottemperanza all'ordinanza sindacale, nonostante l'immobile, ubicato a notevole distanza rispetto ai fabbricati confinanti, fosse stato interessato ad un solo episodio, peraltro assai limitato, di caduta di tegole.
2.2. Con il secondo motivo denunciano vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla pena, quantificata, nonostante il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in misura assai distante dal minimo edittale, pari ad Euro 309,00, senza tener conto non solo della limitata gravita' del reato ma anche del criterio, fissato in materia di pene pecuniarie dall'articolo 133-bis c.p., che impone al giudice di valutare le condizioni economiche del reo attribuendogli la facolta' di aumentare o diminuire sino ad un terzo la sanzione a seconda che risulti inefficace o eccessivamente onerosa.
2.3. Con memoria, in data 9 aprile 2021, la difesa ricorrente, in replica alle osservazioni contenute nella requisitoria scritta del Procuratore generale di questa Corte, ha insistito sulle censure illustrate nel ricorso sottolineando che la ricostruzione dei fatti effettuata dagli imputati, contrastante con il procedimento argomentativo recepito nella sentenza impugnata, e' l'unica possibile e non rappresenta una mera ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza e che la pena irrogata, un'ammenda di quasi otto volte superiore il minimo edittale, risulta scorretta anche con riferimento all'articolo 133 bis c.p..
Motivi della decisione
Il ricorso e' inammissibile.
1. Il primo motivo, relativo al rigetto della richiesta di applicazione dell'articolo 131 bis c.p., oltre a sollecitare apprezzamenti estranei al giudizio di legittimita', e' manifestamente infondato.
Il Tribunale ha giustificato la decisione sfavorevole ritenendo il livello di "pericolo per le persone", insito nella condotta illecita degli imputati, rispetto al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice cosi' elevato da escludere la particolare tenuita' del fatto. Al riguardo, la sentenza in verifica ha puntualmente osservato che la toltale trascuratezza nel provvedere alla messa in sicurezza dell'edificio, protrattasi per un periodo consistente, aveva determinato la caduta di tegole sulla pubblica via e nel fondo confinante, abitato da altro nucleo familiare, sicche' il rischio che una pluralita' di persone, che avevano libero accesso nei luoghi interessati, subissero conseguenze alla loro integrita' fisica, venendo colpite da elementi della costruzione in corso di deterioramento, era stato concreto ed effettivo.
La gravita' del reato, valutata come ostativa al riconoscimento della causa di proscioglimento di cui all'articolo 131-bis c.p. e' stata, quindi, desunta da una ricostruzione fattuale della vicenda non censurabile in sede di legittimita' perche' non manifestamente illogica, oltre che aderente alle risultanze probatorie espressamente menzionate quali la deposizione dell'agente della polizia municipale (omissis), il quale aveva personalmente riscontrato e documentato con alcune fotografie allegate alla relazione di servizio la caduta delle tegole e pezzi di listello di legno in strada e all'interno del cortile del vicino richiedente l'intervento.
Il ricorrente oppone, in chiave meramente confutativa, una diversa lettura delle emergenze probatorie, peraltro fondata su atti processuali genericamente citati e non allegati in osservanza del principio dell'autosufficienza del ricorso.
2. Non supera il vaglio di ammissibilita' anche il secondo motivo in materia di trattamento sanzionatorio.
2.1. Il Tribunale, lungi dal non giustificare il potere discrezionale in materia di quantificazione della pena, ha congruamente ancorato al gia' descritto carattere pericoloso della violazione la scelta di irrogare una pena base solo pecuniaria (invece che detentiva), distante si' dal minimo ma nettamente inferiore al massimo edittale (Euro 10.000,00 ex articolo 26 c.p.) e l'ha diminuita di un terzo per le attenuanti generiche. In questa sede non e' consentito un nuovo apprezzamento di merito sul punto.
2.2. Quanto alla prospettata violazione dei criteri fissati dall'articolo 133 bis c.p., secondo il combinato disposto del primo e dell'articolo 133 bis c.p., comma 2, il giudice, una volta determinata la pena pecuniaria all'interno del compasso edittale in base alla gravita' del reato e alla capacita' a delinquere specificate dall'articolo 133 c.p., non ha esercitato la facolta' ne' di aumentarla sino al triplo o ne' di diminuirla sino a un terzo per adeguarla alla capacita' economica del reo, anche superando i limiti edittali previsti (Sez. 3, n. 29878 del 28/06/2006, Gangi, Rv. 235751). Si tratta anche in questo caso di scelta legittima Non condivide il Collegio la diversa interpretazione, cui sembra aderire la difesa ricorrente, secondo cui le condizioni economiche del reo dovrebbero essere valutate in un primo momento a livello intraedittale ai sensi dell'articolo 133 bis, comma 1, e in un secondo momento a livello extraedittale ai sensi dello stesso articolo 133 bis c.p., comma 2. Questa azione ermeneutica, infatti, assumendo le condizioni economiche come criterio di valutazione aggiuntivo rispetto a quelli elencati nell'articolo 133 c.p., se appare piu' conforme al contenuto letterale delle disposizioni, presenta inconvenienti logici e costituzionali, perche' implica una duplice valutazione delle condizioni economiche, gravida di ingiuste sperequazioni.
2.3. Per completezza, va ricordato che le condizioni economiche del reo non configurando una circostanza del reato, ma solo un parametro per la quantificazione della pena, non devono essere previamente contestate dal pubblico ministero (Sez. 1, n. 45482 del 04/11/2004, Zheng, Rv. 229750), ma devono essere provate (o almeno allegate) dalla parte processuale che ne invochi la valutazione (Sez. 4, n. 2558 del 13.1.2000, Gamberale, Rv. 215546). Questa Corte ha avuto modo di precisare che spetta alla pubblica accusa l'onere di fornire la prova della consistenza patrimoniale del reo, in un caso in cui era il pubblico ministero a chiedere l'aumento della pena pecuniaria perche' l'elevata capacita' economica dell'imputato faceva ritenere inefficace la misura massima (Sez. 3, n. 1208 del 5.11.1993, Battocchio, Rv. 196475). In altri casi, in cui era l'imputato a chiedere la riduzione della pena pecuniaria perche' anche la misura minima gli risultava eccessivamente gravosa, la Corte ha ritenuto necessario che lo stesso imputato allegasse l'indispensabile documentazione atta a chiarire la sua situazione economica (Sez. 6, n. 7989 del 31.5.1993, Spreafico, Rv. 194918).
Nel caso in verifica gli imputati si sono limitati a chiedere l'applicazione della causa di non punibilita' di cui all'articolo 131 bis c.p., senza invocare la diminuzione ulteriore ex articolo 133 bis c.p., comma 2, e senza produrre o allegare davanti al giudice di merito elementi utili per valutare le condizioni economiche se non l'intervenuta ammissione al gratuito patrocinio per di piu' citata solo in sede di ricorso. In siffatta situazione e' evidente che il Tribunale non aveva, alcun obbligo di prendere in considerazione le condizioni economiche dell'imputato ai fini della diminuente di cui all'articolo 133 bis c.p., comma 2, perche' non erano state ne' allegate ne' documentate dal difensore.
3. All'inammissibilita' dei ricorsi consegue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e - per i profili di colpa correlati all'irritualita' dell'impugnazione (C. Cost. n. 186 del 2000) - di una somma in favore della Cassa delle Ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.