La Cassazione illustra, attraverso l'analisi del quadro normativo vigente, i passaggi che hanno portato a dichiarare inammissibile la richiesta di riesame proposta mediante PEC.
Il Tribunale di Milano dichiarava inammissibile la richiesta di riesame contro il decreto di sequestro preventivo presentata dalla società ricorrente, ritenendo illegittima l'impugnazione perché trasmessa via PEC.
La società propone ricorso per cassazione lamentando, tra i diversi motivi, la violazione dell'
Con la sentenza n. 32620 del 1° settembre 2021, la Suprema Corte rigetta il ricorso, osservando come il suddetto art. 24, nella sua stesura originaria, al fine di contenere l'emergenza epidemiologica da Covid-19, abbia previsto la possibilità di depositare gli atti attraverso l'invio tramite PEC. Ora, la Corte ha ritenuto che in assenza di una specifica previsione, la norma non possa ritenersi riferita anche agli atti di impugnazione, per i quali vige il principio di tassatività.
Tuttavia, gli Ermellini evidenziano che il comma 6-quinquies ha previsto che il deposito via PEC si applichi a tutti gli atti di impugnazione, ma solo quando ricorrono le condizioni di cui ai commi 6-bis, 6-ter e 6-quater dello stesso articolo.
Preso atto del problema interpretativo sul tema, il legislatore della conversione ne ha chiarito l'ambito di applicazione, anche temporale, stabilendo al comma 6-decies che «le disposizioni di cui ai commi da 6-bis a 6-novies si applicano agli atti di impugnazione di qualsiasi tipo, agli atti di opposizione e i reclami giurisdizionali proposti successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Fino alla suddetta data conservano efficacia gli atti d'impugnazione di qualsiasi tipo, gli atti di opposizione e i reclami giurisdizionali in formato elettronico, sottoscritti digitalmente, trasmessi a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto alla casella di posta elettronica certificata del giudice competente, ai sensi del comma 4».
Così facendo, la disposizione distingue 2 fasi temporali: quella per le impugnazioni proposte dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione e quella per gli atti precedentemente trasmessi, tra i quali rientra l'istanza di riesame oggetto di causa. Tenendo conto che per questi ultimi la legge ne ammette l'efficacia a condizione che l'atto sia stato trasmesso alla casella di posta elettronica certificata del giudice competente, come prevista dal comma 4 dell'art. 24 stesso, e che sia stato sottoscritto digitalmente, gli Ermellini riscontrano che l'atto in questione non soddisfa nessuno dei 2 requisiti. Segue, dunque, il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza emessa de plano in data 2 dicembre 2020, il Tribunale di Milano ha dichiarato l'inammissibilità della richiesta di riesame avverso decreto di sequestro preventivo presentata dalla società odierna ricorrente, ritenendo l'impugnazione non legittimamente proposta perchè trasmessa a mezzo pec. 2. Avverso tale ordinanza, a mezzo del difensore fiduciario costituito procuratore speciale, la società ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, con il primo motivo, la violazione dell'art. 324 c.p.p., comma 6, per essere stato il provvedimento adottato de plano, senza fissare la camera di consiglio prevista da tale disposizione.
3. Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta violazione del D.L. n. 137 del 2020, art. 24, commi 4 e 5, e del comma 6-quinquies quale inserito della relativa legge di conversione n. 176/2020.
Secondo la società ricorrente, il citato D.L. n. 137 del 2020, art. 24, comma 4, - c.d. "decreto ristori" - nel prevedere la possibilità, nel periodo di emergenza legato alla pandemia da Covid-19, di depositare presso gli uffici giudiziari "tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati", dovrebbe essere inteso come riferibile anche agli atti d'impugnazione, non essendo condivisibile la contraria interpretazione data dall'ordinanza impugnata e dal conforme precedente di legittimità nella stessa richiamato.
Quell'interpretazione - si sostiene - è stata poi legittimata dall'espresso chiarimento effettuato con la previsione di cui al comma 6-quinquies, inserita nel corpo della citata disposizione dalla legge di conversione del provvedimento d'urgenza, senza che sia possibile opporre, in contrario, la statuizione, contenuta nel successivo comma 6-sexies, che reputa inammissibile l'atto depositato a mezzo pec qualora lo stesso sia privo di firma digitale, trattandosi di requisito non previsto nell'originaria versione del Decreto-Legge e, dunque, non applicabile ai depositi medio tempore effettuati prima dell'entrata in vigore della legge di conversione.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza, posto che l'art. 324 c.p.p., comma 6 nel prevedere che il procedimento di riesame si svolge "in camera di consiglio nelle forme previste dall'art. 127, richiama anche il disposto contenuto nel comma nove di tale ultima disposizione, a mente del quale "l'inammissibilità dell'atto introduttivo del procedimento è dichiarata dal giudice con ordinanza, anche senza formalità di procedura, salvo che sia altrimenti stabilito". Posto che l'art. 324 c.p.p., comma 6, non dispone altrimenti, tale generale previsione è certamente applicabile anche nel giudizio di riesame.
Dopo qualche oscillazione, del resto, con riguardo ad ipotesi come quella in esame, l'interpretazione è da tempo condivisa da un oramai consolidato orientamento di questa Corte, con il quale la ricorrente non si confronta. Ed invero, si è ripetutamente affermato che l'inammissibilità dell'impugnazione cautelare, prevista, in quanto tale, come sanzione specifica delle sole irregolarità attinenti al rapporto di impugnazione - ovvero delle irregolarità che riguardano l'impugnabilità oggettiva e soggettiva del provvedimento, il titolare del diritto di gravame, l'atto di impugnazione nelle sue forme e termini e l'interesse ad impugnare - va dichiarata "de plano", senza necessità di fissare l'udienza camerale e di avvisare i difensori, trovando applicazione l'art. 127 c.p.p., comma 9, il quale prescrive che l'inammissibilità dell'atto introduttivo del procedimento è dichiarata dal giudice con ordinanza, anche senza formalità di procedura, salvo che sia diversamente stabilito (Sez. 4, n. 8867 del 19/02/2020, Brencich, Rv. 278605; Sez. 2, n. 24808 del 24/07/2020, Koiyf Redwan, Rv. 279553; Sez. 3, n. 745 del 02/10/2018, dep. 2019, C., Rv. 274570; Sez. 3, n. 34823 del 30/01/2017, Filardo, Rv. 270955; Sez. 2, n. 18333 del 22/04/2016, Moccardi, Rv. 267083).
2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Nella sua originaria stesura, il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 24, comma 4, contenente disposizioni per contrastare l'emergenza da Covid-19, ha previsto che, "per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2, fino alla scadenza del termine di cui al D.L. 25 marzo 2020, n. 19, art. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 maggio 2020, n. 35, è consentito il deposito con valore legale mediante invio dall'indirizzo di posta elettronica certificata inserita nel Registro generale degli indirizzi di posta elettronica certificata di cui all'art. 7 del Decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44. Il deposito con le modalità di cui al periodo precedente deve essere effettuato presso gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari ed indicati in apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati e pubblicato nel portale dei servizi telematici. Con il medesimo provvedimento sono indicate le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e le ulteriori modalità di invio".
Nel dichiarare inammissibile la richiesta di riesame perchè proposta a mezzo PEC, l'ordinanza impugnata ha ritenuto che, in mancanza di un'espressa previsione, la citata disposizione non potesse intendersi riferita agli atti di impugnazione, rispetto ai quali vige il principio di tassatività, richiamando una recente, conforme, decisione emessa da questa Corte.
Si allude alla pronuncia con cui si è affermato il principio giusta il quale detta norma trova applicazione esclusivamente in relazione agli atti di parte per i quali il codice di procedura penale non disponga specifiche forme e modalità di presentazione, stante la natura non derogatoria del suddetto comma rispetto alle previsioni sia del codice di procedura penale, sia del D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, convertito con modificazioni dalla L. 22 febbraio 2010, n. 24, e sia anche del regolamento delegato adottato con Decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44, concernente le regole tecniche per il processo civile e penale telematici (Sez. 1, n. 32566 del 03/11/2020, Caprioli, Rv. 279737).
Al di là di quanto infra immediatamente si dirà sulla sopravvenuta inapplicabilità di tale principio, si osserva qui come, contrariamente a quanto si opina in ricorso, il principio di tassatività delle modalità di presentazione delle impugnazioni delineate dagli artt. 582 e 583 c.p.p. vada certamente affermato in base ad un orientamento interpretativo di questa Corte da tempo consolidato e dal quale non v'è ragione di discostarsi. Possono essere richiamate, tra le molte, le decisioni che hanno ritenuto inammissibile l'opposizione a decreto penale di condanna presentata a mezzo di PEC, stante il principio di tassatività ed inderogabilità delle forme per la presentazione delle impugnazioni, trattandosi di modalità non consentita dalla legge, in ragione dell'assenza di una norma specifica che consenta nel sistema processuale penale il deposito di atti in via telematica, e nonostante che per espressa previsione di legge il valore legale della posta elettronica certificata sia equiparato alla raccomandata con ricevuta di ritorno (Sez. 4, n. 21056 del 23/01/2018, D'Angelo, Rv. 272740; Sez. 3, n. 50932 del 11/07/2017, Giacinti, Rv. 272095). Nè l'uso della PEC per la proposizione delle impugnazioni è stato previsto dalle prime disposizioni speciali adottate in relazione all'emergenza pandemica, come pure questa Corte ha già chiarito affermando che nessuna deroga è stata al proposito introdotta dal D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 11, contenente disposizioni per contrastare l'emergenza epidemiologica da Covid-19, conv. nella L. 24 aprile 2020, n. 27, che ha limitato tale possibilità ai soli ricorsi civili (Sez. 1, n. 28540 del 15/09/2020, Santapaola, Rv. 279644; conforme, sent. n. 28541/2020).
3. Come si accennava, il tema affrontato dalla recente pronuncia di questa Corte richiamata dall'ordinanza impugnata è tuttavia da ritenersi superato alla luce delle previsioni introdotte dalla legge di conversione del D.L. n. 137 del 2020, la L. 18 dicembre 2020, n. 176. Il comma 6-quinquies da essa introdotto, infatti, prevede espressamente che, alle condizioni di cui ai commi 6-bis, 6-ter e 6-quater del medesimo articolo, parimenti aggiunti in sede di conversione, il deposito a mezzo PEC si applica "a tutti gli atti di impugnazione, comunque denominati, e, in quanto compatibili, alle opposizioni di cui agli artt. 410 e 461 c.p.p. e art. 667 c.p.p., comma 4, e ai reclami giurisdizionali previsti dalla L. 26 luglio 1975, n. 354". Non v'è dubbio, pertanto, che, alle condizioni date, esista oggi un'espressa previsione legislativa legittimante l'uso della PEC per la presentazione delle impugnazioni penali, rispondente al principio di tassatività operante in materia.
Evidentemente consapevole del problema interpretativo che si era al proposito posto, tuttavia, il legislatore della legge di conversione ha dettato un'espressa disposizione per chiarire l'ambito di applicazione, anche temporale, dell'estensione della possibilità di proporre impugnazione con l'uso della posta elettronica certificata.
Il successivo comma 6-decies inserito nel corpo del D.L. n. 137 del 2020, art. 24 prevede che "le disposizioni di cui ai commi da 6-bis a 6-novies si applicano agli atti di impugnazione di qualsiasi tipo, agli atti di opposizione e ai reclami giurisdizionali proposti successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Fino alla suddetta data conservano efficacia gli atti d'impugnazione di qualsiasi tipo, gli atti di opposizione e i reclami giurisdizionali in formato elettronico, sottoscritti digitalmente, trasmessi a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto alla casella di posta elettronica certificata del giudice competente, ai sensi del comma 4".
Come si comprende dalla previsione da ultimo riportata, la disciplina introdotta con la legge di conversione dà una sorta d'interpretazione autentica delle originarie previsioni, consentendo la loro estensione agli atti di impugnazione soltanto laddove siano soddisfatte alcune condizioni (che, peraltro, rispondono anche alle obiezioni che avevano indotto questa Corte, con la citata sent. 32566/2020, ad andare in contrario avviso). La disposizione, in particolare, distingue due fasi temporali: quella per le impugnazioni proposte successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione (in cui trovano piena applicazione i requisiti previsti dai commi da 6-bis a 6-novies); quella per gli atti lato sensu impugnatori in precedenza trasmessi, a far tempo dall'entrata in vigore del Decreto-Legge. Per questi ultimi - tra i quali pacificamente rientra l'istanza di riesame di cui qui si discute, trasmessa il 2 novembre 2020 - la legge ne ammette l'efficacia laddove ricorrano due, necessari, requisiti: che l'atto sia stato inviato alla casella di posta elettronica certificata del giudice competente quale prevista dal comma 4 dello stesso art. 24; che si tratti di atto recante sottoscrizione digitale. La norma intertemporale, in sostanza, ha individuato due condizioni minime per attribuire efficacia alle impugnazioni trasmesse prima che diventassero operative le nuove disposizioni previste dalla legge di conversione, le quali sono sostanzialmente riconducibili ai requisiti di ammissibilità previsti dal comma 6-sexies alle lett. a) ed e).
4. Or bene, alla luce del descritto quadro normativo, osserva il Collegio che nel caso di specie non risulta soddisfatto nessuno dei due requisiti di legge, sicchè la sopravvenuta disposizione d'interpretazione autentica invocata in ricorso non può trovare applicazione.
4.1. In primo luogo, l'atto non risulta trasmesso ad uno degli indirizzi (la cui stringa inizia con la dicitura "depositoattipenali") previsti per il Tribunale di Milano dal provvedimento del Direttore del DGSIA del 9 novembre 2020, adottato in forza del D.L. n. 137 del 2020, art. 24, comma 4.
La previsione circa il deposito telematico degli atti contenuta in detta ultima disposizione, rimandando per la sua attuazione al menzionato decreto direttoriale anche soltanto per l'individuazione degli indirizzi PEC abilitati alla trasmissione, non era di fatto applicabile prima che il regolamento fosse adottato e questa conseguenza - per quanto qui rileva - è stata espressamente attestata dal legislatore della legge di conversione al citato comma 6-decies. Si tratta, del resto, di una formalità necessaria per consentire agli Uffici di predisporre le misure organizzative indispensabili per poter tempestivamente dar seguito alle impugnazioni, le quali prevedono rigorosi termini per la proposizione (per l'inammissibilità dell'impugnazione trasmessa a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per l'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati, v., di recente, Sez. 1, n. 9887 del 26/01/2021, Giambra, Rv. 280738).
4.2. In secondo luogo, come espressamente si ammette in ricorso, la richiesta di riesame trasmessa a mezzo PEC non era firmata digitalmente, requisito questo - ritenuto indispensabile dallo stesso provvedimento del Direttore del DGSIA, che, all'art. 3, comma 3, nell'esplicitare, come da espressa delega legislativa, le specifiche tecniche della trasmissione degli atti, ha previsto che "le tipologie di firma ammesse sono PAdES e CAdES. Gli atti possono essere firmati digitalmente da più soggetti purchè almeno uno sia il depositante".
Nel caso delle impugnazioni, peraltro, la necessità della firma digitale è imposta al fine di consentire la verifica della paternità dell'atto, ciò che ne costituisce imprescindibile requisito di ammissibilità, stante la tassativa e precisa individuazione dei soggetti legittimati ad esercitare il relativo diritto. Proprio per questo, con inequivoca statuizione non suscettibile di diversa interpretazione, la citata norma intertemporale ha subordinato l'efficacia delle impugnazioni medio tempore proposte alla condizione che le stesse rechino la sottoscrizione digitale.
5. Il ricorso va pertanto rigettato con condanna della società ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.