Per la Corte di Cassazione lo stato di adottabilità non viola il diritto alla fratellanza se viene valutata una situazione di abbandono del minore.
I ricorrenti propongono ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello torinese con la quale veniva confermata la decisione del Tribunale per i Minorenni di Torino di dichiarare lo stato di adottabilità di due fratelli minori.
Tra i motivi di gravame, i ricorrenti lamentano la violazione del diritto alla fratellanza sancito all'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dall'Italia con la
Con l'ordinanza n. 23796 del 2 settembre 2021, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso ritenendo la doglianza in parte infondata e in parte inammissibile.
In via preliminare, la Cassazione chiarisce che il diritto del minore a vivere nella propria famiglia di origine, sancito all'
Dello stesso avviso anche la CEDU, che limita la rottura dei legami tra un minore e la sua famiglia solo «nei casi in cui i genitori e gli stretti congiunti sia siano dimostrati particolarmente indegni o quando siano giustificate da un'esigenza primaria che riguarda l'interesse del minore».
Da ultimo, la Corte ha altresì chiarito quali sono i parametri per valutare la situazione di abbandono ai fini di dichiarare l'adottabilità del minore:
- netto favor per la crescita del minore nella propria famiglia;
- verificare la sussistenza di servizi e strumenti di sostegno finalizzati a rimuovere ovvero migliorare la situazione di criticità della famiglia del minore;
- valutare l'impossibilità di prestare assistenza morale e materiale al minore, escludendo che tale limite sia riconducibile a fattori causali derivanti da forza maggiore;
- considerare l'interesse del minore in relazione a quello dei genitori di conservare il legame con lui.
Svolgimento del processo
CHE:
1. Con sentenza del 15 luglio 2019, la Corte di appello di Torino ha rigettato l'appello proposto da D.T.R.C. e D.G.P., avverso la sentenza del Tribunale per i Minorenni di Torino del 18 ottobre 2018, che aveva dichiarato lo stato di adottabilità dei minori D.G.P.A., nato a (omissis), e D.M., nata a (omissis).
2. La Corte di appello di Torino, a sostegno della decisione impugnata, ha affermato che il gravame non si confrontava con tutte le argomentazioni esposte dal Tribunale, limitandosi ad un verboso richiamo a principi giurisprudenziali pacifici, ovvero a censure su aspetti marginali ed irrilevanti, del tutto inidonee ad una rivalutazione degli elementi probatori in senso difforme a quella svolta dal primo giudice; che, sulla base degli elementi valutati in primo grado, non poteva formularsi alcun giudizio prognostico positivo, neppure su eventuali future capacità di recupero delle competenze genitoriali e nemmeno valutare tali non comprovate capacità di recupero in tempi compatibili con l'interesse dei minori; che nessuna figura parentale risultava in grado di espletare una funzione vicariante o anche solo di sostegno e che, dopo l'allontanamento dai genitori, i due minori avevano trovato una collocazione ottimale presso la famiglia affidataria.
3. I giudici di secondo grado, inoltre, hanno messo in evidenza l'insussistenza di rapporti affettivi e di frequentazione tra i due figli minori e le sorelle C. e R. e che, in ogni caso, il dedotto interesse delle sorelle a non interrompere i rapporti con i fratelli era del tutto recessivo a fronte di quello dei due bambini di vivere in un ambiente adeguato e sano che garantiva loro un sereno sviluppo psichico ed evolutivo.
4. D.T.R.C. e D.G.P., avverso la detta sentenza, hanno proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
5. L'Avv. G.C.M., nella qualità di Curatore speciale dei minori, ha depositato controricorso.
6. Il Tutore provvisorio, nella persona del Presidente pro tempore del Servizio Sociale dell'Unione dei Comuni di (omissis), non ha svolto difese.
7. La Procura Generale presso la Corte di Cassazione ha concluso per il rinvio della causa alla pubblica udienza.
Motivi della decisione
CHE:
1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1 e 8 essendo stata dichiarata l'adottabilità dei minori in presenza di soluzioni alternative per la conservazione del diritto dei medesimi di crescere ed essere educati nella propria famiglia in assenza di un adeguato progetto di supporto dei genitori naturali.
1.1 Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
1.2 Ed invero, la Corte di appello territoriale ha affermato, con un accertamento in fatto non censurabile in sede di legittimità, che la condizione di assoluta incapacità dei genitori di elaborare un progetto di vita credibile ed aderente alla realtà per i propri figli e la totale inconsapevolezza delle proprie difficoltà e dei propri limiti avevano impedito l'attivazione di qualsivoglia adeguato progetto di sostegno al nucleo familiare ed alle capacità genitoriali, pure proposto dai Servizi, e che, per converso, i genitori non solo avevano commesso un nuovo reato, che aveva portato al loro arresto, ma avevano violato anche le prescrizioni connesse al regime di detenzione domiciliare, commettendo l'ulteriore reato di evasione, con conseguente ripristino della detenzione in carcere.
1.3 I giudici di secondo grado, inoltre, hanno evidenziato che la madre aveva rifiutato la collocazione comunitaria proposta dal Servizio e aveva ritenuto di non avere bisogno di alcun intervento di sostegno, se non di tipo economico; anche il padre aveva sempre delegato ad altri la responsabilità di accudire i propri figli e aveva sempre vissuto in modo deviante e del tutto precario; che, dunque, non poteva formularsi alcun giudizio prognostico positivo, neppure su eventuali future capacità di recupero delle competenze genitoriali, nè valutare tali non comprovate capacità di recupero in tempi compatibili con l'interesse dei minori; nemmeno gli impugnanti avevano portato all'attenzione della Corte elementi di segno diverso rispetto a quelli emersi dall'istruttoria di primo grado; inoltre, i giudici di secondo grado hanno evidenziato che nessuna figura parentale risultava in grado di espletare una funzione vicariante o anche solo di sostento e tra questi, nè la sorella della D.G., nè i nonni materni, nè la nonna paterna; per contro, dopo l'allontanamento dai genitori, i due minori risultavano avere trovato una collocazione ottimale presso la famiglia affidataria, come riscontrato dalla relazione del Servizio sociale del (omissis
).
1.4 I giudici di merito hanno, quindi, compiuto un accertamento che riscontra la sussistenza di criticità non legate esclusivamente alle condizioni economiche e sociali e l'insussistenza di potenzialità di miglioramento e sviluppo delle capacità genitoriali, correttamente escluse dalla Corte di appello, anche alla luce dell'espresso rifiuto da parte della D.G. dell'inserimento in comunità con la figlia, che, come si legge nella sentenza impugnata, aveva perfettamente inteso quale fosse il percorso che le era stato proposto, ribadendo, in sede di audizione avanti al Collegio, che lei non aveva bisogno di alcun tipo di intervento di sostegno, che era "una buona mamma" e che avrebbe accettato l'ingresso in comunità solo se le fosse stato imposto da un giudice.
1.5 La Corte territoriale, con una valutazione fondata su elementi concreti e riscontrati oggettivamente, ha verificato, dunque, la scarsa idoneità della famiglia di origine a fornire in futuro ai due minori le cure necessarie per il loro sano sviluppo e ha individuato le gravi ragioni che, impedendo ai genitori di garantire una normale crescita ed adeguati riferimenti educativi ai minori, ne hanno giustificato la sottrazione al nucleo familiare di origine.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione del diritto alla fratellanza, come enunciato nell'art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dall'Italia con L. n. 848 del 1955, e nella L. n. 176 del 1991, art. 9 essendo stata disposta la separazione dei fratelli P.A. e M. dalle sorelle C. e R., pur in presenza di soluzioni alternative e, quindi, in violazione della conservazione del diritto di fratellanza dei minori di crescere e vivere insieme.
2.1 Anche il secondo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
2.2 In proposito, deve rilevarsi che la L. n. 184 del 1983, art. 1, afferma il diritto del minore a vivere e crescere nella propria famiglia, ma solo fino a quando ciò non comporti un'incidenza grave ed irreversibile sul suo sviluppo psicofisico e l'art. 8 stessa legge definisce la situazione di abbandono come mancanza di assistenza materiale e morale.
In altri termini, il diritto a vivere nella propria famiglia di origine incontra un limite, nello stesso interesse del minore, se si accerta la ricorrenza di una situazione di abbandono che legittimi la dichiarazione di adottabilità, qualora, a prescindere dagli intendimenti dei genitori o dei parenti, la vita da loro offerta al minore stesso sia inadeguata al suo normale sviluppo psichico e fisico, cosicchè la rescissione del legame familiare è l'unico strumento che possa evitargli un più grave pregiudizio ed assicurargli assistenza e stabilità affettiva.
2.3 In tal senso si è espressa anche la Corte Europea dei diritti dell'uomo, che ha evidenziato che le misure che conducono alla rottura dei legami tra un minore e la sua famiglia debbono essere applicate solo in circostanze eccezionali, ovvero solo nei casi in cui i genitori e gli stretti congiunti, si siano dimostrati particolarmente indegni o quando siano giustificate da un'esigenza primaria che riguarda l'interesse superiore del minore (CEDU, 21 ottobre 2008, C-19537/03, Clementino e altri contro Italia; CEDU, 16 luglio 2015, C-9056/14, Akinnibosun contro Italia).
La situazione di abbandono, dunque, quale presupposto necessario per la dichiarazione dello stato di adottabilità, comportando il sacrificio dell'esigenza primaria di crescita in seno alla famiglia biologica, è configurabile solo quando si accerti che la vita offerta al minore dai congiunti sia inadeguata al normale sviluppo psico-fisico, così da fare considerare la rescissione del legame familiare come strumento necessario per evitare un più grave pregiudizio (Cass. 29 marzo 2011, n. 7115; 26 gennaio 2011, n. 1838; 31 marzo 2010, n. 7959).
La richiamata valorizzazione del legame naturale - in una con la logica di gradualità e di sussidiarietà degli interventi che ispira la L. n. 184 del 1983, secondo la prospettiva, che assegna all'istituto dell'adozione il carattere di estremo rimedio - rende necessario un "particolare rigore" nella valutazione della situazione di abbandono quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità dello stesso, finalizzata esclusivamente all'obiettivo della tutela dei suoi interessi (Cass. 14 maggio 2005, n 10126; Cass., 14 aprile 2006, n. 8877; Cass., 22 novembre 2013, n. 26204
Cass. civ., Sez. I, Sent., (data ud. 19/06/2013) 22/11/2013, n. 26204
).
2.4 Questa Corte ha chiarito quali siano i parametri di valutazione della situazione di abbandono sulla quale fondare la dichiarazione di adottabilità, individuandoli:
"a) nel netto favor per la crescita del minore nella propria famiglia;
b) nella verifica dell'apprestamento di servizi e strumenti di sostegno al fine di rimuovere o migliorare la situazione di criticità della famiglia del minore;
c) nella rigorosa valutazione dell'impossibilità di prestare assistenza materiale e morale al minore al fine di escluderne la transitorietà, e la riconducibilità a fattori causali derivanti da forza maggiore in modo da acquisire la certezza della continuità, stabilità, definitività delle condizioni obiettive e soggettive accertate, anche alla luce della mancata risposta o del rifiuto di accettare gli interventi di sostegno provenienti dai servizi territoriali;
d) nell'esigenza di non considerare in astratto l'interesse del minore, ma di collegarlo, anche in funzione di bilanciamento, con quello dei genitori a conservare il legame filiale, ove tale scelta non determini danni irreversibili nello sviluppo psicofisico del minore medesimo" (Cass., 10 luglio 2014, n. 15861; Cass. 22 novembre 2013, n. 26204
Cass. civ., Sez. I, Sent., (data ud. 19/06/2013) 22/11/2013, n. 26204
).
2.5 Ciò posto, stante il tenore letterale della L. n. 184 del 1983, art. 8 deve escludersi che la sussistenza dello stato di abbandono del minore possa trovare fondamento nell'esigenza di non separarlo dai fratelli, perchè per l'appunto, così facendo, si individua un presupposto che non è previsto dalla norma citata (Cass., 10 luglio 2014, n. 15861; Cass., 24 novembre 2015, n. 23979).
2.6 La Corte di merito di Torino ha fatto corretta applicazione dei principi normativi e giurisprudenziali espressi in tema di dichiarazione dello stato di adottabilità, allorchè ha ritenuto integrata la fattispecie dello stato di abbandono dei minori, all'esito di un accertamento rigoroso della insussistenza delle capacità genitoriali e degli altri parenti, tenuto conto anche degli interessi dei minori e dei tempi necessari per un loro compiuto ed armonico sviluppo.
2.7 Nel caso in esame, rileva, inoltre, un profilo di inammissibilità della censura, che trascura di censurare l'iter argomentativo della corte del merito, laddove essa ha affermato che nessun elemento acquisito in primo grado deponeva per la sussistenza di un pregresso rapporto affettivo o anche solo di frequentazione tra P.A. e le sorelle C. e R.; che neppure si conosceva con quali modalità e tempi queste ultime frequentassero la madre e il padre; che M. era stata allontanata dal nucleo quando aveva poco più di un mese d'età e, dunque, non poteva avere sviluppato alcun rapporto significativo con le sorelle più grandi, non conviventi; che, infine, nessun elemento era stato offerto o comprovato dagli impugnanti in relazione al dedotto pregiudizio a carico di C. e R., derivante dall'interruzione dei rapporti con i fratelli e che, in ogni caso, tale interesse era del tutto recessivo a fronte di quello dei due bambini di vivere in un ambiente adeguato e sano, che garantiva loro uno sviluppo evolutivo sereno.
3. In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le ragioni poste a fondamento della decisione impugnata giustificano la compensazione delle spese processuali.
Trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio.