Il TAR Lazio evidenzia che non sussistono le condizioni minime affinché il Ministero della Giustizia possa nominare i ricorrenti (magistrati onorari da molti anni) magistrati ordinari.
I ricorrenti hanno svolto la funzione di giudici onorari per molti anni, dunque agiscono in giudizio per chiedere al TAR di riconoscere l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze del Ministero della Giustizia e alle medesime condizioni dei giudici ordinari. Essi sostengono, infatti, che la normativa nazionale in vigore al momento della domanda sia contraria al diritto europeo, così come il
Nello specifico, i ricorrenti erano stati nominati magistrati onorari dopo aver superato un concorso per titoli, iniziando ad esercitare le proprie funzioni dopo aver prestato giuramento di fedeltà alla Repubblica, non potendo, dunque, essere assimilati a dei lavoratori “volontari”, bensì ai lavoratori ai sensi dell'art. 7, paragrafo 1, direttiva 2003/88, nonché al “lavoratore a tempo determinato” ai sensi dell'art. 31, paragrafo 2, della Carta C.D.F.U.E.
Con la sentenza n. 9484 del 1° settembre 2021, il TAR Lazio respinge le domande dei ricorrenti, rilevando che essi non hanno sostenuto il concorso volto in modo specifico all'acceso in magistratura, disciplinato dal Capo I del
A tal proposito, il TAR evidenzia che gli argomenti dei ricorrenti tesi ad avvalorare la contrarietà al diritto europeo del trattamento nazionale loro riservato non rileva in tale sede, visto che per accedere a una simile richiesta il Collegio avrebbe dovuto disapplicare le norme vertenti sull'accesso alla magistratura ordinaria, tra le quali figurano quelle sul superamento delle prove concorsuali.
Ciò posto, il Tribunale considera che la domanda dei ricorrenti finalizzata al riconoscimento dello status di pubblico dipendente a tempo indeterminato, diverso da quello di magistrato ordinario, è di competenza del Giudice Ordinario, dunque rimette le parti dinanzi al Tribunale Civile per la trattazione di tale questione.
Svolgimento del processo
1. I ricorrenti in epigrafe indicati agiscono in giudizio sul presupposto di aver svolto, a seguito di nomina avvenuta con decreto ministeriale, la funzione di giudici onorari per molti anni (Calogero Ingrillì 21 anni e 2 mesi di servizio, Silvia Trevia 18 anni di servizio, Gabriele Graziani 17 anni e 6 mesi di servizio, Marco Tarquinio Severini. Antonella Passalacqua 17 anni e 4 mesi di servizio, Gabriella Maltarello 8 anni di servizio.
2. Essi hanno chiesto a questo Tribunale di riconoscere, relativamente al periodo di tempo in cui ciascuno di essi ha svolto le funzioni, la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze del Ministero della Giustizia, alle stesse condizioni giuridiche, economiche, previdenziali ed assistenziali, dei magistrati ordinari.
3. A sostegno della domanda hanno dedotto che la normativa nazionale riguardante i giudici onorari, di cui agli artt. 42 ter, 42 quater, 42 quinquies, 42 sexies e 42 , nonché degli artt. 71, 71 bis, e 72 R. D. 30 gennaio 1941 n. 12, in vigore al momento della domanda giudiziale (23 marzo 2016), sarebbe contraria al diritto europeo, come avrebbe stabilito la Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella causa C-658/18. D’altro canto anche il D. L.vo 116/2017 - che però non disciplina il periodo di lavoro per il quale è chiesto il riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato - sarebbe a sua volta in contrasto con la normativa europea.
1.1. I magistrati onorari, infatti, sarebbero da considerare “lavoratori” ai sensi e per gli effetti dell’art. 7, par. 1, della Direttiva 2003/88/CE e dell’art. 31, par. 2, della C.D.F.U.E., svolgendo attività reali ed effettive, essendo soggetti ai capi degli uffici, ricevendo per l’attività svolta un trattamento economico equiparabile ad una retribuzione, di fatto considerata dall’ordinamento giuridico come un reddito da lavoro dipendente.
3.2. Tali compensi sono imputati ad uno specifico capitolo del bilancio dello Stato, denominato “Compensi spettanti alla magistratura onoraria”, e sono gestiti tramite l’impianto dell’anagrafe dei magistrati onorari in servizio dal suddetto Ministero, sono comprensivi degli oneri sociali, sottoposti ad imponibile fiscale a carico dello Stato, e sono pignorabili – come gli stipendi dei lavoratori dipendenti - nella misura di un quinto. L’attività prestata dai magistrati onorari, dunque, non sarebbe priva di carattere remunerativo.
3.3. Inoltre i magistrati onorari sarebbero sempre tenuti alla costante reperibilità, sono sottoposti al potere disciplinare esercitabile dai rispettivi Capi Uffici, dal Procuratore Generale della Cassazione e dal Ministero della Giustizia; sono anche tenuti ad obblighi di formazione professionale analoghi a quelli dei magistrati c.d. “togati”; le prestazioni lavorative sono rese nel rispetto delle numerose norme di legge e di regolamenti che stabiliscono rigidamente le modalità di svolgimento del loro lavoro, nel rispetto altresì delle circolari del Consiglio Superiore della Magistratura.
3.4. I ricorrenti sono stati nominati magistrati onorari a seguito di concorso per titoli, ed hanno cominciato ad esercitare le funzioni solo dopo aver prestato il giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservare le leggi dello Stato. Essi non sarebbero assimilabili a lavoratori “volontari”.
3.5. Dovendo essere considerati, per le ragioni indicate, come “lavoratori” ai sensi dell’art. 7, paragrafo 1 della direttiva 2003/88 e dall’art. 31, paragrafo 2 della Carta C.D.F.U.E., ad essi sarebbe applicabile anche la nozione di “lavoratore a tempo determinato”, ai sensi della clausola n. 3, punto 1, dell’Accordo Quadro, nozione che prescinde dalla natura pubblica o privata del datore di lavoro, dalla tipologia di contratto di diritto interno e dalla afferenza dell’attività alla funzione giudiziaria.
3.6. Ciò premesso risulterebbe applicabile, ai magistrati onorari, la clausola 4, punto 1, dell’Accordo Quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE, che vieta discriminazioni che riguardino condizioni di impiego, per il solo fatto che si tratti di lavoratori a tempo determinato: nella specie i ricorrenti rivendicano di aver svolto una attività in tutto e per tutto comparabile ed equivalente con quella dei magistrati di ruolo, ragione per cui non avrebbero dovuto essere discriminati, quanto al trattamento economico, giuridico, assistenziale e previdenziale, a quello dei magistrati di ruolo, c.d. “togati”.
4. Il Ministero della Giustizia si è costituito in giudizio per resistere al ricorso, che è stato chiamato e introitato in decisione all’udienza del 9 giugno 2021.
4.1. Ha argomentato la difesa erariale che lo status dei magistrati onorari e di quelli professionali sarebbe diverso: pur esercitando entrambi funzioni giudiziarie e pur facendo ambedue parte dell’Ordinamento Giudiziario, il rapporto con i magistrati onorari sarebbe caratterizzato dalla durata determinata, ed inoltre dal fatto che essi esercitano le predette funzioni solo occasionalmente ed in modo non esclusivo. Anche l’ingresso dell’ordine giudiziario dei magistrati onorari avviene attraverso un concorso, che però si svolge in modo molto diverso rispetto a quello con cui vengono reclutati i magistrati professionali.
4.2. Richiamando la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, la difesa erariale ha rammentato che il rapporto che si instaura con la magistratura onoraria è caratterizzato per il fatto che la scelta del funzionario onorario ha natura politico-discrezionale, che il relativo inserimento nell’apparato organizzativo della pubblica amministrazione non è strutturale, ma transitorio; che il compenso eventualmente corrisposto al funzionario ha natura indennitaria e non retributiva; e che la relativa disciplina è contenuta solo nell’atto di conferimento dell’incarico, e non già in un apposito statuto.
4.3. La difesa erariale ha anche rilevato che con la riforma della magistratura onoraria attuata con la legge di delega n. 57/2016 e con il D. L.vo 116/2017 lo Stato italiano ha inteso porre rimedio ad una serie di rilievi sollevati dalla Commissione Europea, che aveva preannunciato l’apertura di un procedimento di infrazione contro l’Italia per verificare la compatibilità con il diritto dell'Unione europea della disciplina nazionale che regolava il servizio prestato dai magistrati onorari, in materia di reiterazione abusiva di contratti a termine e di disparità di trattamento in materia di retribuzione (con riferimento alla clausola 5 dell'Accordo Quadro recepito dalla Direttiva 1999/70/CE), di ferie (con riferimento all’art. 7, Direttiva 2003/88 in combinato disposto con la clausola 4 dell'Accordo Quadro recepito dalla Direttiva 1999/70/CE) e di congedo di maternità (con riferimento all’art. 8, Direttiva 92/85 e art. 8, Direttiva 2010/41). Il D. L.vo 117/2017, pur recependo le sopra indicate istanze, ha però escluso la “stabilizzazione” senza concorso dei magistrati onorari, che sarebbe risultata illegittima per violazione dell’art. 106 della Costituzione, norma che risponde all’esigenza di evitare che la nomina dei magistrati avvenga all’interno del circuito politico, e di assicurarne la soggezione solo alla legge, l’autonomia e l’indipendenza.
4.4. La “stabilizzazione” dei magistrati onorari, sia mediante inclusione nei ruoli dei giudici togati, sia mediante l’assunzione a tempo indeterminato in una diversa qualifica, comporterebbe dunque uno snaturamento dell’ordine giudiziario, e proprio per tale ragione il legislatore delegato ha ritenuto, su conforme parere del Consiglio di Stato, di dover escludere tale soluzione, nel dare attuazione alla legge n. 57/2016, pur cogliendo l’invito a individuare e regolare un regime previdenziale e assistenziale compatibile con la natura onoraria dell'incarico.
4.5. Richiamando un ampio stralcio della sentenza del Consiglio di Stato n.1326/2020, la difesa erariale ha quindi argomentato la legittimità costituzionale delle norme contenute nella legge di delega n. 57/2016, anche con riferimento alla Carta sociale europea, la quale Carta si porrebbe, essa stessa, in contrasto con l’art. 106 della Costituzione.
4.6. La difesa erariale, infine, ha rilevato che anche la recente pronunzia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 16 luglio 2020, resa nella causa C-658/18, avrebbe riconosciuto la legittimità dell’apposizione di un termine al rapporto di lavoro dei giudici di pace.
5. Il ricorso, dopo ulteriore scambio di memorie, è stato chiamato e trattenuto in decisione all’udienza del 9 giugno 2021.
Motivi della decisione
6. Prima di procedere con la disamina delle domande formulate dai ricorrenti, il Collegio ritiene opportuno rammentare che le controversie di pubblico impiego devolute alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo per definizione hanno ad oggetto rapporti di pubblico impiego che ancora oggi sono disciplinati da norme di legge, e che si costituiscono mediante provvedimenti amministrativi unilaterali, espressivi di potestà pubblicistiche, a mezzo dei quali un soggetto, individuato con apposita procedura selettiva, è formalmente nominato e incardinato nell’apparato della pubblica amministrazione. Trattasi, come noto, dei c.d. rapporti di lavoro di pubblico impiego “non privatizzato”, il cui perfezionamento e la cui disciplina non trovano origine in un contratto di lavoro.
7. Come noto, invece, i rapporti di pubblico impiego “privatizzato”, che – all’opposto – si perfezionano con la conclusione di un contratto di lavoro, che al tempo stesso è anche fonte della disciplina del rapporto di lavoro, sono devoluti alla giurisdizione del Giudice Ordinario, che ha il potere, secondo quanto precisato dall’art. 63 del D. L.vo 165/2001, di accertare il diritto all’assunzione con pronunce alle quali la legge attribuisce anche effetto costitutivo del rapporto di lavoro. Tale potere, riconosciuto al Giudice Ordinario, è coerente e compatibile con la natura “privatizzata” del rapporto di lavoro, il quale si perfeziona solo per effetto della specifica e concorde manifestazione di volontà espressa dalle parti, volontà che ha carattere negoziale e che proprio perciò all’occorrenza può essere espressa anche dal Giudice Ordinario, in sostituzione dell’Amministrazione.
8. All’opposto, a corollario di quanto s’è detto relativamente alle controversie di pubblico impiego “non privatizzato”, il Giudice Amministrativo non può emettere sentenze costitutive del rapporto di lavoro, ma può solo, quando in giudizio sia stata dimostrata la ricorrenza di tutte le condizioni in presenza delle quali la pubblica amministrazione può ritenersi obbligata a dare corso al rapporto di lavoro, ordinare all’Amministrazione di adottare gli atti amministrativi a ciò necessari, eventualmente nominando, a tale scopo, un commissario ad acta.
9. Per venire al caso di specie occorre rilevare che i ricorrenti hanno chiesto a questo Tribunale di riconoscere, relativamente al periodo di tempo in cui ciascuno di essi ha svolto le funzioni di Giudice di Pace, la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze del Ministero della Giustizia, alle stesse condizioni giuridiche, economiche, previdenziali ed assistenziali, dei magistrati ordinari.
10. Con tale domanda i ricorrenti hanno in sostanza chiesto al Tribunale di emettere una pronuncia che accerti e costituisca in loro favore, e con effetto retroattivo, un rapporto di lavoro a tempo indeterminato equiparabile a quello dei magistrati ordinari, e con ciò facendo essi hanno, in pratica, reclamato lo status di magistrato ordinario.
11. La domanda, sulla quale astrattamente il Giudice Amministrativo esercita giurisdizione esclusiva, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. i c.p.a., non può essere accolta, essendo pacifico e indiscusso che i ricorrenti sono stati nominati Giudici di Pace all’esito di un procedimento che nulla ha a che vedere con quello finalizzato alla nomina dei magistrati ordinari, a partire dal fatto che essi non hanno sostenuto il concorso specificamente previsto per l’accesso alla magistratura, attualmente disciplinato dal Capo I del D. L.vo 160/2006, e prima di esso dagli artt. 121 e segg. del R.D. n. 12/1941. E’ dunque evidente che non sussistono le condizioni minime affinché il Collegio possa ritenere la sussistenza di un obbligo, per il Ministro della Giustizia, di nominare i ricorrenti magistrati ordinari, con effetto retroattivo al momento della rispettiva nomina, e quindi per ordinare al Ministro medesimo di adottare gli atti a ciò necessari.
12. Vale la pena sottolineare che la domanda formulata dai ricorrenti, qualificata come domanda finalizzata ad ottenere, con effetto retroattivo, lo status di magistrato ordinario - sia pure al solo fine di reclamare differenze retributive e/o indennizzi sostitutivi di ferie non godute, di assenze per malattia, di contributi previdenziali non versati o del trattamento di fine rapporto- non mette in discussione la legittimità delle norme che disciplinano tale status; siffatta domanda, piuttosto, contesta l’inquadramento dato all’attività dei ricorrenti, sul presupposto che quest’ultima avrebbe dovuto essere inquadrata secondo lo statuto dei magistrati ordinari: ma allora i ricorrenti, assolvendo all’onere probatorio pieno su di essi gravante, discendente anche dalla natura della situazione di vantaggio fatta valere in giudizio (id est: diritto soggettivo), avrebbero dovuto dimostrare la sussistenza di tutte le condizioni legittimanti per l’accesso in magistratura, cosa che invece non hanno fatto e che non è loro possibile.
13. I vari argomenti spesi dai ricorrenti, che enfatizzano la contrarietà al diritto europeo del trattamento riservato dallo Stato italiano ai Giudici di Pace ed ai magistrati onorari, non rilevano nella presente sede, dal momento che per accedere alla richiesta dei ricorrenti il Collegio dovrebbe disapplicare, non già le norme che disciplinano lo status dei Giudici di Pace e dei magistrati onorari, quanto piuttosto quelle che disciplinano l’accesso alla magistratura ordinaria, e tra esse quelle che prevedono il superamento delle prove concorsuali, scritte e orali, disciplinate prima dal R.D. n. 12/1941 e oggi dal D. L.vo 160/2006: il Collegio, in sostanza, a fronte del fatto che i ricorrenti non possono esibire il superamento del citato, specifico, concorso, dovrebbe affermare, per accogliere il ricorso, che quello specifico concorso non sia essenziale per il reclutamento dei magistrati e per lo svolgimento delle funzioni giudiziarie, e per tale ragione può prescindere dalla verifica di tale requisito al fine di inquadrare il rapporto intercorrente tra i ricorrenti ed il Ministero della Giustizia.
14. Il Collegio, tuttavia, non ritiene assolutamente praticabile l’indicata soluzione, che si risolverebbe nella vera e propria disapplicazione di norme, relative all’accesso alla magistratura ordinaria, che sino ad ora non sono state fatte oggetto di esame e di censura da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea: si ribadisce, a tale proposito, che le pronunce invocate dai ricorrenti hanno esaminato le norme che disciplinano lo status dei Giudici di Pace e dei magistrati onorari, ma non anche le norme che disciplinano l’accesso alla magistratura ordinaria, della cui conformità al diritto europeo non v’è allo stato ragione per dubitare.
15. Né, peraltro, v’è ragione di dubitare della legittimità costituzionale delle norme che disciplinano l’accesso alla magistratura ordinaria, prevedendo la necessità di superare il concorso di cui s’è detto: ciò per le ragioni ben evidenziate dalla difesa erariale, e cioè per la necessità di assicurare, in conformità a quanto previsto dall’art. 106, comma 1, della Costituzione, che la nomina dei magistrati sia legata solo al riscontro dell’elevata professionalità, ed avvenga in modo indipendente dal circuito della politica.
16. Per le ragioni dianzi esposte la domanda formulata in principalità dai ricorrenti, qualificata come innanzi precisato, va senz’altro respinta.
17. E va anche respinta la domanda formulata dai ricorrenti in via subordinata, finalizzata al riconoscimento di un risarcimento per equivalente: tale domanda, formulata in modo generico e non adeguatamente illustrata negli scritti, deve intendersi fondata sulla medesima causa petendi della domanda principale, ovvero sul preteso diritto dei ricorrenti a vedersi riconoscere retroattivamente lo status di magistrato ordinario, e pertanto va respinta per le medesime ragioni illustrate nei paragrafi che precedono.
18. Non si può sottacere, peraltro, che le domande formulate con il ricorso introduttivo del giudizio possono essere interpretate anche nel senso che i ricorrenti reclamano uno status non sussumibile in quello della magistratura ordinaria ma comunque tale da comportare, per lo Stato italiano, l’obbligo di inquadrarli nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico dipendente a tempo indeterminato, diverso da quello dei magistrati ordinari, ma comunque equiparabile al fine di determinare il trattamento economico, assistenziale e previdenziale: la giurisdizione su una simile domanda, che in pratica tende al riconoscimento di un rapporto di lavoro pubblico subordinato atipico, non può ritenersi devoluta al Giudice Amministrativo, essendo tassative le controversie di pubblico impiego, non privatizzato, devolute alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo (indicate all’art. 3 del D. L.vo 165/2001), ed essendo, in generale, le ipotesi di giurisdizione esclusiva di stretta interpretazione, derogando al criterio generale che indica il Giudice Ordinario come il giudice dei diritti.
19. Con riferimento a tale domanda deve quindi essere disposta la translatio judicii al Giudice Ordinario, senza obbligo di darne preventivo avviso alle parti ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a., tenuto conto che l’art. 25, comma 2, del D.L. n. 137/2020 stabilisce che nel periodo intercorrente tra il 9 novembre 2020 ed il 31 luglio 2021 le cause passano in decisione sulla base degli scritti “omesso ogni avviso”.
19. Le spese relative alla presente fase giudiziale possono essere compensate in ragione della complessità e novità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede:
- respinge le domande formulate con il ricorso introduttivo del giudizio nella parte in cui hanno ad oggetto il riconoscimento, in favore dei ricorrenti, dello status di magistrato ordinario;
- visto l’art. 11 c.p.a. accerta e dichiara il difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo sulle domande formulate nel ricorso di cui in epigrafe nella parte in cui hanno ad oggetto il riconoscimento, in favore dei ricorrenti, dello status, diverso da quello di magistrato ordinario, di pubblico dipendente a tempo indeterminato;
- rimette le parti avanti al competente Tribunale Civile per la trattazione delle domande indicate al capo che precede, avanti al quale la causa dovrà essere riassunta entro il termine perentorio di mesi tre dal passaggio in giudicato della presente decisione, pena, in difetto, l’estinzione degli effetti processuali e sostanziali delle domande formulate nel corso del presente giudizio.
Spese della presente fase compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.