Non è necessario che il giudice disponga una perizia per accertare la natura della sostanza stupefacente, poiché ciò si rende necessario solo qualora occorra valutare l'entità o l'indice dei principi attivi contenuti nei reperti.
La Corte d'Appello di Napoli confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Nola all'esito del giudizio abbreviato, con la quale l'imputato era stato riconosciuto responsabile del reato di detenzione a fine di cessione della sostanza stupefacente denominata “shaboo”.
Contro tale decisione, propone ricorso per cassazione l'imputato, tramite difensore, il quale innanzitutto rammenta di avere chiesto nei motivi di appello la riqualificazione del reato in fatto di lieve entità, richiesta ritenuta inammissibile dal Giudice per genericità; inoltre, lo stesso afferma l'irrilevanza della condotta contestata e l'erronea omissione di una perizia sulla sostanza, sulla quale era stato effettuato solamente un narcotest.
Con la sentenza n. 33988 del 15 settembre 2021, la Corte di Cassazione dichiara il ricorso manifestamente infondato, affermando che è principio ormai pacifico quello secondo cui il narcotest può essere sufficiente ai fini dell'accertamento della natura della sostanza stupefacente e, dunque, per condannare l'imputato. Ciò si spiega poiché il giudice può comunque attingere conoscenza da fonti differenti, senza la necessità di disporre una perizia. Quest'ultima, infatti, si rende necessaria laddove occorra valutare l'entità o l'indice dei principi attivi contenuti nei reperti.
Ciò posto, la Corte rileva che nel caso di specie era stato celebrato il giudizio abbreviato, attraverso il quale erano stati accertati elementi di prova raccolti solamente nel corso delle indagini del P.M., rinunciando al vaglio dibattimentale nel quale sarebbero potuti emergere elementi favorevoli all'imputato. In tal senso, gli Ermellini richiamano la motivazione oggetto della decisione del GUP, la quale afferma che il narcotest è un mezzo idoneo ad indicare il peso e la natura della sostanza ma non la percentuale di purezza, l'efficacia drogante e le dosi che in media possono essere ricavate; tuttavia, nel caso di specie è evidente che «questo dato va valutato in uno alle modalità dell'azione (si tratta di una detenzione domestica a fini di spaccio da parte di un soggetto già con precedenti di polizia per reati di spaccio e al momento del fatto sottoposto a misura cautelare detentiva in altro procedimento per reati analoghi), al dato ponderale non esiguo (trattandosi di anfetamine dalla notoria pericolosità), alla sussistenza di mezzi di confezionamento in grandi quantità (ben trecento bustine, oltre al misuratore e al bilancino), tutti elementi che non possono portare a ritenere la qualificazione del fatto di lieve entità».
Ciò posto, gli Ermellini sottolineano che la soluzione sarebbe stata differente nel caso in cui l'unico indice da considerare fosse stata la quantità netta della sostanza, non potendo in tal caso prescindere dalla valutazione dell'entità del principio attivo presente nel reperto.
Segue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1.La Corte di appello di Napoli il 23 ottobre 2020 ha integralmente confermato la sentenza, appellata dall'imputato, con cui il Tribunale di Nola il 20 febbraio 2020, all'esito del giudizio abbreviato, ha riconosciuto C.J. responsabile del reato di detenzione a fine di cessione di stupefacente sintetico del tipo anfetamina denominato "shaboo", fatto - qualificato come violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, - commesso il (omissis), e, in conseguenza, lo ha condannato, con le attenuanti generiche ed applicata la diminuente per il rito, alla pena stimata di giustizia.
2. Ricorre "per la cassazione della sentenza l'imputato, tramite difensore, affidandosi ad un solo, complessivo, motivo, con il quale denunzia violazione di legge (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5).
Rammentato di avere nei motivi di appello chiesto, in subordine, la riqualificazione del reato in fatto di lieve entità ma che tale richiesta è stata - in maniera che stima essere illegittima - ritenuta inammissibile per genericità da parte della Corte di merito (p. 7), afferma la irrilevanza penale della condotta contestata all'imputato e la erroneità della omissione di una perizia sulla sostanza, su cui è stato effettuato soltanto un narcotest, poichè non si conosce l'effettivo principio attivo contenuto.
Si richiama l'orientamento della S.C. secondo cui "Se (...) per stabilire l'effettiva natura stupefacente di una determinata sostanza è sufficiente il narcotest, senza che sia indispensabile far ricorso ad una perizia chimica tossicologica, tale ultimo accertamento tecnico è necessario, invece, ove occorra valutare l'entità o l'indice dei principi attivi contenuti nei reperti (Sez. 3, n. 22498 del 17/03/2015, Rv. 263784) e il giudice non possa attingere tale conoscenza anche da altre.fonti di prova acquisite agli atti (Sez. 4, n. 22238 del 29/01/2014, Rv. 259157; Sez. 6, n. 43226 del 26/09/2013, Rv. 257462)" (così al punto n. 3 del "considerato in diritto", p. 3, della sentenza di Sez. 6, n. 18405 del 07/02/2017, Spilotros Cosino, non mass.).
Richiamata la nozione di "piccolo spaccio" elaborata dalla giurisprudenza di legittimità, sottolinea i seguenti elementi che assume essere rilevanti: mancanza di conoscenza, nel caso di specie, di quante dosi si sarebbero potute ricavare e necessità, comunque, di fare applicazione del canone del favor rei; destinazione, almeno parziale, al consumo personale, come si ricaverebbe dall'essere stato trovato in casa un misurino sporco di sostanza, indizio - si afferma - di previa assunzione di droga da parte dell'imputato; rinvenimento nel corso della perquisizione solo di banconote false, ergo: mancanza di guadagni da parte di C.J.; carattere rudimentale dell'attività svolta; assenza di elementi indicativi di un rapporto tra l'imputato ed ipotetici acquirenti.
3. Il P.G. della S.C. di cassazione nelle conclusioni scritte del 10 maggio 2021 (ex D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, convertito, con modificazioni, nella L. 18 dicembre 2020, n. 176) ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è manifestamente infondato, per le seguenti ragioni.
1.1. Si promette che è principio pacifico, più volte affermato dalla Corte di legittimità, quello secóndo cui il c.d. narcotest può essere sufficiente per accertare la natura della sostanza e, dunque, per condannare (non solo per applicare -una misura cautelare: cfr., da ultimo, Sez. 4, n. 22652 del 04/04/2017, Morabito, Rv. 270486-01), potendo il giudice attingere conoscenza da diverse fonti (ad esempio, la confessione dell'imputato), senza necessitò di disporre perizia: v. infatti, tra le altre, Sez. 3, n. 15137 del 15/02/2019, Rohani Nertil, Rv. 275968-02; Sez. 6, n. 47523 del 29/10/2013, P.M. in proc. EI Maddahi, Rv. 257836-01; Sez. 6, n. 43226 del 26/09/2013, Hu; Rv. 257462-01).
1.2. Ed è indubitabile che la Corte di legittimità ha affermato che, poichè il narcotest non fornisce la prova della quantità del principio attivo contenuto (Sez. 6, n. 6069 del 16/12/2016, dep. 2017, Corvino e altro, Rv. 269007-01), a tal fine occorre esperire una consulenza o una perizia ("Per stabilire l'effettiva natura stupefacente di una determinata sostanza è sufficiente il narcotest, senza che sia indispensabile far ricorso ad una perizia chimica tossicologica, che è necessaria, invece, ove occorra valutare l'entità o l'indice dei principi attivi contenuti nei reperti": così infatti Sez. 3, n. 22498 del 17/03/2015, Ristucchi e altri, Rv. 263784-01, che è richiamata dalla sentenza citata alla p. 2 del ricorso).
1.3. Occorre, tuttavia, tenere conto che nel caso di specie si è celebrato il giudizio abbreviato richiesto dalla difesa, che ha accettato gli elementi di prova raccolti unilateralmente nel corso delle indagini dal P.M., rinunciando al vaglio dibattimentale nel corso del quale ben avrebbe potuto far emergere elementi favorevoli all'imputato (cfr. Sez. 4, n. 18945 del 26/01/2021, Oboh Daniel, non mass., punto n. 1.3. del "considerato in diritto", p. 3).
1.4. Ciò posto, risulta in ogni caso tranciante il seguente rilievo.
La sentenza impugnata, nel disattendere le doglianze difensive, richiama espressamente (p. 3) la motivazione di quella di primo grado; essendosi in presenza di doppia conforme, le due decisioni di, merito vanno lette congiuntamente, integrandosi a vicenda, poichè, secondo il tradizionale e risalente insegnamento della S.C., da cui non vi è ragione alcuna di discostarsi, "Il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile" (v. già Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145; in conformità, tra le numerose altre, Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano ed altri, Rv. 224079; Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, Zanotti ed altri, Rv. 225671 sino alla più recente Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore e altro, Rv. 266617).
Ebbene, la decisione del G.u.p. prende espressamente atto della circostanza che il narcotest è strumento idoneo ad indicare il peso e la natura della sostanza ma non già la percentuale di purezza, l'efficacia drogante e le dosi medie ricavabili (p. 7) ma rileva, tuttavia, che "nel caso di specie questo dato va valutato in uno alle modalità dell'azione (si tratta di una detenzione domestica a fini di spaccio da parte di un soggetto già con precedenti di polizia per reati di spaccio e al momento del fatto sottoposto a misura cautelare detentiva in altro procedimento per reati analoghi), al dato ponderale non esiguo (complessivamente di circa 10 grammi di shaboo detenuto), alla tipologia di sostanza (trattandosi di anfetamine dalla notoria pericolosità), alla sussistenza di mezzi di confezionamento in grandi quantità (ben trecento bustine, oltre al misuratore ed al bilancino), tutti elementi che non possono portare a ritenere la qualificazione del fatto di lieve entità" (cosi alla p. 8).
Si tratta di motivazione che risulta non incongrua nè illogica, basata su una pluralità di circostanze di fatto, valutate congiuntamente, con le quali nè l'impugnazione di merito, prima (cfr. appelli sia dell'avv. Felice Benedice che dell'avv. Angelo Bianco), nè il ricorso, poi, si confrontano specificamente.
Il ragionamento dei giudici di merito, peraltro, è in linea con quanto già da tempo precisato e anche recentemente ribadito dalle Sezioni Unite della S.C., e cioè che l'accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076-01; Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera ad altri, Rv. 216668-01).
Differente sarebbe la soluzione da offrirsi ove l'unico indice da considerare fosse la quantità netta (ed ii principio attivo) della sostanza stupefacente, poichè, come si è già - assai condivisibilmente - puntualizzato, "Ai fini dell'esclusione della fattispecie del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, nell'ipotesi in cui l'unico indice ostativo sia costituito dal dato ponderale della sostanza stupefacente non si può prescindere dalla valutazione dell'entità del principio attivo presente nel reperto (Nella fattispecie la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza impugnata che aveva escluso il fatto di lieve entità limitandosi a fare riferimento al quantitativo lordo dello stupefacente detenuto, pari a 295 grammi di cocaina)" (Sez. 4, n. 24-509 del 09/05/2018, Pititto, Rv. 272942-01).
2.Consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Non ravvisandosi, ex art. 616 c.p.p., assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Costituzionale, sentenza n. 186 del 13 giugno 2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese consegue anche quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, che si stima conforme a diritto ed equa, indicata in dispositivo.
3. Motivazione semplificata, dovendosi fare applicazione nel caso di specie di principi giuridici già reiteratamente affermati dalla Corte di legittimità e condivisi dal Collegio, ricorrendo nel caso di specie le condizioni di cui al decreto n. 84/2016 del.Primo Presidente della Corte di cassazione dell'8 giugno 2016.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuale e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
Motivazione semplificata.