
Per la Cassazione anche il registro del professore è un atto pubblico, pertanto la sua alterazione ingiustificata integra il reato di falso ideologico.
La Corte d'Appello di Milano confermava la sentenza di primo grado con cui veniva condannata una docente per aver modificato, nell'esercizio delle sue funzioni, i voti già attribuiti ad una alunna nel registro elettronico di classe.
Contro tale decisione, la docente propone ricorso per cassazione, sostenendo che il registro del professore non potesse essere qualificato né come atto pubblico fidefacente poiché privo di una espressa previsione normativa in tal senso, né come atto pubblico informatico.
Con la sentenza n. 34479 del 16 settembre 2021, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la Corte ribadisce quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale il registro personale del professore è un atto pubblico, in quanto dimostra le attività compiute dal pubblico ufficiale che lo redige.
Inoltre, in materia di falso ideologico in atto pubblico, un recente orientamento sostiene che «il registro di classe e il registro dei professori costituiscono atti pubblici di fede privilegiata, in relazione a quei fatti che gli insegnanti di una scuola pubblica o ad essa equiparata, cui compete la qualifica di pubblici ufficiali, attestano essere avvenuti in loro presenza o essere stati da loro compiuti».
La Corte ritiene infondata anche la censura relativa all'impossibilità di qualificare il registro del professore come “documento informatico pubblico avente efficacia probatoria”
Sulla questione, la Cassazione menziona la
Sebbene l'
In tema di efficacia probatoria, gli Ermellini riprendono quanto stabilito dal CAD, in forza del quale anche i documenti informatici privi di firma elettronica qualificata o avanzata hanno valenza probatoria.
Alla luce di quanto sopra esposto, la Cassazione qualifica il registro del professore come documento informatico.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Milano confermava la sentenza con cui il tribunale di Milano, in data 6.2.2018, aveva condannato M.M.G. alla pena ritenuta di giustizia e al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita parte civile T.F., in relazione al delitto di cui agli artt. 476 e 81 c.p. in rubrica a lei ascritto.
Alla M. si contesta che "in due distinte occasioni e in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in qualità di docente di Scienze Umane dell'Istituto Superiore (OMISSIS) e nell'esercizio delle relative funzioni", ha fatto accesso "al registro elettronico di classe in prossimità degli scrutini, modificando i voti già attribuiti all'alunna T.F. c. (OMISSIS), in particolare modificando dapprima il voto dell'unica verifica scritta effettuata da 4,5/10 a 4/10, quindi il voto dell'unica verifica orale svolta da 7/10 a 6/10, con ciò alterando un atto vero.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l'imputata, a mezzo del suo difensore di fiducia, lamentando: 1) violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all'art. 476 c.p., avendo la corte territoriale errato nel qualificare il registro del professore un atto pubblico fidefacente, in assenza di una espressa previsione normativa; 2) violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla D.Lgs. n. 82 del 2005, artt. 21 e 23 ter, artt. 476 e 491 bis c.p., in quanto la corte territoriale ha omesso di considerare che le caratteristiche tecniche del registro elettronico in uso all'Istituto (OMISSIS) non lo rendono un atto pubblico informatico; 3) violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all'art. 476 c.p., non avendo considerato, la corte territoriale, che nel caso in esame i criteri di valutazione delle prove degli alunni da parte della docente sono determinati discrezionalmente da quest'ultima, con la conseguenza che la sua attività di giudizio e le conseguenti valutazioni trasfuse nel documento che contiene detto giudizio, sia esso una prova scritta o sia il registro del professore su cui si annotano gli esiti delle prove, non possono essere destinate a provare alcun fatto, con conseguente impossibilità di configurare a carico della M. la fattispecie di reato per cui si procede; 4) violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di cui si discute; 5) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
3. Con requisitoria scritta del 17.5.2021, depositata sulla base della previsione del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, che consente la trattazione orale in udienza pubblica solo dei ricorsi per i quali tale modalità di celebrazione è stata specificamente richiesta da una delle parti, il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione chiede che il ricorso venga rigettato, previa riqualificazione della condotta dell'imputata nei termini di cui all'art. 491 bis c.p..
Con conclusioni scritte pervenute a mezzo posta certificata il 28.5.2021, l'avv. Monica Barbara Gambirasio, difensore di fiducia della T., chiede che venga confermata la sentenza di secondo grado, con condanna della ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalla parte civile costituita, allegando relativa nota spese.
4. Il ricorso va rigettato perchè fondato su motivi in larga parte infondati.
5. Preliminarmente va premesso come risulti incontestato che l'alterazione addebitata alla M. sia stata effettuata sul registro elettronico di classe, in cui, grazie ai dati contenuti nella copia di salvataggio dell'archivio dell'istituto scolastico di cui in premessa, con riferimento alla materia d'insegnamento dell'imputata e all'alunna T., risultavano essere stati inseriti, per la prova scritta, due voti, un "sette", inserito il 23 maggio alle ore 9,59, e un "sei", inserito l'8 giugno alle ore 18.42; per la prova orale, un "4,5", inserito il 6 maggio alle ore 00.33 e un "4", inserito in data 6 giugno, alle ore 00.26 (cfr. p. 5 della sentenza di secondo grado).
6. Ciò posto manifestamente infondato appare il primo motivo di ricorso, incentrato sulla dedotta diversità tra il registro di classe e quello del professore, sostenendo il ricorrente la tesi che solo il primo, disciplinato dal R.D. n. 965 del 1925, art. 41, ha rilevanza giuridica indiscussa quale atto pubblico, mentre il registro del professore, non oggetto di specifica disciplina normativa, non avendo alcuna rilevanza giuridica non può essere considerato un atto pubblico, atteggiandosi esso semplicemente come "uno strumento di promemoria del docente, con lo scopo di supportare più agevolmente la sua funzione didattico-educativa e valutativa".
Come da tempo affermato dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, il registro personale del professore è espressamente previsto dal R.D. 30 aprile 1924, n. 965, art. 41 con l'indicazione di "giornale di classe": esso deve essere tenuto da ogni professore ed è diverso dal diario di classe che riguarda l'intera classe e sul quale "si succedono" le attestazioni dei professori delle varie materie che espletano i loro compiti in quel giorno, registro in dotazione obbligatoria a ciascuna classe e incontestabilmente atto pubblico. Nel giornale di classe debbono essere registrati "...i voti, la materia spiegata, gli esercizi assegnati e corretti, le assenze e le mancanze degli alunni": è quindi indiscutibile la natura di atto pubblico di tutte le attestazioni di cui sopra riguardanti "attività compiute dal pubblico ufficiale che redige l'atto di fatti avvenuti alla sua presenza o da lui percepiti"; natura che si ricava anche sotto il profilo di attestazioni rilevanti ed anzi essenziali nel procedimento amministrativo diretto al risultato dello scrutinio finale e della produzione di effetti rispetto a situazioni soggettive di rilevanza pubblicistica, quali il conseguimento del titolo di studio riconosciuto valido nell'ordinamento giuridico statale. Risponde pertanto di falso in atto pubblico il professore che attesti falsamente fatti riportati nel registro "giornale di classe" (cfr. Cass., Sez. 5, n. 12862 del 21/09/1999, Rv. 214890).
Il registro personale del professore, sul quale devono essere annotati la materia spiegata, gli esercizi assegnati e corretti, le assenze e le mancanze degli alunni, i voti dagli stessi riportati, è, pertanto, atto pubblico, in quanto attesta attività compiute dal pubblico ufficiale che lo redige, con riferimento a fatti avvenuti alla sua presenza o da lui percepiti (cfr. Cass., Sez. 5, n. 12726 del 06/11/2000, Rv. 218547).
Principi ribaditi anche da un più recente arresto, secondo cui in tema di falso ideologico in atto pubblico, aggravato ex art. 476 c.p., comma 2, il registro di classe e il registro dei professori costituiscono atti pubblici di fede privilegiata, in relazione a quei fatti che gli insegnanti di una scuola pubblica o ad essa equiparata, cui compete la qualifica di pubblici ufficiali, attestano essere avvenuti in loro presenza o essere stati da loro compiuti (cfr. Cass., Sez. 5, n. 14486 del 21/02/2011, Rv. 249858).
7. Infondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente deduce l'impossibilità di considerare il registro del professore un "documento informatico pubblico avente efficacia probatoria", conformemente alla previsione di cui all'art. 491 bis c.p. ("Se alcuna delle falsità previste dal presente capo riguarda un documento informatico pubblico o privato avente efficacia probatoria, si applicano le disposizioni del capo stesso concernenti rispettivamente gli atti pubblici e le scritture private"), cui, a suo giudizio, va ricondotta la fattispecie concreta in esame, potendosi considerare tale solo quello sottoscritto con firma elettronica qualificata ovvero con firma digitale.
Ed invero, rileva la ricorrente, ai fini della validità di qualsiasi documento informatico è necessario che esso venga sottoscritto dal pubblico ufficiale con una firma digitale, come previsto dall'art. 21 comma 2, del codice dell'amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82 del 2005), le cui disposizioni attribuiscono ai documenti informatici valore probatorio privilegiato solo nel caso in cui ad essi sia apposta la firma digitale, il che non era previsto nei registri elettronici in uso all'Istituto (OMISSIS), ai quali si poteva accedere semplicemente tramite il nome dell'utente, digitando la password attribuita a ogni singolo docente.
Orbene, se da un lato va condivisa la riconducibilità della condotta della M. al paradigma normativo, di cui all'art. 491 bis c.p. (sostenuta anche dal pubblico ministero nella sua requisitoria scritta), apparendo evidente, per le ragioni che si diranno in seguito, che il registro del professore di cui si discute è un documento informatico avente efficacia probatoria, le conseguenze che la ricorrente pretende di trarre da tale diversa qualificazione giuridica non sono condivisibili.
Ed invero, la norma di cui si discute, introdotta dalla L. 23 dicembre 1993, n. 547, ha inserito nel sistema penale la fattispecie del falso informatico, vale a dire della falsificazione di documenti informatici.
Come è stato osservato, la ratio legis di tale previsione normativa va individuata nella "tutela della fede pubblica attraverso la salvaguardia del documento informatico nella sua valenza probatoria. La lesione o la messa in pericolo del bene tutelato, infatti, si realizzano solo quando la falsificazione introduce falsamente e fa venir meno la prova in ordine a un dato o informazione contenuto nel documento".
Il disposto dell'art. 491 bis c.p., non contiene una definizione di "documento informatico pubblico o privato", ma essa può facilmente desumersi dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 1, lett. p), (Codice dell'amministrazione digitale), secondo cui deve intendersi per documento informatico "la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti".
Come è stato rilevato in dottrina, con condivisibile argomentare, l'art. 491 bis c.p., "attribuisce la natura di documento informatico a qualsiasi specie di supporto, che contenga dati, informazioni e relativi specifici programmi di elaborazione. Il documento informatico, quindi, costituisce nient'altro che un documento codificato nel quale la rappresentazione dell'informazione, dato o programma, può essere letto", come appunto nel caso del registro del professore utilizzato dalla M., solo con un particolare apparato di visualizzazione o di decodificazione, costituendo una entità funzionale inscindibile tra supporto fisico e bit".
La rilevanza penale della falsificazione del documento informatico è subordinata alla funzione cui è destinato il documento stesso o, per meglio dire, i dati, le informazioni o i programmi in esso contenuti, essendo punita solo la falsificazione di quei documenti informatici, pubblici o privati, che abbiano una funzione probatoria.
Orbene la fallacia della tesi difensiva consiste nel ritenere che gli unici documenti informatici pubblici aventi efficacia probatoria, a partire dal 2005, siano solo quelli sottoscritti da un pubblico ufficiale con firma digitale.
Tale interpretazione, tuttavia, non trova conferma nel contenuto delle disposizioni del Codice dell'amministrazione digitale specificamente dedicate ai documenti informatici e, in particolare, in quelle concernenti la validità e l'efficacia probatoria di tali documenti (cfr. artt. 20, 21, 22 e 23), secondo cui i documenti informatici ai quali sia apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata, sono dotati di un'efficacia probatoria privilegiata, senza, però, che ciò escluda l'efficacia probatoria di quei documenti, che, pur potendosi definire "informatici" sulla base della previsione del citato D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 1, lett. p), non sono dotati delle menzionate modalità informatiche di sottoscrizione, come appunto il registro del professore, sulla cui natura di atto pubblico si è già detto, la cui efficacia probatoria può, dunque, formare oggetto di libera valutazione da parte del giudice (cfr. D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 20, comma 1-bis).
In questa prospettiva non appare revocabile in dubbio che il registro del professore tenuto con modalità informatiche, come quello in uso presso l'istituto (OMISSIS), rientri nella nozione di atto pubblico rilevante ai fini dell'integrazione dei reati in materia di falso in atto pubblico.
Per orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, infatti, devono considerarsi atti pubblici dotati di efficacia probatoria anche gli atti cosiddetti interni, ovvero quelli destinati ad inserirsi nel procedimento amministrativo, offrendo un contributo di conoscenza o di valutazione, nonchè quelli che si collocano nel contesto di una complessa sequela procedimentale - conforme o meno allo schema tipico ponendosi come necessario presupposto di momenti procedurali successivi.
Ciò in quanto anche gli atti interni possono avere valenza probatoria in relazione all'attività compiuta dal pubblico ufficiale, attività che si pone come necessario passaggio di un più complesso ed articolato "iter" amministrativo (cfr. Cass., Sez. 5, n. 7295 del 14/05/1997, Rv. 208599; Cass., Sez. 5, n. 14486 del 21/02/2011, Rv. 249858).
Tali caratteristiche si rinvengono nel registro del professore, in quanto, come si è già detto, esso contiene attestazioni rilevanti ed anzi essenziali nel procedimento amministrativo diretto al risultato dello scrutinio finale e della produzione di effetti rispetto a situazioni soggettive di rilevanza pubblicistica, quali il conseguimento del titolo di studio riconosciuto valido nell'ordinamento giuridico statale (cfr. Cass., Sez. 5, n. 12862 del 21/09/1999, Rv. 214890).
Non a caso, del resto, in applicazione di tali principi, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che integra il reato di falso ideologico commesso dal privato su documento informatico pubblico, la condotta di colui che inserisca dati relativi al superamento di esami mai sostenuti su un supporto informatico, concernente il proprio curriculum universitario, che abbia funzione vicaria dell'archivio dell'Università e, pertanto, destinazione potenzialmente probatoria, quanto meno provvisoria, considerato che, ai fini della configurazione del reato in questione, l'art. 491 bis c.p., equipara espressamente il supporto informatico a quello cartaceo (cfr. Cass., Sez. 5, n. 15535 del 06/03/2008, Rv. 239485).
8. Infondato deve ritenersi il terzo motivo di ricorso, perchè il giudizio operato dalla professoressa M. non rappresenta una valutazione assolutamente discrezionale, ma, piuttosto, una manifestazione di discrezionalità tecnica.
Al riguardo appare opportuno ribadire il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di falso (ideologico) in atto pubblico, nel caso in cui il pubblico ufficiale, chiamato ad esprimere un giudizio, sia libero anche nella scelta dei criteri di valutazione, la sua attività è assolutamente discrezionale e, come tale, il documento che contiene il giudizio non è destinato a provare la verità di alcun fatto; diversamente, se l'atto da compiere fa riferimento anche implicito a previsioni normative che dettano criteri di valutazione si è in presenza di un esercizio di discrezionalità tecnica, che vincola la valutazione ad una verifica di conformità della situazione fattuale a parametri predeterminati, sicchè l'atto potrà risultare falso se detto giudizio di conformità non sarà rispondente ai parametri cui esso è implicitamente vincolato.
Pertanto non è configurabile il reato di falso ideologico in atto pubblico nel caso in cui il pubblico ufficiale è chiamato ad esprimere un giudizio svincolato da criteri di valutazione predeterminati, trattandosi di attività assolutamente discrezionale, sicchè il documento che contiene il giudizio non è destinato a provare la verità di alcun fatto (cfr. Cass., Sez. 5, n. 38774 del 12/05/2017, Rv. 271203; Sez. Sez. F, n. 39843 del 04/08/2015, Rv. 264364).
Orbene, nel caso in esame, non può affatto sostenersi che la professoressa M. fosse chiamata ad esprimere nei confronti degli studenti sottoposti alla sua valutazione un giudizio svincolato da criteri di predeterminati, non potendosi qualificare la sua attività come assolutamente discrezionale.
Nel momento in cui l'imputata ha alterato i risultati delle prove sostenute dalla T., infatti, la disciplina normativa di settore prevedeva regole specifiche alle quali il personale docente doveva attenersi nella valutazione degli alunni.
In particolare il D.P.R. 22 giugno 2009, n. 122, art. 1, "Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni e ulteriori modalità applicative in materia, ai sensi del D.L. 1 settembre 2008, n. 137, artt. 2 e 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 ottobre 2008, n. 169, pur prevedendo che "la valutazione è espressione dell'autonomia professionale propria della funzione docente, nella sua dimensione sia individuale che collegiale, nonchè' dell'autonomia didattica delle istituzioni scolastiche" affermava espressamente: "ogni alunno ha diritto ad una valutazione trasparente e tempestiva, secondo quanto previsto del D.P.R. 24 giugno 1998, n. 249, art. 2, comma 4, terzo periodo, e successive modificazioni. La valutazione ha per oggetto il processo di apprendimento, il comportamento e ii rendimento scolastico complessivo degli alunni. La valutazione concorre, con la sua finalità anche formativa e attraverso l'individuazione delle potenzialità e delle carenze di ciascun alunno, ai processi di autovalutazione degli alunni medesimi, al miglioramento dei livelli di conoscenza e al successo formativo, anche in coerenza con l'obiettivo dell'apprendimento permanente di cui alla "Strategia di Lisbona nel settore dell'istruzione e della formazione", adottata dal Consiglio Europeo con raccomandazione del 23 e 24 marzo 2000. Le verifiche intermedie e le valutazioni periodiche e finali sul rendimento scolastico devono essere coerenti con gli obiettivi di apprendimento previsti dal piano dell'offerta formativa, definito dalle istituzioni scolastiche ai sensi del D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, artt. 3 e 8".
L'art. 4 del medesimo testo normativo, con particolare riferimento alla valutazione degli alunni nella scuola secondaria di secondo grado, prevedeva, inoltre, che la "valutazione, periodica e finale, degli apprendimenti è effettuata dal consiglio di classe, formato ai sensi del testo unico di cui al D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, art. 5, e successive modificazioni, e presieduto dal dirigente scolastico o da suo delegato, con deliberazione assunta, ove necessario, a maggioranza. La valutazione periodica e finale del comportamento degli alunni è espressa in decimi ai sensi dell'art. 2 del decreto-legge. Il voto numerico è riportato anche in lettere nei documento di valutazione, venendo ammessi alla classe successiva gli alunni che in sede di scrutinio finale conseguono un voto di comportamento non inferiore a sei decimi e, ai sensi del testo unico di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 193, comma 1, secondo periodo, una votazione non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline valutate con l'attribuzione di un unico voto secondo l'ordinamento vigente".
Come si vede, dunque, anche nelle valutazioni periodiche del rendimento degli alunni la professoressa M. era tenuta a uniformarsi ad obiettivi e standard formativi predeterminati, che escludevano in radice la possibilità di formulare giudizi in termini assolutamente discrezionali e arbitrari, dovendo in ogni caso tali valutazioni, espresse in voti prefissati, essere rispettose, nell'interesse degli alunni, delle esigenze di trasparenza e tempestività, che la condotta dell'imputata ha compromesso.
9. Inammissibile va considerato il quarto motivo di ricorso, con cui l'imputata contesta la sussistenza del dolo, qualificando la sua condotta in termini di mera correzione ovvero di semplice leggerezza, non sorretta dalla volontà di alterare la verità per far apparire una situazione diversa da quella esistente.
La ricorrente non tiene nel dovuto conto che in tema di giudizio di cassazione, soprattutto in presenza di una cd. doppia conforme, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. Cass., Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482).
Ed invero, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito.
In questa sede di legittimità, infatti, è precluso il percorso argomentativo seguito dalla menzionata ricorrente, che si risolve in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289; Cass., Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Cass., Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Cass., Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758).
In altri termini, il dissentire dalla ricostruzione compiuta dai giudici di merito e il voler sostituire ad essa una propria versione dei fatti, costituisce una mera censura di fatto sul profilo specifico dell'affermazione di responsabilità dell'imputato, anche se celata sotto le vesti di pretesi vizi di motivazione o di violazione di legge penale, in realtà non configurabili nel caso in esame, posto che il giudice di secondo grado ha fondato la propria decisione su di un esaustivo percorso argomentativo, contraddistinto da intrinseca coerenza logica, con cui è stata evidenziata la piena e consapevole volontà della M. di alterare il registro del professore in danno della T..
10. Generico, infine, appare l'ultimo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente, in un certo senso, replica la genericità del motivo di appello sulla mancata concessione delle circostanze attenuanti ex art. 62 bis c.p., che la corte territoriale ha negato, evidenziando la mancanza di elementi da valutare positivamente in favore della M., ad eccezione della mancanza di precedenti penali, non sufficiente, ai sensi dell'art. 62 bis, u.c., a tal fine, elementi la cui sussistenza e conseguente mancata considerazione da parte del giudice di secondo grado, non viene denunciata dalla ricorrente.
11. Al rigetto del ricorso, segue la condanna della ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento, e alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile T.F., che liquida in complessivi Euro 2300,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Qualificato il reato come previsto e punito dall'art. 491 bis c.p., rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile T.F., che liquida in complessivi Euro 2300,00, oltre accessori di legge.