La Cassazione condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio ribadendo che se la risposta all'interpello è negativa, la procura alle liti si considera come mai rilasciata e l'unico responsabile è il difensore che esercita senza procura.
L'attore conveniva in giudizio i fratelli per chiedere la liquidazione della quota sociale spettantegli a seguito del suo recesso dalla società. Dopo la querela di falso dei convenuti, l'attore nomina un nuovo difensore confermando la falsità della sua firma sulla procura e affermando di non voler utilizzare i documenti che la contengono, ovvero l'atto di citazione e il...
Svolgimento del processo
1. - C.L., apparentemente rappresentato dall'avvocato S.C., ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Perugia San Potente s.n.c. dei Fratelli C. nonchè i suoi soci C.G., C.F. e C.S., chiedendo la liquidazione della quota spettantegli a seguito del suo recesso dalla medesima società.
Con separato successivo ricorso lo stesso C.L. ha chiesto nei confronti degli stessi convenuti un sequestro conservativo, che è stato rilasciato inaudita altera parte.
2. - I convenuti, costituitisi, hanno tra l'altro denunciato la falsità delle sottoscrizioni da parte del C.L. delle procure alle liti impiegate tanto per la citazione introduttiva, quanto per il ricorso per sequestro conservativo, proponendo querela di falso.
3. - Il C.L. ha nominato un nuovo difensore in sostituzione del precedente, "confermando la falsità della firma sulla procura e dichiarando di non voler utilizzare i documenti contenenti la procura in questione, ovvero il ricorso introduttivo del procedimento cautelare e l'atto di citazione introduttivo del procedimento di merito" (così l'odierna ricorrente a pagina 3-4 del ricorso).
4. - Il Tribunale adito ha dichiarato inammissibile la domanda del C.L. ed ha condannato alle spese di lite l'avvocato S.C..
5. - Quest'ultima ha proposto appello nei confronti della società, dei menzionati soci e dello stesso C.L..
6. - Nel giudizio di appello si sono costituiti gli appellati: C.L. ha tra l'altro dichiarato di proporre appello incidentale per veder accertata a mezzo di consulenza tecnica d'ufficio la falsità della sottoscrizione a suo nome sulla procura; gli altri appellati hanno spiegato appello incidentale condizionato volto alla eventuale condanna alle spese del C.L..
7. - Con sentenza del 23 agosto 2016 la Corte d'appello di Perugia ha respinto l'appello e regolato di conseguenza le spese di lite.
Ha in particolare ritenuto la Corte territoriale:
-) che la certificazione dell'autografia della sottoscrizione da parte del difensore, ai sensi dell'art. 83 c.p.c., avente natura di atto pubblico, non possegga però efficacia probatoria privilegiata in favore dello stesso autore della certificazione;
-) che con la querela di falso non si accerta semplicemente un fatto di falso, ma, attraverso l'accertamento del falso, si esercita un'azione costitutiva necessaria intesa a privare l'atto pubblico della fede privilegiata anzidetta, sicchè legittimato passivo deve ritenersi solo colui in favore del quale l'atto pubblico offre detta prova, non anche lo stesso autore, pubblico ufficiale, dell'atto pubblico, il cui interesse non è preso in considerazione dalla disposizione stabilisce la fede privilegiata;
-) che l'affermazione della falsità di un atto pubblico, se rivolta contro l'autore dell'atto pubblico, in una situazione in cui il soggetto in favore del quale detto atto risulta redatto non intende avvalersene, può essere fatta valere senza necessità di querela di falso con ogni mezzo di prova, scontrandosi l'opinione contraria col principio per cui non si può creare una prova a proprio favore;
-) che nel caso in esame, in cui C.L. aveva riconosciuto la falsità della sottoscrizione a suo nome della procura e dunque della certificazione di autografia dell'avvocato S., dichiarando di non volersi avvalere della procura, l'affermazione della falsità della certificazione di autografia della sottoscrizione della procura e dunque di questa sottoscrizione contro lo stesso avvocato non richiedeva la proposizione della querela di falso, potendo essere accertata con ogni mezzo, ed incombendo anzi sull'avvocato S. l'onere di provare l'autenticità della sottoscrizione;
-) che era del tutto evidente che la sottoscrizione apparentemente apposta dal C.L. sulle procure alle liti non era autentica, il che trova conferma nella circostanza che l'avvocato S. aveva dichiarato di non volersi avvalere delle certificazioni;
-) che non poteva nella specie operare la sanatoria di cui all'art. 182 c.p.c.;
-) che la dichiarazione del C.L. di non volersi avvalere delle procure non valeva, come ritenuto dal collegio in sede di decisione sulla sospensiva, quale rinuncia alla domanda, bensì quale dichiarazione di estraneità del giudizio introdotto dal difensore senza procura, come tale tenuto a subire la condanna alle spese;
-) che "comunque, a voler seguire l'opinione, secondo cui l'atto pubblico fa fede privilegiata anche in favore del suo stesso autore, va rilevato che C.L. ha mostrato di voler proporre querela di falso contro le dichiarazioni di autografia in questione (nell'ipotesi fatta le eccezioni di inammissibilità di queste querele sollevate dall'appellante appaiono infondate come affermato dalla Corte dell'ordinanza 7-5-15: in particolare va osservato che il fatto di aver rinunciato ad avvalersi degli atti impugnati contro i convenuti non gli precludeva l'impugnazione degli stessi contro il suo difensore) e che l'avv. S. ha dichiarato di non voler utilizzare i detti atti, venendosi perciò egualmente a trovare nella condizione del difensore che agisce senza una procura e non semplicemente con una procura nulla. La conseguenza è pur sempre quella dell'inammissibilità della domanda proposta dall'avv. S. per conto di C.L. per mancanza di procura e della conseguente condanna di detto difensore alle spese processuali".
8. - Per la cassazione della sentenza S.C. ha proposto ricorso affidato a quattro mezzi illustrati da memoria.
9. - C.L., da un lato, e San Potente s.n.c. dei Fratelli C. nonchè i suoi soci C.G., C.F. e C.S., dall'altro, resistono con separati controricorsi.
Motivi della decisione
10. - Il ricorso contiene quattro motivi.
10.1. - Il primo motivo, alle pagine 7-10 del ricorso, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2700 e 2703 c.p.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui essa afferma che l'unico legittimato passivo della querela di falso possa essere la parte in favore della quale l'atto pubblico offre detta prova, non anche lo stesso autore, pubblico ufficiale, dell'atto pubblico, il cui interesse non è preso in considerazione dalla disposizione che stabilisce la fede privilegiata dell'atto.
10.2. - Il secondo motivo, da pagina 10 a pagina 12, denuncia omessa applicazione dell'art. 182 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto l'inapplicabilità della disposizione con affermazione inficiata dalla carenza del presupposto essenziale della contestazione, contro l'avvocato S., della falsità della procura.
10.3. - Il terzo motivo, a pagina 12, è svolto sotto la rubrica "in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per violazione della norma di cui all'art. 2702 c.c.". Vi si sostiene che la Corte d'appello, ritenendo che il C., con la dichiarazione di non volersi avvalere delle procure, avesse inteso dichiararsi estraneo al giudizio avrebbe palesemente violato una norma di cui all'art. 2702 c.p.c., giacchè la revoca del mandato da parte del C., non poteva che confermare il previo conferimento del mandato stesso.
10.4. - Il quarto motivo, che si prolunga da pagina 12 a pagina 22 del ricorso, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 221 e 222 c.p.c., sostenendo che il C. non avrebbe affatto affermato la falsità della sua sottoscrizione, limitandosi a dichiarare di non volersi avvalere di essa; inoltre la Corte d'appello aveva ritenuto ammissibile la querela di falso da parte del C., che era invece inammissibile, dal momento che questi aveva dichiarato espressamente di non volersi avvalere delle procure, sicchè, in definitiva, non essendo stato dato corso alla querela proposta dai convenuti si doveva "ritenere che la firma del C. sia autografa in quanto certificata da pubblico ufficiale" (così a pagina 18 del ricorso); nel caso in esame non si sarebbe "verificato il presupposto essenziale dell'assunto, in quanto non è stata giudizialmente accertata l'inesistenza delle procure alle liti", di guisa che non poteva ritenersi che l'avvocato avesse agito senza procura, giacchè l'unico strumento "idoneo a far superare la presunzione di veridicità delle procure sarebbe stato l'accertamento incidentale a seguito di valida proposizione di altrettante querela di falso. Ma, come ormai noto, durante il giudizio di primo grado il C., all'uopo interpellato, ha scelto di non avvalersi delle procure, così inibendo l'accertamento sulla veridicità o meno delle stesse. Ne consegue che le procure alle liti non possono essere considerate inesistenti.... In ogni caso l'Avv. S. ha dichiarato di non volersi (nè potersi avvalere delle procure nel grado di giudizio in cui è stata interpellata e, dunque, nell'appello. Ne consegue che, comunque, la risposta negativa non può avere tolto efficacia ai documenti e, cioè, alle procure, relativamente al giudizio di primo grado, bensì esclusivamente al giudizio di appello. Il fatto di non volersi avvalere delle procure nel giudizio di appello non aveva alcuna rilevanza ai fini della decisione, così come, ad avviso di questa difesa, non avevano alcuna rilevanza le procure stesse. L'avv. S., infatti, non ha allegato le procure oggetto di querela a fondamento della propria impugnazione; pertanto, la stessa non aveva (e non ha) alcun interesse a confermare l'efficacia probatoria di tali documenti. E' utile ricordare che la querela di falso può essere proposta esclusivamente contro chi possa avvalersi, onde fondare su di essa una pretesa giuridica. Ma il giudizio di appello, lo si ribadisce, l'Avv. S. non aveva alcun interesse ad avvalersi delle procure, tanto che la sua risposta negativa all'interpello era addirittura scontata".
11. - Il ricorso è infondato, quantunque la motivazione della sentenza impugnata debba essere corretta come segue.
I motivi, che per il loro collegamento meritano di essere simultaneamente esaminati, sono difatti destituiti di fondamento.
Secondo costante giurisprudenza di questa Corte: "Per la contestazione dell'autografia della sottoscrizione apposta dal difensore per autenticare una procura speciale rilasciata in calce o a margine dell'atto introduttivo del giudizio è necessaria la querela di falso, attesa la natura dell'atto di autenticazione che, al pari dell'autenticazione della scrittura privata, mentre rileva, quanto all'effetto, come strumento di attribuzione al documento cui si riferisce della particolare efficacia probatoria prevista dal combinato disposto dell'art. 2702 c.c. e art. 2703 c.c., comma 1, è, quanto alla struttura, un atto pubblico risultante, in coerenza con la definizione dell'art. 2699 c.c., da un documento redatto da un pubblico ufficiale che, in quanto autorizzato a costituire la descritta certezza in ordine all'atto principale, deve per ciò stesso ritenersi necessariamente dotato di poteri idonei a presidiare di non minore certezza l'atto accessorio destinato a realizzare quel risultato, con la conseguenza che, al pari della pubblica fede concernente l'autenticità della sottoscrizione della procura, anche quella relativa alla provenienza della certificazione dal soggetto che se ne professa autore non può essere rimossa se non attraverso lo speciale procedimento di cui agli artt. 221 c.p.c. e segg." (Cass. 20 giugno 1996, n. 5711; nello stesso senso Cass. 27 gennaio 1999, n. 715; Cass. 16 aprile 2003, n. 6047; Cass. 4 maggio 2009, n. 10240; Cass. 2 settembre 2015, n. 17473; Cass. 25 luglio 2018, n. 19785).
E' osservato nella più remota delle decisioni richiamate: "La certificazione di autenticità dell'autografia della sottoscrizione della procura speciale rilasciata in calce o margine dell'atto introduttivo del giudizio, sebbene accessoria alla scrittura di conferimento del mandato al difensore, se ne distingue e si caratterizza per il contenuto predicativo, in funzione di certezza legale, di una determinata qualità di un elemento di tale scrittura. Si tratta, quindi, di un atto autonomamente rilevante, riconducibile alla categoria di quelli che autorevole dottrina definisce "atti di certezza", i quali possono attingere il proprio risultato tipico di vincolare l'altrui rappresentazione in ordine all'oggetto dell'acclaramento perchè provenienti da pubbliche autorità o da soggetti equiparati. Nel novero di questi ultimi sono da comprendere non solo i privati che, come i notai, compiono professionalmente un'attività strumentale alla realizzazione del pubblico interesse alla certezza degli atti o fatti giuridici, ma anche quei professionisti che, come gli avvocati ed i procuratori legali, sono occasionalmente abilitati (v., per quanto specificamente concerne l'autenticazione di cui sopra, l'art. 83 c.p.c., comma 3) ad emettere certificazioni: la differenza fra le due categorie è di ordine meramente quantitativo, venendo in rilievo con riguardo ad entrambe un'identica radice del potere certificativo, vale a dire l'esercizio di un vero e proprio munus pubblico, conferito in funzione dell'interesse suddetto... Ne consegue che codesta certificazione, al pari dell'autenticazione della scrittura privata, mentre rileva, quanto all'effetto, come strumento di attribuzione al documento cui si riferisce della particolare efficacia probatoria prevista dal combinato disposto dell'art. 2702 c.c. e art. 2703 c.c., comma 1, è, quanto alla struttura, un atto pubblico, risultando, in coerenza con la definizione dell'art. 2699 c.c., da un documento redatto da un pubblico ufficiale, che, in quanto autorizzato a costituire la descritta certezza in ordine all'atto principale, deve per ciò stesso ritenersi necessariamente dotato di poteri idonei a presidiare di non minore certezza l'atto accessorio destinato a realizzare quel risultato. Pertanto, come la pubblica fede costituita in ordine all'autenticità della sottoscrizione della procura, così quella relativa alla provenienza della certificazione dal soggetto che se ne professa autore ed al quale l'ordinamento attribuisce questo specifico munus pubblico, non può essere rimossa se non attraverso lo speciale procedimento di cui agli artt. 221 c.p.c. e segg., come stabilito dal tessuto normativo risultante dagli artt. 2699 c.c. e segg... Come la parte è legittimata, in sede di interpello ex art. 222 c.p.c., a dichiarare di non volersi avvalere del documento contro il quale si preannunzia la querela, in tal guisa esponendosi alla conseguenza del rigetto nel merito delle proprie pretese, rimaste sguarnite della divisata efficacia probatoria di quel documento, così essa stessa ha uguale legittimazione alla dichiarazione di non volersi avvalere della procura investita da querela, soggiacendo alle conseguenze di questa sua scelta e, quindi, all'eventualità di una pronuncia in rito che accerti l'impedimento dirimente che deriva dal difetto di rappresentanza tecnica nel processo".
Dunque:
-) la certificazione dell'autenticità della sottoscrizione del conferente la procura è effettuata dall'avvocato nell'esercizio di un potere di natura pubblicistica, sicchè l'efficacia probatoria di essa può essere infirmata esclusivamente a mezzo della querela di falso;
-) una volta proposta la querela di falso, ove l'attore dichiari di non volersi avvalere della procura investita da querela, segue dichiarazione di inammissibilità per difetto di rappresentanza tecnica nel processo.
Quest'ultima affermazione, concernente il difetto di rappresentanza tecnica, è pienamente coerente con il principio secondo cui, se la risposta all'interpello è negativa (ovvero se all'interpello non è data risposta: ex multis Cass. 7 agosto 2002, n. 11912), chi ha prodotto il documento rinuncia ad avvalersene come prova, ed il documento non può essere utilizzato nel giudizio pendente, con la conseguenza che la querela di falso in via incidentale non ha ragione di essere proposta (Cass. 5 giugno 1984, n. 3397), fermo restando il potere del querelante di proporre, ove ne abbia interesse, querela di falso in via principale. In breve, una volta proposta querela di falso, se la risposta all'interpello è negativa, la procura alle liti deve considerarsi come mai rilasciata (così espressamente Cass. 6 novembre 2014, n. 23700).
E non ha bisogno di essere rammentato che l'attività del difensore senza procura non riverbera alcun effetto sulla parte e resta attività processuale di cui il legale assume esclusivamente la responsabilità, anche in ordine alle spese di giudizio, ne consegue che il procedimento sarà definito con declaratoria di inammissibilità, e a soccombere sulla questione pregiudiziale della carenza di procura, rilevabile d'ufficio, è soltanto l'avvocato (tra le tante di recente Cass. 12 giugno 2018, n. 15305).
Nel caso di specie, per l'appunto:
-) l'avvocato S. ha agito in giudizio forza di procura apparentemente rilasciatagli da C.L.;
-) i convenuti hanno proposto querela di falso della sottoscrizione da questi apposta sulle procure;
-) C.L. ha dato risposta negativa all'interpello;
-) a seguito di detta risposta nessuna procura può considerarsi rilasciata all'avvocato S.;
-) del tutto correttamente, in conseguenza, il primo giudice ha dichiarato l'inammissibilità della domanda e condannato l'avvocato alle spese.
In sede di appello, l'avvocato S. ha censurato la sentenza impugnata, come quest'ultima riassuntivamente riferisce a pagina 3, osservando che:
-) la falsità della sottoscrizione era stata affermata senza l'espletamento di una consulenza tecnica d'ufficio;
-) l'art. 182 c.p.c., avrebbe consentito la sanatoria con efficacia ex tunc del difetto di procura;
-) il difensore non poteva essere condannato le spese del processo in quanto non rivestiva la qualità di parte.
Al che è agevole replicare, come la Corte territoriale ha solo in parte fatto, con le osservazioni seguenti:
a) a fronte della querela proposta e della risposta negativa all'interpello da parte del C.L., l'assenza di procura era già di per sè conclamata, non occorrendo alcun altro accertamento, come poc'anzi osservato;
b) l'art. 182 c.p.c., consente la sanatoria della procura nulla, non già il conferimento ex novo di una procura altrimenti radicalmente mancante (Cass. 4 ottobre 2018, n. 24257; Cass. 4 marzo 2021, n. 5985), e ciò non solo e non tanto perchè la disposizione citata discorre espressamente di "vizio che determina la nullità della procura al difensore", quanto perchè l'art. 125 c.p.c., sbarra ulteriormente il passo a qualunque interpretazione antiletterale, laddove stabilisce che la procura al difensore dell'attore può essere rilasciata in data posteriore alla notificazione dell'atto, purchè anteriormente alla costituzione della parte rappresentata; e ciò esime dall'osservare che la norma, pur menzionando espressamente l'istanza di parte, presuppone la volontà di questa di munirsi di una procura non mai rilasciata prima, volontà nel caso di specie anch'essa mancante;
c) l'assunto secondo cui il difensore non potrebbe essere condannato alle spese, nel considerato caso di mancanza di procura, è smentita dalla giurisprudenza di cui si è dato conto.
In definitiva, la tesi della ricorrente, la quale, dopo aver peraltro espressamente riconosciuto che il C.L. aveva confermato "la falsità della firma sulla procura" e dichiarato "di non voler utilizzare i documenti contenenti la procura in questione", ha in modo contraddittorio sostenuto che la firma del C. doveva essere tenuta per autografa "in quanto certificata da pubblico ufficiale", non essendo stata "giudizialmente accertata l'inesistenza delle procure alle liti", muove da un presupposto giuridico erroneo, e cioè che il documento di cui l'interessato, a seguito della proposizione di querela, abbia dichiarato di non volersi avvalere, mantenga un crisma dell'autenticità, come se la querela non fosse stata neppure proposta. Il che non è.
12. - Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.