I contenuti estrapolati dal cellulare della persona offesa e trasferiti su DVD sono qualificabili come “documenti” ai sensi dell'art. 234 c.p.p., poiché idonei a rappresentare fatti, persone e cose.
Il Tribunale di Pesaro condannava l'imputato per diversi reati, tra i quali quello di maltrattamenti in famiglia in danno della moglie e della madre convivente.
A seguito di gravame, la Corte d'Appello riformava parzialmente la decisione di primo grado, dunque l'imputato si rivolge alla Corte di Cassazione lamentando, tra i diversi motivi, la nullità della pronuncia per via dell'inosservanza della legge processuale e della violazione del diritto di difesa e del contraddittorio. Alla base del motivo di ricorso vi è il riferimento all'acquisizione al fascicolo dibattimentale dei supporti informatici DVD aventi ad oggetto degli spezzoni di video e delle immagini depositate dalla persona offesa e il diniego del Giudice di eseguire una perizia su tali contenuti.
Con la sentenza n. 34569 del 17 settembre 2021, la Suprema Corte dichiara il ricorso infondato, rilevando che non sussiste alcun profilo di criticità in relazione all'acquisizione dei DVD da parte del Tribunale.
Nello specifico, i Giudici di merito avevano qualificato come “documenti” acquisibili
Inoltre, gli Ermellini hanno già avuto occasione di chiarire che in questi casi si parla più correttamente di trasferimento o estrapolazione dei documenti in formato digitale «che riproducono fatti persone o cose», ponendo in evidenza l'operazione materiale volta ad acquisire il dato probatorio «che viene appreso tal quale a quello originale e di cui è ipotizzabile una indefinita possibilità di duplicazione».
Ciò posto, gli Ermellini affermano che l'
Per tale ragione, i problemi dovuti all'eventuale non genuinità dei documenti sono estranei al tema dell'utilizzabilità o meno dei medesimi, dovendosi semmai accertare se essi siano stati manipolati. A tal proposito, però, la Corte d'Appello aveva già rilevato che nel caso di specie non emergevano dati concreti o altri profili tali da indurre ad avere qualche sospetto di manipolazioni o alterazione dei contenuti.
Anche per questa ragione, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 21 febbraio 2019, il Tribunale di Pesaro condannava T.O. alla pena di anni 4 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole dei reati di maltrattamenti in famiglia, commesso in danno della moglie N.S.M. e della madre convivente C.B. (capo A), di lesioni personali in danno di quest'ultima (capo B) e della moglie (capo C), di due episodi di violenza sessuale nei confronti della moglie non più convivente, qualificati come tentati dal Tribunale (capo D), nonchè del reato di violazione di domicilio (capo E), fatti commessi in (omissis). Il Tribunale condannava altresì T. al risarcimento dei danni sofferti dalla costituita parte civile, N.S.M., liquidati nell'importo di 10.000 Euro.
Con sentenza del 14 novembre 2019, la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, assolveva T. dalle imputazioni di cui al capo A, limitatamente alla posizione di C.B., e al capo E, perchè il fatto non sussiste e, per l'effetto, rideterminava la pena a carico dell'imputato in anni 3 di reclusione, riducendo l'importo liquidato a titolo di risarcimento del danno nella misura di 8.000 Euro, confermando nel resto.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello marchigiana, T., tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando sei motivi.
Con il primo, la difesa eccepisce la nullità della sentenza per inosservanza della legge processuale e violazione del diritto di difesa e del contraddittorio, con particolare riferimento all'acquisizione al fascicolo per il dibattimento dei supporti informatici DVD contenenti spezzoni di video e immagini depositati dalla persona offesa e al diniego del giudice di eseguire una perizia su tali contenuti.
Si evidenzia, in particolare, che l'eccezione era stata tempestivamente sollevata dalla difesa e che il rigetto del Tribunale è stato impugnato con motivo autonomo dinanzi alla Corte territoriale, che ha erroneamente applicato l'art. 234 c.p.p., ritenendo corretta l'acquisizione dei DVD, mentre tale norma richiede che i documenti vengano prodotti in originale, per cui dovevano essere acquisiti i supporti tecnologici con le immagini originali e non i DVD consegnati dalla parte lesa, dei quali non poteva essere comprovata l'originalità, in quanto il supporto multimediale su cui viene conservato non fornisce alcuna garanzia sulla genuinità dei contenuti, nel senso che il dato digitale decontestualizzato dal supporto digitale che lo ha generato e che lo conservava perde ogni possibilità di controllo. In definitiva, secondo la difesa, gli spezzoni di filmati contenuti nei DVD sarebbero verosimilmente il risultato di un intervento manipolativo rispetto al contenuto originario, se non addirittura l'esito di una creazione avulsa dalla realtà, essendo incerti i tempi e i modi in cui tali produzioni sarebbero state realizzate, per cui tali filmati non potevano essere legittimamente acquisiti.
Del resto, prosegue la difesa, la documentazione visiva sarebbe stata "costruita" dalla medesima persona offesa per conferire alle proprie dichiarazioni quell'attendibilità che le stesse non avevano, avendo la N. mostrato le immagini a vari soggetti, tra cui le forze dell'ordine, che si sono limitate a identificare la persona che ha prodotto i DVD, senza ulteriori accertamenti e senza l'adozione delle corrette procedure della scienza digitale forense.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la carenza e la contraddittorietà della motivazione in relazione alle specifiche doglianze, dotate del requisito della decisività, formulate con i motivi di appello e con i motivi aggiunti.
La Corte territoriale, in particolare, non avrebbe tenuto conto che la N. ha fornito un racconto privo di adeguati riferimenti spazio-temporali, riferendo peraltro una circostanza non vera, ovvero di aver sempre vissuto con la suocera e di averla accudita personalmente, il che è stato smentito dai vari testi escussi, secondo cui, quando si trovava in Italia, la donna viveva con il marito e non con la suocera, essendo altresì pacifico che i rapporti tra i coniugi, almeno dal 2015 al 2018 furono sereni, come confermato dai testi G., A., C., S. e P., il quale ultimo, peraltro, ha escluso che T. maltrattasse la madre.
L'istruttoria non aveva invero consentito di comprovare nè i maltrattamenti in danno della moglie e della madre, nè la condizione di ubriachezza del ricorrente, nè la riconducibilità all'imputato della frattura del metacarpo riscontrata alla C., nè gli episodi di tentata violenza sessuale in danno della moglie, essendo piuttosto emersa la tendenza della N. a rivolgersi in maniera preordinata a vari soggetti, come la dottoressa del Pronto Soccorso o le Forze dell'ordine, al fine di escludere un suo coinvolgimento in ciò che andava raccontando e di raccontare fatti non veri, come desumibile ad esempio dalla deposizione dell'agente di polizia B., il quale, intervenuto la sera del 28 maggio 2018, riferì che la N., diversamente da quanto denunciato, rappresentò esclusivamente la sua volontà di lasciare il marito, senza parlare di aggressioni fisiche e omettendo di riferire che T. aveva maltrattato la madre e che, andando ella via di casa, avrebbe di fatto lasciato la C. nelle mani del suo presunto aguzzino.
Nè poteva ritenersi ravvisabile alcun tentativo di violenza sessuale, avendo la N. confermato nel corso della sua audizione di non essere stata toccata dal marito, cui chiese di portarle delle suppellettili, essendo la casa priva di mobili, ma anche di tale circostanza i giudici di merito non avrebbero tenuto conto.
Con il terzo motivo, viene censurata la valutazione di attendibilità di N.S.M., osservandosi che le prove assunte hanno dimostrato l'abitudine della donna di travisare i fatti e avere reazioni litigiose e aggressive, accompagnate da un linguaggio triviale e aggressivo, profuso anche nel corso del dibattimento e non giustificabile con la scarsa conoscenza della lingua italiana. Peraltro, sia il Tribunale che la Corte di appello hanno espresso riserve sulla attendibilità della donna, il primo qualificando come tentato il reato di violenza sessuale, e la seconda ritenendo il suo atteggiamento non indenne da censure, a proposito del suo atteggiamento nei confronti del marito più vecchio di lei di trent'anni e riguardo ai comportamenti da lei riservati all'anziana suocera.
Con il quarto motivo, la difesa lamenta l'illogicità della motivazione con riferimento alla valutazione della sussistenza del reato di maltrattamenti nei confronti di N.S.M., sostenendo che non è stata raggiunta la prova che l'imputato abbia sottoposto la moglie a sofferenze psichiche e fisiche, essendo piuttosto emersa, tra il maggio e il giugno 2018, l'esistenza di meri litigi tra i coniugi, causati perlopiù dal comportamento della persona offesa, tutta concentrata a voler vivere in maniera indipendente dal marito e dall'anziana suocera, tanto è vero che la stessa N., nel parlare delle presunte aggressioni fisiche, ha smentito se stessa, ammettendo di non averne mai subite, risultando altresì smentite le circostanze poste a fondamento dei due referti medici in atti.
Con il quinto motivo, oggetto di doglianza è l'illogicità della motivazione con riferimento alla valutazione della sussistenza del reato di lesioni volontarie nei confronti di N.S.M. e di C.B., sottolineandosi al riguardo che, quanto alla C., mancherebbe la prova che la rottura del metacarpo della madre di T. sia riconducibile a un'iniziativa volontaria di quest'ultimo, avendo peraltro il teste G. escluso che l'imputato abbia voluto fare del male alla madre, mentre, quanto alla N., si ribadisce l'assenza di prove circa eventuali lesioni volontarie inferte dal ricorrente alla moglie.
Con il sesto motivo, infine, il ricorrente contesta l'illogicità della motivazione con riferimento alla valutazione della sussistenza del reato di tentata violenza sessuale nei confronti di N.S.M., rimarcando che, come emerso dall'istruttoria dibattimentale, T. si era recato presso il suo immobile con l'amico G. non per avere rapporti sessuali con la moglie, ma solo per controllare i lavori di ristrutturazione che erano in corso, fermo restando che è stata la stessa N. a riferire che il marito effettivamente non l'aveva toccata, tanto è vero che la stessa teste M. ha escluso che la donna lamentasse di aver subito una violenza sessuale, avendo la vicina di casa chiesto solo ai due litiganti di smettere di urlare perchè disturbavano, dovendosi quindi concludere che sia il 10 che l'11 giugno 2018 si sono consumati semplici litigi privi di risvolti penali, e ciò anche in considerazione del fatto che non risultano prodotti certificati medici.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato.
1. Iniziando dal primo motivo, deve osservarsi che l'acquisizione operata dal Tribunale dei DVD realizzati dalla persona offesa non presenta criticità.
E invero i giudici di merito hanno correttamente qualificato come "documenti", acquisibili ai sensi dell'art. 234 c.p.p., i contenuti (costituiti da filmati e immagini) estrapolati dal cellulare della persona offesa, in quanto idonei a rappresentare fatti, persone e cose, avendo questa Corte precisato che l'attività di estrapolazione dei fotogrammi da un supporto video non ha natura di accertamento tecnico irripetibile (Sez. 6, n. 41695 del 14/07/2016, Rv. 268326). In ordine all'acquisizione di documenti conservati in forma digitale che sono contenuti in computer o, comunque, in supporti fisici che riproducono immagini e videoriprese, come appunto un cellulare, è stato altresì chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 15838 del 20/12/2018, dep. 2019, Rv. 275541 e Sez. 6, n. 12975 del 06/02/2020, Rv. 278808) che in tal caso è corretto parlare di trasferimento ovvero estrapolazione dei documenti in formato digitale "che riproducono fatti persone o cose", così rimarcandosi l'operazione materiale tesa ad acquisire il dato probatorio che viene appreso tal quale a quello originale e di cui è ipotizzabile una indefinita possibilità di duplicazione.
E invero l'art. 234 c.p.p., nel disporre che "è consentita l'acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia e qualsiasi altro mezzo", esclude implicitamente che possa assumere rilevanza l'utilizzazione della modalità analogica ovvero digitale per mezzo della quale è avvenuta la videoregistrazione e la successiva conservazione, posto che la norma processuale, per mezzo dell'enunciazione di cosa debba intendersi per documento, non si interessa della concreta modalità di conservazione dello stesso, indicandone esclusivamente le caratteristiche oggettive ("documenti che rappresentano fatti, persone o cose"). Ora, l'evoluzione tecnologica che ha consentito, grazie al processo di digitalizzazione, la minimizzazione fisica del supporto su cui le immagini possono essere conservate e la facilitazione delle modalità di archiviazione e successiva estrapolazione dei documenti, non autorizza affatto a ritenere mutata la natura documentale di tali prove, certamente conforme a quanto previsto dall'art. 234 c.p.p. in ordine alla disciplina delle acquisizioni documentali.
Da ciò consegue che i problemi connessi all'eventuale non genuinità di tali documenti sono estranei al tema dell'utilizzabilità o meno degli stessi, dovendosi invece accertare se essi siano stati, se del caso, manipolati, evenienza comune alla corrispondente acquisizione di documenti in formato analogico o cartaceo.
In tal senso, la Corte territoriale ha correttamente rilevato che nel caso di specie non emergono in alcun modo dati concreti o altri profili che possano indurre il sospetto di manipolazioni o alterazione dei contenuti, per cui è stato ritenuto coerentemente superfluo l'approfondimento peritale sollecitato dalla difesa.
E ciò senza considerare che il quadro probatorio delineatosi a carico di T. si fonda non sugli "spezzoni" dei filmati eseguiti dalla persona offesa, ma su una pluralità di elementi probatori che, posti in correlazione logica, hanno consentito di ritenere comprovate talune delle condotte illecite oggetto di contestazione, delineandosi dunque le prove documentali acquisite come un ulteriore riscontro rispetto a fonti dichiarative (costituite non solo dalla testimonianza della N.), che invero si erano già rivelate sufficientemente e autonomamente esaustive.
Alla stregua di tali considerazioni, non vi è dunque spazio per l'accoglimento della censura difensiva, già efficacemente superata dalla sentenza impugnata.
2. Passando ai restanti motivi, suscettibili di essere trattati unitariamente perchè tra loro sostanzialmente sovrapponibili, deve rilevarsi che, a differenza di quanto dedotto dalla difesa, il giudizio di colpevolezza del ricorrente rispetto ai reati di maltrattamenti in famiglia in danno della moglie (capo A), di lesioni personali in danno della madre (capo B) e della consorte (capo C) e di tentata violenza sessuale in danno della moglie (capo D) resiste alle censure difensive. In primo luogo, deve precisarsi che la Corte di appello non è limitata a recepire in maniera acritica le considerazioni del Tribunale, nè ha mancato di confrontarsi con i rilievi difensivi, tanto è vero che il giudizio di condanna operato in primo grado, al pari del trattamento sanzionatorio, è stato in parte ridimensionato.
E comunque, anche laddove sono state confermate le statuizioni del primo giudice, la Corte territoriale ha pur sempre operato valutazioni autonome, replicando adeguatamente alle deduzioni sollevate nell'atto di appello.
Ciò è avvenuto anche con riferimento alla valutazione di attendibilità della persona offesa, rispetto alla quale la Corte territoriale ha sì richiamato la ricostruzione operata dal Tribunale, ma ciò al fine di verificare la tenuta logica della stessa alla luce dei rilievi difensivi; del resto, la versione della N. è stata ampiamente riportata nella sentenza di primo grado, nella quale si dà conto delle dichiarazioni della donna; sul punto deve solo rammentarsi che la N., nel premettere di essere di nazionalità cubana e di essersi sposata il (omissis) con T.O., che aveva circa trent'anni più di lei, ha riferito di aver iniziato a vivere in Italia con il marito, a (omissis), a partire dal maggio 2015; in seguito, dopo aver conosciuto la madre di T., C.B., donna anziana e malata, la N. decideva di trasferirsi con il marito a casa della suocera, sempre a (omissis), al fine di provvedere alle sue necessità quotidiane, essendo stato peraltro T. nominato amministratore di sostegno della madre. La convivenza, tuttavia, non era serena a causa del carattere irascibile di T., il quale, oltre a essere scontroso con la madre, cui una volta strinse il braccio con violenza, divenne ben presto aggressivo, soprattutto quando abusava di bevande alcoliche, con la N., che sporgeva querela il (omissis), dopo aver subito nelle settimane precedenti violenze verbali e fisiche.
In particolare, il 7 maggio 2018, T., tornato a casa ubriaco, iniziò a inveire senza motivo nei confronti della madre e soprattutto della moglie e, dopo aver afferrata costei per i capelli, la scaraventò a terra, costringendola a fuggire di casa e a rifugiarsi in macchina, dove fu raggiunta dal marito, che iniziò a sferrare pugni violenti sull'auto, per cui la N. fu costretta ad aprire la portiera, venendo così trascinata fuori dall'abitacolo da T. che la tirava per i capelli.
A seguito di questo episodio, la persona offesa si recò al Pronto Soccorso, dove le vennero diagnosticate lesioni consistite in una contusione lombosacrale e in una contusione al gomito destro da aggressione, con prognosi di sette giorni. Una ulteriore aggressione si verificava poi il 27 maggio 2018, allorquando T., accortosi che la madre era particolarmente agitata, le afferrò la mano sbattendola con violenza sul tavolo per farla smettere, in tal modo provocandole una "frattura scomposta del I metacarpo a destra", con prognosi di 40 giorni.
Fu in tale occasione che la N., la quale anche nei mesi di marzo e aprile aveva subito altre violenze dal marito, decise di lasciare l'abitazione dove fino a quel momento aveva vissuto, andando ad abitare in un altro appartamento in origine di proprietà di T., ma poi intestato a lei, sito in (omissis), anche se la denunciante continuava ad andare dalla suocera per accudirla.
In ogni caso, anche dopo il suo allontanamento da casa, la N. continuava a essere importunata dal marito, il quale, il 10 giugno 2018, verso mezzanotte, si recava ubriaco nella casa di (omissis) con il suo mazzo di chiavi, entrando nella stanza dove la moglie dormiva, pretendendo un rapporto sessuale.
Svegliatasi, la N. si alzò spaventata dal letto cercando di scappare, ma il marito le afferrava i vestiti cercando di trattenerla, rivolgendole espressioni inequivocabilmente volgari e offensive, finchè non sopraggiunse un amico che aveva accompagnato T., il quale convinse quest'ultimo ad andare via.
Il giorno dopo, intorno alle 18, l'imputato tornò a casa della N., questa volta portando con sè un materasso, che gettava a terra, iniziando a insultare di nuovo la consorte, pretendendo di avere rapporti sessuali, finchè, al netto rifiuto della moglie, la afferrò con i capelli, al che la persona offesa iniziò a gridare, richiamando l'attenzione di una vicina di casa, al cui arrivò la T. andò via. Dopo questi due episodi, seguiva il (OMISSIS) una nuova querela a carico dell'imputato, raggiunto il 18 giugno 2018 da misura cautelare coercitiva.
Tanto premesso, la Corte territoriale, al pari del Tribunale, ha ritenuto attendibile la N., la quale, pur esprimendosi non benissimo in italiano, il che spiega talune incongruenze della fonoregistrazione, ha descritto i fatti di causa in maniera sufficientemente chiara, venendo in ogni caso il suo racconto riscontrato sia dai referti medici in atti, anche quelli relativi alla suocera C.B., sia dalle annotazioni di P.G. del 28 maggio e del (omissis), sia dalle convergenti dichiarazioni dei testi oculari di taluni episodi, ovvero M.D., vicina di casa intervenuta in occasione dell'episodio dell'(omissis), e G.S., amico di lunga data dell'imputato, presente a vari litigi, teste la cui pregnanza è stata illustrata in maniera diffusa dalla Corte territoriale, con considerazioni non illogiche e anzi aderenti alle risultanze probatorie.
Ora, pur avendo escluso la configurabilità sia del delitto di maltrattamenti in danno della madre, non essendovi prova dell'abitualità di condotte prevaricatorie in suo danno, sia del delitto di violazione di domicilio, essendo T. comproprietario dell'immobili dove la moglie si era temporaneamente stabilita, disponendo di copia delle chiavi, i giudici di appello hanno invece ritenuto ragionevolmente comprovati tutti i residui reati (ovvero i maltrattamenti in danno della moglie, le lesioni personali alla madre e alla moglie e i due episodi di tentata violenza sessuale in danno della consorte del giugno 2018), valorizzando la coerenza del racconto della N., risultato invero privo di enfatizzazioni, anche rispetto alla descrizione delle pretese sessuali dell'imputato, tanto è vero che, proprio alla luce del tenore dei fatti narrati dalla persona offesa, lo stesso Tribunale è pervenuto alla riqualificazione delle condotte in termini di tentativo. Del resto, lo stesso imputato, nel corso dell'interrogatorio del 22 giugno 2018, pur negando gli addebiti, non ha paventato alcun complotto ai suoi danni, nè ha parlato di costrizioni o minacce poste in essere nei suoi confronti, limitandosi a evocare solo la presenza di "un amico" con cui la moglie è rientrata in Italia nel febbraio 2018, che in realtà è risultato essere un nipote di venti anni più giovane della N., coniugato peraltro con una donna italiana, ciò a conferma della inverosimiglianza del sospetto che tra i due vi fosse un legame sentimentale.
3. In definitiva, la valutazione dell'attendibilità della persona offesa compiuta dalla Corte territoriale, in quanto scaturita da una disamina razionale e in sintonia con gli elementi probatori acquisiti, resiste alle censure difensive, che si articolano essenzialmente nella proposta di una rilettura alternativa (e invero parziale) del materiale istruttorio acquisito, operazione questa che tuttavia non è consentita in sede di legittimità, essendo nella giurisprudenza di questa Corte pacifica l'affermazione (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.
Di qui l'infondatezza delle censure difensive in punto di responsabilità.
4. In conclusione, stante l'infondatezza delle doglianze sollevate, il ricorso proposto nell'interesse di T. va rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ex art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.