Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ricorda che nel rito abbreviato d'appello, il giudice è l'unico soggetto che può disporre ex officio i mezzi di prova ritenuti assolutamente necessari per l'accertamento dei fatti che formano oggetto della decisione. Limitato il potere delle parti, che possono solo sollecitare i poteri supplettivi di iniziativa probatoria del giudice.
La Corte d'Assise d'Appello di Roma riformava parzialmente la sentenza del GIP del Tribunale di Roma con cui aveva giudicato colpevole l'imputato con rito abbreviato, quantificando diversamente la pena irrogatagli.
Avverso tale decisione, l'imputato propone ricorso per cassazione chiedendone...
Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe, sentenza emessa il 3 dicembre 2019, la Corte di assise di appello di Roma ha parzialmente riformato la decisione resa dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Latina del 31 gennaio 2019 che aveva giudicato, con rito abbreviato, S.G., imputato dei seguenti reati:- omicidio volontario di M.A., poichè, colpendolo al capo con il manico di legno di un forcone, ne cagionava la morte (art. 575 c.p.: capo A);- rapina aggravata in danno della stessa vittima, poichè, dopo aver colpito M. con il suddetto manico del forcone, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, si impossessava di una catenina d'oro e di una somma di denaro in contanti sottraendoli a M. (art. 628 c.p., commi 1 e 3: capo B);fatti commessi in (omissis).1.1. Il Giudice dell'udienza preliminare aveva dichiarato S. responsabile dei reati a lui ascritti, riuniti in continuazione, e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, computata la diminuente per il rito, lo aveva condannato alla pena di anni sedici di reclusione, con l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e l'interdizione legale per la durata della pena, nonchè lo aveva condannato al risarcimento dei danni in favore delle parti civili C.N., M.G. e M.M.C., da liquidarsi in separata sede.1.2. Impugnata questa decisione dal difensore dell'imputato, la Corte di assise di appello ha diversamente quantificato la pena irrogata a S., determinandola in anni quattordici di reclusione, fermo il resto.1.3. La conforme ricostruzione del fatto operata dalle sentenze di merito rende chiaro che, nel tardo pomeriggio del 31 dicembre 2017, M.A. era stato aggredito presso il centro equestre "( omissis)", in Cori, del quale egli era gestore. Trasportato in ospedale a Latina, egli era morto il 16 gennaio successivo, nonostante le cure.Nell'immediatezza gli inquirenti avevano rilevato tracce ematiche nei pressi del luogo di ritrovamento della vittima e un forcone con il manico in legno. Escusso uno dei dipendenti di M., A.A., da cui aveva appreso che aveva trovato il suo datore di lavoro privo di sensi rantolante dopo averlo visto discutere animatamente con un altro dipendente indiano, S.G., nonchè disposte intercettazioni telefoniche sull'utenza di quest'ultimo, la Polizia giudiziaria aveva arrestato l'odierno imputato nei confronti erano state formalizzate le accuse di cui all'attuale rubrica, accuse ritenute fondate, quanto all'accertamento di responsabilità, dalle decisioni di entrambi i gradi di merito.2. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso il difensore di S. chiedendone l'annullamento sulla scorta di cinque motivi.2.1. Con il primo motivo si lamentano la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 191, 220, 221, 222, 438 e 603 c.p.p..La difesa osserva che la Corte di appello, di propria iniziativa, senza alcun previo avviso alle parti, ha convocato direttamente per l'udienza il consulente del pubblico ministero (Dott. S.M.C.) al fine di acquisire, secondo una formula non conosciuta dal codice di rito penale, i chiarimenti dalla stessa, in tal senso manifestando l'esistenza di dubbi sulle cause della morte, dubbi peraltro già insorti in primo grado e persistiti successivamente, come confermerebbe la produzione da parte della Procura generale territoriale di una memoria ulteriore: in virtù di tale suppletiva escussione, tuttavia, i giudici di appello avrebbero omesso di disporre una perizia, eventualmente collegiale, richiesta dalla difesa dell'imputato.Per contro, nonostante gli acquisiti chiarimenti, il quadro probatorio non è, per il ricorrente, tale da superare il limite del ragionevole dubbio, ben potendo le cause del decesso della vittima non essere esclusivamente dovute alla condotta posta in essere dall'imputato.In definitiva, secondo la difesa, l'acquisizione di questi chiarimenti ha finito per concretare un'integrazione istruttoria ai limiti dell'atto abnorme, pertanto inutilizzabile, oltre che inidonea a modificare il quadro probatorio: inutilizzabilità che determinerebbe la nullità della sentenza per omessa motivazione, non bastando la convocazione per le vie brevi del consulente del Pubblico ministero per precludere la rinnovazione dell'istruttoria in appello con la disposizione della perizia già negata quando era stato chiesto l'incidente probatorio.2.2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell'art. 378 c.p., artt. 191, 197, 197-bis, 438 e 526 c.p.p..Il testimone S.M., a bordo della cui autovettura, nascosto sui sedili posteriori, era stato trovato S.G. quando era stato fermato dopo il fatto, avrebbe dovuto essere immediatamente indagato per il reato di favoreggiamento, sicchè le sommarie informazioni poi acquisite da quella fonte avrebbero dovuto esserlo dopo che questi, indagato, fosse stato invitato a nominare il difensore per poi procedere ai sensi dell'art. 350 c.p.p., comma 3: ciò non era avvenuto e, pertanto, i giudici di merito avrebbero erroneamente fondato le loro argomentazioni sulle dichiarazioni del suddetto soggetto, dichiarazioni invece inutilizzabili.2.3. Con il terzo motivo si prospettano la violazione degli artt. 43, 575 e 584 c.p., artt. 125 e 192 c.p.p. e il corrispondente vizio di motivazione sulla qualificazione del reato di omicidio ascritto all'imputato.Premesso che gli elementi in forza dei quali è stato escluso l'omicidio preterintenzionale sono stati la duplicità dei colpi inferti alla vittima, gli esiti della consulenza promossa dal Pubblico ministero, come incrementati dalla deposizione aggiuntiva della consulente, e l'intercettazione fra S. e il suddetto amico, il ricorrente rileva che, a parte ogni riserva sulla traduzione della conversazione captata dalla lingua indiana, sussiste una insuperabile contraddizione nell'affermazione della consulente secondo cui i due colpi avrebbero prodotto una ferita lacero-contusa alla regione occipitale, lato destro della nuca, e al contempo una frattura pluriframmentaria scomposta sul lato sinistro: non sarebbe stato logicamente spiegabile un uso, per quanto abile, del corpo contundente teso a colpire le due parti della testa, collocate su lati opposti, senza che possa ritenersi logica la ricostruzione proposta dalla consulente, la quale aveva ipotizzato che l'inflizione del primo colpo avesse indotto la vittima a voltarsi per fuggire, mentre la Corte appello ha affermato che il secondo colpo era stato portato alla vittima quando era già a terra.Pure il ragionamento articolato nella sentenza impugnata per sorreggere la tesi del dolo alternativo sarebbe viziato dal riferimento a principi invece afferenti al dolo eventuale, non essendo d'altronde provato che l'imputato avesse colpito una seconda volta la vittima, per la compatibilità con una caduta della tumefazione riportata sulla parte destra del volto.La tesi del dolo alternativo, peraltro, viene dal ricorrente reputata contrastata dal dolo ritenuto alla base della rapina: se S. aveva aggredito M. per derubarlo, l'aggressione non aveva avuto come fine la morte, mentre, se essa era stata attuata per uccidere, non di rapina si era trattato, ma del reato di cui all'art. 624-bis c.p.: la reazione al diniego del pagamento delle spettanze lavorative, l'uso del primo strumento trovato per colpire l'antagonista e lo stato di concitazione che aveva caratterizzato l'azione dell'imputato, stante anche la presenza dell'altro dipendente A. nelle vicinanze, costituirebbero altrettanti elementi idonei a orientare per l'assenza dell'animus necandi.2.4. Con il quarto motivo si evidenzia la violazione degli artt. 42, 43, 133 e 575 c.p., ancora in tema di individuazione dell'elemento soggettivo.Il riferimento al dolo alternativo, osserva la difesa, non ha escluso che lo stesso fosse di tipo eventuale: anzi l'affermazione dell'accettazione da ò parte dell'imputato del rischio di provocare la morte dell'aggredito confermerebbe che i giudici di merito hanno inteso riferirsi proprio al dolo eventuale; in tal caso sostiene il ricorrente - la pena irrogata per l'omicidio deve essere rivista, perchè essa va correlata alla forma meno intensa di dolo 2.5. Con il quinto motivo viene prospettata la violazione degli artt. 624 e 628 c.p..Nell'illustrazione di questa doglianza il ricorrente si ricollega al concetto, già svolto, della ritenuta incompatibilità tra omicidio volontario e rapina: se l'intenzione dell'aggressore era stata quella di sottrarre la catenina alla vittima con violenza al fine di profitto, avrebbe dovuto escludersi il dolo omicidiario, mentre, se la volontà dell'agente era stata quella di uccidere l'aggredito, allora egli non aveva commesso il delitto di rapina, ma quello di furto con strappo.3. Il Procuratore generale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, in quanto l'acquisizione dei chiarimenti resi dalla consulente del Pubblico ministero nel contraddittorio non ha causato alcuna lesione al diritto di difesa, il secondo motivo afferisce a questione nuova, il terzo motivo è manifestamente infondato, essendo emersa la reale portata dell'aggressione dalla conversazione intercettata, mentre gli ultimi due motivi risultano manifestamente infondati nella parte in cui avanzano dubbi sull'elemento soggettivo inerente alla rapina e versati in fatto nella parte in cui contrastano la scelta relativa all'entità della pena, scaturente anche dal corretto inquadramento dell'elemento soggettivo, discrezionalmente assunta dalla Corte di assise di appello.
Motivi della decisione
1. La Corte ritiene che l'impugnazione sia, in parte, priva dei requisiti di ammissibilità e, in parte, non fondata, sicchè essa va nel suo complesso rigettata.2. Con riferimento al primo motivo, si rileva che, come emerge dal testo della sentenza impugnata, sul punto non contrastata dal ricorrente, la Corte di assise di appello, all'udienza camerale (vertendosi in tema di appello regolato primariamente dall'art. 443 c.p.p.) del 3 dicembre 2019, ha disposto l'audizione della consulente del Pubblico ministero, Dott. S.M.C., per acquisire i chiarimenti medico-legali ritenuti necessari per scrutinare i motivi di gravame inerenti alla ricostruzione e alla qualificazione giuridica del fatto.I chiarimenti sono stati resi dalla ausiliare, presente all'udienza suindicata, nel contraddittorio delle parti. Non constano limitazioni del diritto dell'imputato di difendersi provando anche mediante eventuali controdeduzioni, dal momento che le conclusioni rassegnate innanzi alla Corte di assise di appello sono state dirette all'accoglimento dei motivi di appello ai quali il difensore di S. si è riportato, come pure emerge da quanto è stato richiamato nella sentenza in esame.Il procedimento adottato dai giudici di appello non merita, quindi, censura.In linea generale, l'art. 501 c.p.p., comma 1, riconosce ai consulenti tecnici, di cui le parti abbiano chiesto l'ammissione e il giudice l'abbia accolta, la sostanziale qualità di testimoni, per cui non può essere negata al giudice la possibilità di desumere elementi di prova e di giudizio dalle loro dichiarazioni e anche dai loro chiarimenti. Ciò può avvenire senza che il giudice abbia l'obbligo di disporre apposita perizia se, con congrua e logica motivazione, ne giustifichi la non necessità per essere gli elementi forniti dal consulente dotati di certezza, scientificamente corretti e fondati su argomentazioni logiche e persuasive (Sez. 4, n. 25127 del 26/04/2018, Olteanu, Rv. 273406 - 01; Sez. 3, n. 4672 del 22/10/2014, dep. 2015, L., Rv. 262469 - 01).Nel caso di specie, contraddistinto dal fatto che l'audizione a chiarimenti è stata disposta dai giudici di appello in rito abbreviato, la determinazione della Corte di merito appare, poi, in linea con il principio di diritto in base al quale, nel giudizio a prova contratta, al giudice di appello è consentito disporre di ufficio i mezzi di prova ritenuti assolutamente necessari per l'accertamento dei fatti che formano oggetto della decisione, potendo le parti solo sollecitare i poteri suppletivi di iniziativa probatoria che spettano al giudice di appello (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv. 203427 - 01; fra le successive, Sez. 5, n. 11908 del 23/11/2015, dep. 2016, Rallo, Rv. 266158 - 01; principio da recepirsi per quanto concerne il giudizio di appello, tenendo per il resto conto della disciplina di cui all'art. 441 c.p.p., come sostituito dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479, art. 29).Nella stessa prospettiva, dunque, è da ribadire che, nel giudizio abbreviato di appello, siccome l'unica attività di integrazione probatoria consentita è quella esercitabile officiosamente, non è configurabile un vero e proprio diritto alla prova di una delle parti cui corrisponda uno speculare diritto della controparte alla prova contraria, con la conseguenza che il mancato esercizio da parte del giudice di appello dei poteri ufficiosi di integrazione probatoria non può mai integrare il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) (Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Amaniera, Rv. 260840 - 01).Alla stregua delle richiamate coordinate, l'attività ufficiosa in appello relativa a rito abbreviato è stata legittimamente circoscritta dalla scelta della Corte di assise di appello alla sola acquisizione dalla consulente tecnica del Pubblico ministero dei chiarimenti ritenuti necessari, mediante la nuova escussione della medesima: escussione che è avvenuta nel contraddittorio delle parti, senza che la difesa dell'imputato abbia addotto concrete limitazioni del diritto di difesa.Per il resto, la decisione di non disporre la perizia, per l'esclusione dell'assoluta necessarietà della medesima, ha costituito l'esito - peraltro motivato in modo specifico e persuasivo (alle pagine 15 e 16 della sentenza) -dell'esercizio dei poteri attribuiti dall'ordinamento al giudice dell'appello nel rito abbreviato, non rilevando in contrario il fatto, addotto dal ricorrente, che la sua disposizione gli fosse stata già negata in sede di incidente probatorio.Il primo motivo, pertanto, si rivela, nel suo complesso, privo di fondamento.3. Il secondo motivo si appalesa generico.Va, innanzi tutto, rilevato che la questione dell'inutilizzabilità delle dichiarazioni di S.M. non era stata posta dall'imputato con l'atto di appello: che questi dovesse essere indagato per favoreggiamento è ugualmente questione introdotta, per la prima volta, con il ricorso proposto in questa sede.I giudici di merito non risultano essersi espressi in alcun modo al riguardo, nemmeno con riferimento all'evenienza di un qualche elemento relativo al dolo del delitto di favoreggiamento, ora ipotizzato dalla difesa con riguardo alla condotta di quel testimone per il semplice fatto che S.M., dopo essere stato raggiunto da una telefonata di S.G. che gli aveva riferito cosa gli era accaduto e dopo averlo invitato a uscire dal bosco in cui si era rifugiato e a recarsi in paese, lo aveva fatto salire a bordo del suo veicolo dove lo aveva rintracciato la Polizia.Del resto, allo stato degli elementi valutati dagli inquirenti, il giudice del merito non ha ritenuto potersi configurare alcuna causa di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese alla Polizia giudiziaria dal suddetto S.M. in data 1 gennaio 2018, ossia nella prima fase delle indagini, fase con riferimento alla quale la posizione del dichiarante doveva essere valutata.Attesi questi dati, la deduzione dell'inutilizzabilità patologica di siffatte dichiarazioni appare all'evidenza non accoglibile.Invero, è già dirimente considerare che la questione dell'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese senza le necessarie garanzie difensive da chi fin dall'inizio avrebbe dovuto essere sentito in qualità di imputato o indagato non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità ogni qual volta il suo scrutinio esige valutazioni di fatto su cui è necessario il previo vaglio, in contraddittorio, da parte del giudice di merito (Sez. 6, n. 18889 del 28/02/2017, Tomasi, Rv. 269891 - 01; Sez. 6, n. 43534 del 24/04/2012, Lubiana, Rv. 253798 - 01).D'altronde, non compete alla Corte di cassazione, in mancanza di specifiche deduzioni, verificare se esistano cause di inutilizzabilità o di invalidità di atti del procedimento che non appaiano manifeste, in quanto implichino la ricerca di evidenze processuali o di dati fattuali che è onere della parte interessata rappresentare adeguatamente (Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, De Iorio, Rv. 244326 - 01).Nel caso in esame, il profilo dedotto dal ricorrente non è stato ritenuto degno di alcun approfondimento da parte del giudice di merito, nè risultano essere stati svolti e sollecitati sul tema approfondimenti di sorta sul ruolo effettivo svolto da S.M. nell'ottica favoreggiatrice prospettata dal ricorrente, approfondimenti non effettuabili in questa sede.Non va, per altro verso, obliterato che la sanzione di inutilizzabilità erga omnes delle dichiarazioni assunte senza garanzie difensive da un soggetto che avrebbe dovuto fin dall'inizio essere sentito in qualità di imputato o persona soggetta alle indagini postula che a carico dell'interessato siano già acquisiti, prima dell'escussione, indizi non equivoci di reità, come tali conosciuti dall'autorità procedente, non rilevando a tale proposito eventuali sospetti od intuizioni personali dell'interrogante (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243417 - 01).Specularmente, è onere della parte che, con il ricorso per cassazione, eccepisce l'inutilizzabilità di determinati atti processuali indicare, pena l'inammissibilità del motivo per genericità, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì l'incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 1219 del 12/11/2019, dep. 2020, Cocciadiferro, Rv. 278123 - 01).In tal senso, nessuna determinante considerazione si profila svolta dal ricorrente circa la valenza delle dichiarazioni del suddetto soggetto nella formazione del quadro probatorio sulla cui base è stata accertata la responsabilità dell'imputato, in una cornice in cui l'elemento costituito dalle dichiarazioni stesse - a differenza dell'intercettazione della conversazione a cui egli aveva partecipato - non è stato ritenuto quello essenziale per la ricostruzione della dinamica del fatto e l'attribuzione della responsabilità all'imputato, essendosi invece valorizzata la suddetta captazione, coniugata agli altri elementi, fra cui gli accertamenti di polizia, il rinvenimento degli oggetti sequestrati e il riscontro medico-legale.Il motivo, pertanto, non è idoneo a superare il vaglio di ammissibilità.4. Passando all'esame della terza doglianza, i giudici di merito hanno fondato l'accertamento di responsabilità dell'imputato per il delitto di omicidio volontario, oltre che per quello di rapina aggravata, sulle dichiarazioni dello stesso S.G., sulle deposizioni di vari testimoni, sulle intercettazioni telefoniche (in particolare quella del 1 gennaio 2018) e sull'esito della consulenza medico-legale autoptica affidata dal Pubblico ministero alla Dott. S., dalla quale la Corte di assise di appello ha anche acquisito i succitati chiarimenti, oltre a vagliare i documenti prodotti, con memoria, dal Procuratore generale territoriale.4.1. E' stato evidenziato dalla Corte di assise di appello che gli elementi emersi, anche a seguito delle chiare valutazioni espresse dalla consulente del Pubblico ministero nei chiarimenti resi in secondo grado, hanno consentito di confermare la piena validità dell'inquadramento di fatto, con la relativa qualificazione, affermato dal primo giudice: si è ritenuto che le criticità prospettate dalla difesa siano state smentite dalla dinamica con cui l'azione aggressiva messa in essere dall'imputato ha provocato le lesioni patite da M. e dalla natura delle lesioni stesse.Si è sottolineato, con argomentazioni ineccepibili, che il dubbio insinuato in sede di appello sul fatto che l'imputato avesse sferrato uno e non due colpi si è dissolto, in primo luogo, esaminando il contenuto della conversazione intercettata fra G. e M. - nel corso della quale l'imputato aveva affermato espressamente di aver dato due colpi in testa alla vittima, salvo a sostenere il contrario nel susseguente esame, nell'evidente tentativo di minimizzare la sua azione - e, in secondo luogo, valutando quanto aveva chiarito la consulente del Pubblico ministero, sulla scorta dell'obiettiva entità delle lesioni al capo della vittima e della loro allocazione.In particolare, i giudici di appello hanno accertato, sulla scorta delle valide considerazioni medico-legali espresse dalla suindicata consulente, che sia la lesione alla nuca, sia la lesione in sede frontale erano state causate da colpi determinati da un corpo contundente a superficie liscia, non da un impatto susseguente alla caduta, giacchè anche la lesione in sede frontale, risultata priva di reliquati escoriativi, se fosse stata causata da un caduta, si sarebbe presentata con ferite lacero-contuse e non si sarebbe formata solo nella regione destra della fronte; ciò che ha portato a escludere, per tale lesione, sia la genesi della caduta, sia - in mancanza della forma a impronta della stessa - quella del calcio di cavallo. Pertanto, la Corte, dando per il resto credito alla confessione dell'imputato di aver utilizzato per colpire la parte in legno, e non quella metallica, del forcone, ha individuato nella parte in legno di tale strumento agricolo il corpo contundente rotondeggiante con cui erano state provocate le ferite, le tracce ematiche sulla parte in ferro del medesimo essendo l'effetto della colatura del sangue seguita ai colpi.4.2. Da tale approdo è derivata l'ulteriore, logica considerazione circa la natura marcatamente aggressiva della condotta dell'imputato ai danni del datore di lavoro M.A., con le conseguenti riflessioni pure espresse dai giudici di appello in punto di individuazione dell'elemento soggettivo: nella decisione impugnata si è chiarito (anche con il richiamo delle efficaci riflessioni svolte dal primo giudice a pagina 10 della relativa sentenza) che, soprattutto dopo avere sferrato il primo colpo, l'agente ha replicato, con pari violenza, il colpo in danno della persona offesa già abbattuta, con condotta sorretta da volontà omicida, in questo caso nella forma del dolo diretto alternativo, avendo cioè consapevolmente previsto e voluto, alternativamente alla sola determinazione delle lesioni, anche la determinazione a causa della sua azione della morte dell'aggredito, accettando - non semplicemente il rischio, ma anche l'evento della morte del medesimo.Corrobora tale conclusione, secondo l'argomentato iter esposto dalla Corte territoriale, la valutazione del comportamento dell'imputato subito dopo il delitto quando, nella telefonata intercorsa con S.M., aveva mostrato indifferenza per l'accaduto e si era preoccupato unicamente di mettersi al riparo dalle conseguenze della sua condotta citando S.M., ossia la persona a cui voleva affidare il compito di emettere il biglietto per la partenza verso l'India.In tale inquadramento, sorretto da motivazione adeguata e priva di cesure logiche, i giudici di merito hanno collegato all'azione aggressiva anche la condotta violenta in virtù della quale l'imputato ha, in progressione, perpetrato anche la sottrazione della catenina e del danaro ai danni di M.A..Gli elementi fattuali contrapposti dal ricorrente - ossia la causale dell'aggressione, individuata nella dedotta mancata corresponsione da parte di M. all'imputato di tutte le spettanze dovute per il lavoro da quest'ultimo svolto alle sue dipendenze, e lo strumento dell'aggressione, indicato nel primo corpo contundente trovatosi fra le mani -, anche a darli per assodati, non sono in rapporto di insanabile contrasto logico-giuridico con le considerazioni svolte dalla Corte di assise di appello, potendo essi orientare verso la qualificazione dell'elemento soggettivo come dolo d'impeto, ma non a mutarne la natura.4.3. In tale prospettiva, oltre alla constatazione che ogni dubbio sul nesso di causalità fra ferite e decesso è stato dissolto dalla Corte di merito (nelle considerazioni svolte alle pagine da 13 a 15 della sentenza), tenendo conto della vicenda patologica susseguente al ferimento e valutandola come senz'altro inidonea alla cesura del suddetto nesso fra lesioni e decesso, la critica inerente alla mancata qualificazione dell'omicidio come preterintenzionale ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 584 c.p., si rivela manifestamente priva di fondamento.Invero, ribadito che la Corte di merito ha esaurientemente dimostrato l'evenienza alla base della condotta lesiva dell'animus necandi, sub specie di dolo diretto in forma alternativa, se pure si fosse accertata la sussistenza alla base dell'azione delittuosa del dolo omicidiario eventuale, la suddetta censura non avrebbe comunque colto nel segno: deve, sul punto, riaffermarsi il principio di diritto secondo cui si configura il delitto di omicidio volontario - e non quello di omicidio preterintenzionale, caratterizzato dalla totale assenza di volontà omicida - nell'ipotesi in cui la condotta dell'agente, alla stregua delle regole di comune esperienza, dimostri la consapevole accettazione da parte del medesimo anche solo dell'eventualità che dal suo comportamento potesse derivare la morte del soggetto passivo (Sez. 5, n. 11946 del 09/01/2020, Caciula, Rv. 278932 - 01; Sez. 1, n. 3619 del 22/12/2017, dep. 2018, Marini, Rv. 272050 - 01).I temi introdotti nel terzo motivo e finora trattati risultano, pertanto, versati in fatto e, per il resto, manifestamente privi di fondamento, con conseguente loro inammissibilità.Nell'immediato prosieguo si va a scrutinare la questione della compatibilità fra omicidio volontario e rapina, anche in relazione all'elemento soggettivo.5. Riprendendo l'ultima parte del terzo motivo e trattandola insieme al quarto e al quinto motivo, data l'intima connessione delle questioni in essi sollevate, deve innanzi tutto ribadirsi che, con riferimento alla configurazione dell'omicidio come volontario, la dedotta natura eventuale del dolo non spiega rilievo sulla qualificazione del delitto, trattandosi di omicidio consumato, e non tentato (per il tentativo valendo l'incompatibilità con quella forma di dolo).5.1. In ogni caso, si è già acclarata l'incensurabilità dell'approdo raggiunto dalla Corte di assise di appello in merito alla forma di dolo, diretto e non eventuale, alla base dell'omicidio.Certo, la natura eventuale del dolo alla base della condotta omicidiaria avrebbe comportato la possibilità di apprezzare la sua diversa intensità in relazione alla dosimetria della pena, come in qualche misura il ricorrente adombra nel quarto motivo: ma il dolo eventuale è stato rettamente escluso dai giudici di merito, per cui questa tematica, nel caso concreto, non rileva.5.2. Per quanto concerne, poi, la dedotta incompatibilità fra il dolo diretto di uccisione e quello di aggressione finalizzato a sottrarre alla vittima la refurtiva poi trovata nella disponibilità dell'imputato, la censura non scalfisce l'accertata coordinazione fra l'aggressione da parte dell'imputato ai danni di M. e la violenta sottrazione del danaro e della catena d'oro alla vittima, ancora in vita.Sul tema, la, per vero sincretica, affermazione della Corte di assise di appello, secondo la quale la rapina è risultata la logica conseguenza dell'aggressione, si spiega alla stregua delle più articolate delucidazioni fornite nella motivazione della sentenza di primo grado, sul punto integrativa della decisione impugnata.Il primo giudice aveva, infatti, puntualizzato che corroboravano l'accertamento della penale responsabilità di S. anche per il delitto di rapina il sequestro operato nei suoi confronti al momento del fermo, quando l'imputato era stato trovato in possesso di una catena d'oro sporca di sangue e di circa 400,00 Euro, l'intercettazione della conversazione nella quale l'imputato, parlando con l'amico, raccontava di avere colpito il datore di lavoro e di avergli sottratto la catena d'oro e i soldi, nonchè il contenuto dell'interrogatorio reso dall'imputato, nel corso del quale S. aveva ammesso di avere aggredito M., suo datore di lavoro, perchè questi non gli pagava le spettanze dovute, e di avergli strappato la catena d'oro per poi prendergli il denaro: consecutio fattuale in virtù della quale risulta adeguatamente lumeggiato l'accertamento di merito della sicura funzionalità dell'aggressione all'impossessamento violento dei valori succitati.Il carattere doloso dell'azione direttamente aggressiva e della connessa, per acclarata strumentalità, azione sottrattiva dei beni alla vittima, certamente ancora in vita, è stato quindi ritenuto in modo giuridicamente corretto nella prima e, poi, nella seconda sentenza di merito, non sussistendo - nella situazione di fatto incensurabilmente accertata - l'incompatibilità fra i delitti di omicidio volontario e di rapina ventilata, in modo biunivoco, dal ricorrente in particolare nel quinto motivo.Pertanto, le questioni dedotte in questi ultimi motivi sono da reputarsi infondate.6. In conclusione, l'impugnazione deve essere, nel suo complesso, rigettata. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.