«Solo le sporgenze esterne del fabbricato che abbiano funzione meramente artistica ed ornamentale, come fregi, sculture in aggetto e simili, non sono computabili ai fini del calcolo della distanza legale tra gli edifici».
L'attore proponeva di fronte al Tribunale di Firenze accertamento tecnico preventivo ai fini della descrizione dei danni causati all'immobile di sua proprietà per via dell'edificazione che due società stavano realizzando in aderenza.
Con l'ordinanza n. 25191 del 17 settembre 2021, gli Ermellini accolgono il ricorso proposto dall'attore enunciando i seguenti principi di...
Svolgimento del processo
Con ricorso ex art. 696 c.p.c., depositato l'11.12.2001 T.L. proponeva innanzi al Tribunale di Firenze accertamento tecnico preventivo per la descrizione dei danni causati al suo immobile per effetto dell'edificazione che le società Palma S.r.l. e Censore Immobiliare S.r.l. stavano realizzando in aderenza, nonchè per la descrizione dello stato dei luoghi, relativamente alla limitazione della veduta esercitata dalla terrazza della sua abitazione. All'esito del deposito della relazione peritale, che confermava che al posto del preesistente edificio, elevato per due piani fuori terra, era stato realizzato un nuovo immobile di quattro piani fuori terra, dotato di vari terrazzi e finestre e realizzato in parte in aderenza a quello di proprietà del T., quest'ultimo evocava in giudizio le due predette società, Palma S.r.l. e Censore Immobiliare S.r.l., innanzi il Tribunale di Firenze, chiedendone la condanna ad arretrare la loro nuova fabbrica sino al rispetto della distanza minima tra gli edifici.
Si costituiva in giudizio Censore Immobiliare S.r.l., invocando la sua estraneità al giudizio per aver ceduto il suolo interessato dall'edificazione alla Palma S.r.l. Si costituiva altresì quest'ultima, resistendo alla domanda e chiamando in giudizio la compagnia di assicurazione SAI S.p.A. e la Art. Imm S.r.l., che aveva materialmente eseguito i lavori. Quest'ultima, costituendosi, estendeva a sua volta il contraddittorio nei confronti del progettista, M.A. e della compagnia assicurativa Aviva Italia S.p.a. Il progettista, a sua volta, chiamava in causa Unipol S.p.a.;
Con sentenza n. 1560/2009 il Tribunale di Firenze rigettava la domanda.
Interponeva appello il T., invocando:
1) l'arretramento del nuovo fabbricato sino alla distanza di dieci metri prevista tra le pareti finestrate;
2) l'arretramento della parte della nuova fabbrica eretta in aderenza al suo immobile sino alla distanza di 6 metri, o comunque alla distanza doppia di quella di cui all'art. 873 c.c.;
3) l'arretramento dei terrazzi del nuovo edificio fino al rispetto della distanza minima di 5 metri dalla terrazza di sua proprietà;
4) il risarcimento del danno patito.
Nella resistenza delle altre parti del giudizio, la Corte di Appello di Firenze, con la sentenza oggi impugnata, n. 2209/2015, rigettava il gravame condannando l'appellante alle spese del grado.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione T.L., affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso La Palma S.r.l. in liquidazione.
Le altre parti intimate non hanno svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
La parte ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell'adunanza camerale.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, e la falsa applicazione dell'art. 11 delle N.T.A. del P.G.R. del Comune di (omissis), in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe dovuto ravvisare un contrasto tra la disciplina statale e quella prevista dal regolamento locale e disapplicare la seconda.
La censura è fondata.
La Corte di Appello richiama la motivazione del Tribunale (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata), che aveva escluso la rilevanza delle finestre esistenti nel muro della proprietà Tosi, interessate dalla prospiciente nuova edificazione denunciata, sul presupposto che dette aperture non concorressero al raggiungimento del rapporto minimo di illuminazione tra superficie pavimentata e superficie finestrata. In sostanza, il primo giudice aveva affermato che dal momento che la proprietà Tosi aveva altre aperture, dalle quali prendeva sufficiente luce, la violazione della normativa in tema di distanze minime tra le pareti finestrate prospicienti non era rilevante, poichè interessante solo aperture "secondarie". Ad avviso della Corte fiorentina, l'appellante Tosi non si sarebbe adeguatamente confrontato con tale argomentazione della sentenza di prima istanza, non contestando il fatto che le due aperture interessate dall'edificazione di cui è causa fossero a servizio di vani adibiti a servizi igienici, o comunque non rilevanti ai fini dell'illuminazione della sala da pranzo della proprietà T.. Di conseguenza, il giudice di secondo grado ha ritenuto di non poter entrare nel merito della decisione assunta dal Tribunale.
Con tale motivazione, in realtà, la Corte toscana ha totalmente omesso di considerare che il T. - come la stessa sentenza impugnata dà atto: cfr. pag. 10 - aveva contestato la legittimità della costruzione realizzata a meno di dieci metri dalla sua parete finestrata, "... citando copiosa giurisprudenza del giudice ordinario e del giudice amministrativo..." e quindi aveva attinto il punto della decisione con il quale la sua domanda era stata respinta.
La Corte distrettuale evidenzia che la censura formulata in appello non attingeva la ratio decidendi della sentenza di prime cure, fondata "... sulle specifiche considerazioni svolte dal C.T.U. ing. M.R. alle pagine 51, 52 e 53 della relazione di c.t.u. in base alla normativa regolamentare di riferimento". Tale argomento, tuttavia, oltre ad essere di per sè erroneo, poichè ispirato al modello processuale del cd. "appello cassatorio", che non trova cittadinanza nel vigente sistema processuale civile, sottovaluta il fatto che, oggettivamente, il T. aveva attinto, con il primo motivo di appello, la statuizione con la quale il Tribunale aveva respinto la sua domanda di arretramento del fabbricato frontistante il suo fino al limite di dieci metri previsto tra le pareti finestrate. Il giudice di appello, di conseguenza, era tenuto ad esaminare il merito della questione che l'appellante, con la censura di cui si discute, aveva chiaramente devoluto alla sua cognizione.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 11 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di (omissis), nonchè la falsa applicazione dell'art. 877 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte fiorentina avrebbe dovuto ritenere non operante la norma del codice civile, che autorizza la costruzione in aderenza, in presenza di un regolamento locale che prevede il rispetto di una specifica distanza tra edifici, e tra edificio e confine, senza autorizzare espressamente la costruzione in aderenza.
La censura è fondata.
La Corte di Appello parte dal presupposto (cfr. pagg. 11 e ss. della sentenza impugnata) che nel caso specifico la normativa regolamentare locale, pur prevedendo distanze maggiori di quelle indicate nel codice civile, richiamava espressamente la normativa codicistica. Pertanto, secondo la Corte fiorentina, tra norma locale e norma del codice civile si configurava un rapporto non già di sovrapposizione, ma di integrazione, con la conseguenza che, anche in difetto di esplicita norma regolamentare che autorizzasse l'edificazione in aderenza, quest'ultima dovesse essere ritenuta comunque consentita, proprio per effetto del rinvio operato alle norme del codice civile.
Siddetta interpretazione non è coerente con il consolidato insegnamento di questa Corte, secondo cui "In tema di distanze legali, il principio della prevenzione ex art. 875 c.c., non è derogato nel caso in cui il regolamento edilizio si limiti a fissare la distanza minima tra le costruzioni, mentre lo è qualora la norma regolamentare stabilisca anche (o soltanto) la distanza minima delle costruzioni dal confine, atteso che in quest'ultimo caso l'obbligo di arretrare la costruzione è assoluto, come il corrispondente divieto di costruire sul confine, a meno che una specifica disposizione del regolamento edilizio non consenta espressamente di costruire in aderenza" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8283 del 20/04/2005, Rv. 581792; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22896 del 30/10/2007, Rv. 600691; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8465 del 09/04/2010, Rv. 612355; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23693 del 06/11/2014, Rv. 633061; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 11664 del 14/05/2018, Rv. 648398). In presenza di norme regolamentari locali che prevedano il rispetto di una distanza minima, tra edifici o tra questi ed il confine, dunque, la possibilità di realizzare una costruzione in aderenza è subordinata alla presenza, nel regolamento locale, di una norma che espressamente autorizzi detta facoltà. Ove detta disposizione non sia contenuta nella norma locale, non è consentito rinviare all'art. 873 c.c..
Dal che deriva il primo errore commesso dal giudice di merito, il quale non ha tenuto conto del consolidato principio per cui l'edificazione in aderenza non è consentita, in presenza di norma regolamentare locale che, nel prescrivere specifiche distanze tra edifici e tra questi ed i confini, non contempli espressamente tale specifica facoltà.
Il criterio dell'integrazione opera, piuttosto, in assenza di piano regolatore locale, tra la L. n. 765 del 1967, art. 17, e la normativa codicistica, poichè in tale ipotesi vale il principio secondo cui "In tema di distanze nelle costruzioni, il principio codicistico della prevenzione si applica anche alle situazioni nelle quali opera, in assenza di piano regolatore, la disciplina della L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 17, le cui prescrizioni, regolando la distanza tra fabbricati, e non tra fabbricato e confine, sono sostanzialmente integrative dell'art. 873 c.c., con la conseguenza che ad essa devono applicarsi le regole ed i principi previsti dal codice civile per la disciplina della distanza fra costruzioni su fondi finitimi, compreso quello della prevenzione, non escluso dalla legge speciale" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27522 del 19/12/2011, Rv. 620680).
Nel caso di specie è certo che il Comune di (omissis), nel cui territorio ricadono i luoghi di cui è causa, si sia dotato di piano di regolatore, a corredo del quale sono state adottate specifiche norme tecniche di attuazione, la cui violazione è - tra l'altro - oggetto tanto delle domande proposte dal T. nel giudizio di merito, che delle censure articolate dal medesimo nella presente sede di legittimità. La Corte territoriale, dunque, ha ulteriormente errato nella parte in cui ha ritenuto non conferenti i precedenti di questa Corte in materia di prevenzione, poichè quest'ultima presuppone l'edificazione a distanza inferiore da quella prevista dalla legge o dal regolamento locale, e quindi e intimamente connessa al problema della costruzione in aderenza.
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 873 c.c., e la falsa applicazione dell'art. 11 delle N. T.A. del P.R.G. del Comune di (omissis), in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè il giudice di seconde cure avrebbe erroneamente deciso la domanda relativa all'arretramento dei balconi realizzati nel nuovo edificio facendo applicazione della disposizione di cui all'art. 905 c.c., in materia di diritto di veduta, e non invece di quella di cui all'art. 873 c.c., in materia di distanze tra gli edifici.
La censura è fondata.
La Corte di Appello ha, da un lato, richiamato la motivazione resa dal Tribunale, secondo la quale "... le disposizioni regolamentari prevedono che ai fini del calcolo della anzidetta distanza di mt. 5 non debbano essere considerati gli aggetti della copertura e gli elementi decorativi nonchè le terrazze aggettanti" (cfr. pag. 14), e dall'altro lato affermato che nel caso di specie non verrebbe in rilievo un problema di distanze tra le costruzioni o dal confine, ma piuttosto una questione di regolamentazione del diritto di veduta, con conseguente applicazione non dell'art. 873 c.c., ma dell'art. 905 c.c.. Entrambe le affermazioni sono erronee.
In particolare, è errata la seconda -che logicamente precede la prima- in quanto il balcone costituisce una parte dell'edificio, ond'esso va considerato, ai fini del calcolo delle distanze tra fabbricati, o tra essi ed il confine. E lo è la seconda, in base al consolidati principio -al quale il collegio ritiene di dare continuità- secondo cui "In tema di distanze legali fra edifici non sono computabili le sporgenze esterne del fabbricato che abbiano funzione meramente ornamentale, mentre costituiscono corpo di fabbrica le sporgenze degli edifici aventi particolari proporzioni, come i balconi sostenuti da solette aggettanti, anche se scoperti, ove siano di apprezzabile profondità e ampiezza, giacchè, pur non corrispondendo a volumi abitativi coperti, rientrano nel concetto civilistico di costruzione, in quanto destinati ad estendere ed ampliare la consistenza dei fabbricati. Ne consegue che l'art. 14 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore di Verona, là dove si riferisce alla lunghezza dei "corpi prospicienti" per rapportare le distanze all'altezza massima dei fabbricati, essendo il "corpo di fabbrica" sinonimo di "costruzione" agli effetti dell'art. 873 c.c., che non può essere derogato da norme secondarie, se non per stabilire distanze maggiori dal confine, deve essere interpretato nel senso che la lunghezza delle facciate degli edifici dev'essere computata così da escludere solo le sporgenze aventi funzione ornamentale e non anche quelle che prolungando il fronte eccedono detta funzione" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1.2964 del 31/05/2006, Rv. 593831; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5963 del 25/03/2004, Rv. 571526; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1556 del 26/01/2005, Rv. 578604).
In termini ancor più chiari, si è affermato che "In tema di distanze tra costruzioni su fondi finitimi, ai sensi dell'art. 873 c.c., con riferimento alla determinazione del relativo calcolo, poichè il balcone, estendendo in superficie il volume edificatorio, costituisce corpo di fabbrica, e poichè il D.M. 2 aprile 1968, art. 9, - applicabile alla fattispecie, disciplinata dalla legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, come modificata dalla L. 6 agosto 1967, n. 765 - stabilisce la distanza minima di mt. 10 tra pareti finestrate e pareti antistanti, un regolamento edilizio che stabilisca un criterio di misurazione della distanza tra edifici che non tenga conto dell'estensione del balcone, è "contra legem" in quanto, sottraendo dal calcolo della distanza l'estensione del balcone, viene a determinare una distanza tra fabbricati inferiore a mt. 10, violando il distacco voluto dalla cd. legge ponte (L. 6 agosto 1967 n. 765, che, con l'art. 17, ha aggiunto alla legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150 l'art. 41 quinquies, il cui comma non fa rinvio al D.M. 2 aprile 1968, che all'art. 9, n. 2, ha prescritto il predetto limite di mt. 10)"(Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17089 del 27/07/2006, Rv. 593396).
Da quanto precede deriva che i balconi devono sempre essere considerati ai fini del calcolo della distanza tra edifici e tra questi ed il confine. Le sole parti delle quali può non tenersi conto, in detto calcolo, sono quelle aggettanti, aventi una funzione esclusivamente artistica ed ornamentale, quali fregi, sculture in aggetto e simili.
In definitiva, tutti e tre i motivi di ricorso vanno accolti, con conseguente cassazione della decisione impugnata e rinvio della causa alla Corte di Appello di Firenze, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Il giudice del rinvio avrà cura di uniformarsi ai seguenti principi di diritto: "1) Il motivo di appello con il quale venga attinta la statuizione di rigetto della domanda di arretramento dell'edificio prospiciente, per violazione della distanza minima tra le pareti finestrate prevista dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, va ritenuto sufficientemente specifico, e dunque idoneo a devolvere la questione al giudice di secondo grado, anche qualora la parte appellante, nel formulare la censura e ribadire gli argomenti difensivi già proposti in prime cure, non abbia specificamente confutato le argomentazioni contenute nella decisione di prime cure a sostegno della decisione di rigetto, ogni qual volta la doglianza consenta comunque al giudice di appello di identificare la questione devoluta.
2) In tema di distanze legali, il principio della prevenzione ex art. 875 c.c., non è derogato nel caso in cui il regolamento edilizio si limiti a fissare la distanza minima tra le costruzioni, mentre lo è qualora la norma regolamentare stabilisca anche (o soltanto) la distanza minima delle costruzioni dal confine, atteso che in quest'ultimo caso l'obbligo di arretrare la costruzione è assoluto, come il corrispondente divieto di costruire sul confine, a meno che una specifica disposizione del regolamento edilizio non consenta espressamente di costruire in aderenza;
3) La realizzazione di un balcone in aggetto a distanza inferiore a quella legale da un edificio prospiciente non pone soltanto una questione di veduta, ma anche di rispetto della distanza minima tra gli edifici, posto che il balcone costituisce comunque parte dell'edificio al quale accede. In tal caso, ai fini del calcolo della predetta distanza legale fra gli edifici, costituiscono corpo di fabbrica le sporgenze degli edifici aventi particolari proporzioni, come i balconi sostenuti da solette aggettanti, anche se scoperti, ove siano di apprezzabile profondità e ampiezza, giacchè, pur non corrispondendo a volumi abitativi coperti, rientrano nel concetto civilistico di costruzione, in quanto destinati ad estendere ed ampliare la consistenza dei fabbricati. Solo le sporgenze esterne del fabbricato che abbiano funzione meramente artistica ed ornamentale, come fregi, sculture in aggetto e simili, non sono computabili ai fini del calcolo della distanza legale tra gli edifici".
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Firenze, in differente composizione.