Nella sentenza in esame, gli Ermellini chiariscono quali sono le condizioni da soddisfare per legge affinché possa essere riconosciuto il diritto di prelazione nel sistema dei contratti agrari.
L'attore conveniva in giudizio l'Istituto diocesano e un altro convenuto ai fini del riconoscimento del suo diritto di prelazione agraria in relazione alla conduzione di un fondo rustico in agro situato a Bisceglie. A sostegno della domanda, l'attore esponeva di essere stato conduttore del fondo per molti anni e che, non essendo stato rinnovato il contratto alla scadenza...
Svolgimento del processo
1. Con ricorso al Tribunale di Trani, Sezione specializzata agraria, C.B. convenne in giudizio l'Istituto diocesano per il sostentamento del clero di Trani, Barletta e Bisceglie e Co.Se., chiedendo che fosse riconosciuto il suo diritto di prelazione agraria in relazione alla conduzione di un fondo rustico in (omissis).
A sostegno della domanda espose di essere stato conduttore di quel fondo per molti anni e che, non rinnovato il contratto alla scadenza da parte dell'Istituto, quest'ultimo aveva stipulato un contratto di affitto con Co.Se., in violazione del diritto di prelazione a lui spettante in base alla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 4-bis.
Si costituì in giudizio l'Istituto convenuto, chiedendo il rigetto della domanda e proponendo domanda riconvenzionale per il risarcimento del danno ed il mancato pagamento del canone locativo relativo all'anno 2013.
Co.Se. rimase contumace.
Il Tribunale accolse la domanda principale, dichiarò l'inefficacia del contratto stipulato tra i due convenuti e ordinò l'instaurazione di un nuovo contratto tra l'attore e l'Istituto convenuto, alle stesse condizioni di quelle previste nel contratto con il Co.; rigettò la domanda di risarcimento danni avanzata dall'attore, dichiarò inammissibili le domande riconvenzionali dell'Istituto e condannò quest'ultimo alle spese di lite.
2. La pronuncia è stata impugnata dall'Istituto diocesano per il sostentamento del clero di Trani, Barletta e Bisceglie e da Co.Se. in via principale e da C.B. in via incidentale e la Corte d'appello di Bari, Sezione specializzata agraria, con sentenza del 10 luglio 2018, ha accolto l'appello principale, ha rigettato quello incidentale e, in riforma della decisione del Tribunale, ha rigettato la domanda di prelazione proposta dall'originario attore, condannando quest'ultimo alla rifusione delle spese del doppio grado ed alla restituzione delle somme a lui versate in esecuzione della sentenza di primo grado.
Ha osservato la Corte territoriale, per quanto di interesse in questa sede, che l'interpretazione corretta della L. n. 203 del 1982, art. 4-bis porta a ritenere che, per aversi violazione del diritto di prelazione, debbano sussistere congiuntamente tre condizioni: che nei novanta giorni precedenti la scadenza del contratto il locatore riceva una o più offerte di locazione; che non provveda a comunicarle al precedente conduttore; che sottoscriva un nuovo contratto con il nuovo offerente nei sei mesi successivi. Aveva pertanto errato il Tribunale nel ritenere che i presupposti di cui sopra potessero essere considerati in via autonoma. Mancando, nel caso di specie, la prova della ricorrenza di tutte le condizioni di legge, non sussisteva alcuna violazione del diritto di prelazione del conduttore. Nè poteva affermarsi, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, che la circostanza per cui il contratto con il Co. era stato stipulato il 19 marzo 2014 - cioè due mesi e mezzo dopo la scadenza del contratto con il C. - potesse costituire prova del fatto che quell'offerta contrattuale fosse pervenuta all'Istituto diocesano nei novanta giorni precedenti la scadenza.
La Corte d'appello ha poi aggiunto che poteva attribuirsi "un qualche valore sintomatico, non apprezzato dal Tribunale", al fatto che il C. aveva inviato all'Istituto diocesano una lettera raccomanda in data 4 febbraio 2014 (cioè dopo la scadenza del contratto) con la quale aveva chiesto al locatore di poter effettuare la raccolta delle ciliegie anche per l'anno 2014, "così mostrando per facta concludentia la volontà di accettare la risoluzione contrattuale in antitesi alla volontà di rinnovo del contratto".
3. Contro la sentenza della Corte d'appello di Bari ricorre C.B. con atto affidato a due motivi.
Resistono l'Istituto diocesano per il sostentamento del clero di Trani, Barletta e Bisceglie e Co.Se. con un unico controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c. e la Sesta Sezione Civile, con ordinanza interlocutoria 26 giugno 2020, n. 12849, ha disposto il rinvio alla pubblica udienza presso la Terza Sezione Civile.
Il ricorso è stato quindi nuovamente fissato per l'udienza pubblica del 10 marzo 2021 e poi trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal sopravvenuto D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176, senza l'intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni per iscritto, chiedendo il rigetto del ricorso.
I controricorrenti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, art. 4-bis.
2. Con il secondo motivo si pone identica censura di violazione di legge, sul rilievo che la Corte d'appello avrebbe deciso la causa senza fare un corretto uso del precedente costituito dalla sentenza 8 giugno 2004, n. 10818, di questa Corte.
Si sostiene che l'interpretazione fatta propria dalla Corte d'appello costringerebbe il titolare del diritto di prelazione ad una probatio diabolica, costituita dalla dimostrazione che al locatore sono pervenute offerte di affitto nei novanta giorni precedenti alla scadenza e che egli non le ha comunicate al conduttore. In tal modo risulterebbe inutile anche la previsione del termine di sei mesi per la stipula del contratto successivo (comma 4), perchè il locatore, non avendo comunicato nulla al conduttore, non sarebbe tenuto ad attendere quel periodo prima di stipulare un altro contratto. In altri termini, l'interpretazione della Corte barese avrebbe vanificato l'effetto di protezione del conduttore e la finalità della legge volta a garantire la continuità della coltivazione. Sostiene il ricorrente, quindi, che l'unica interpretazione in grado di dare alla norma in questione un significato plausibile, conciliando l'apparente antinomia tra il comma 1 e il comma 4 dell'art. 4-bis, sarebbe quella di ritenere che la legge abbia istituito una presunzione iuris et de iure per cui i contratti di affitto stipulati nei sei mesi dalla conclusione di quello precedente costituiscono la conseguenza "dell'accettazione di proposte risalenti ad epoca anteriore ai novanta giorni precedenti tale scadenza". Con la conseguenza che solo dopo il decorso del termine di sei mesi il locatore potrà riaffittare il fondo a terzi.
3. I due motivi possono essere trattati congiuntamente, stante la loro palese connessione.
E' opportuno premettere che - se si fa eccezione per la citata sentenza n. 10818 del 2004, la quale peraltro non ha compiuto una ricostruzione sistematica della norma in questione - non vi sono, a quanto consta, altre pronunce nelle quali questa Corte si è occupata della L. n. 203 del 1982, art. 4-bis; per cui si deve procedere ad una rapida ricognizione del testo di legge per inquadrare tale norma nel sistema dei contratti agrari.
3.1. L'art. 4-bis cit. è stato inserito dal D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228, art. 5.
A ben guardare, non si tratta di una novità assoluta nel quadro del diritto positivo. Volendo individuare le disposizioni alle quali il legislatore del 2001 si è probabilmente ispirato bisogna richiamare la L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 40 (Diritto di prelazione in caso di nuova locazione) e la L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8 in tema di prelazione e riscatto agrario. Non a caso, infatti, l'art. 4-bis è intitolato "Diritto di prelazione in caso di nuovo affitto".
Il comma 1 prevede l'obbligo, in capo al locatore, di comunicare al conduttore (uscente) "le offerte ricevute, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, almeno novanta giorni prima della scadenza". Il legislatore, quindi, ha contenuto l'obbligo di comunicazione da parte del locatore entro un preciso limite temporale, per cui soltanto chi ha fatto un'offerta al locatore fino a quella data sarà destinato a soccombere rispetto al diritto di prelazione eventualmente esercitato dal precedente conduttore. Il che vuol dire che tutte le proposte che giungano al locatore a partire dal novantesimo giorno antecedente la scadenza in avanti, cioè fino all'ultimo giorno prima della scadenza, non devono essere comunicate dal locatore al conduttore; e che rispetto alle proposte contrattuali pervenute al locatore dal novantesimo giorno anteriore alla scadenza in avanti il conduttore sarà destinato a soccombere, nel senso che non potrà esercitare il diritto di prelazione, posto che il locatore non è neppure tenuto a dargliene notizia.
Il comma 2 esclude l'obbligo di comunicazione di cui al comma 1 qualora il conduttore "abbia comunicato che non intende rinnovare l'affitto" e nei casi di cessazione del rapporto "per grave inadempienza o recesso del conduttore ai sensi dell'art. 5".
Il comma 3 prevede un meccanismo diverso da quello della L. n. 590 del 1965, art. 8. Nella prelazione agraria, infatti, quando il titolare della prelazione accetta l'offerta, il contratto è concluso e non c'è bisogno di stipularne un altro, a differenza di quanto avviene per la prelazione urbana (così, tra le altre, la sentenza 12 novembre 2013, n. 25419). Qui, invece, il meccanismo è diverso: la legge dice che il conduttore "ha diritto di prelazione se, entro quarantacinque giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma i e nelle forme ivi previste, offre condizioni uguali a quelle comunicategli dal locatore". Pertanto, mentre nella prelazione agraria è il venditore che fa l'offerta, l'art. 4-bis cit. dispone che sia il conduttore chiamato ad "offrire" condizioni uguali a quelle a lui comunicate; ed è il caso di rilevare che la legge non specifica quali conseguenze si verifichino se il locatore, ricevuta l'offerta da parte del conduttore, si rifiuti di sottoscrivere con lui il contratto o, più semplicemente, lasci cadere l'offerta rimanendo in silenzio.
Il comma 4 riavvicina la fattispecie in esame a quella della prelazione agraria. La situazione è diversa da quella del comma 3, perchè qui il locatore deve aver concesso in affitto il fondo a terzi, entro i sei mesi successivi alla scadenza, "senza preventivamente comunicare le offerte ricevute secondo le modalità e i termini di cui al comma 1 ovvero a condizioni più favorevoli di quelle comunicate al conduttore"; e in tal caso quest'ultimo "conserva il diritto di prelazione da esercitare nelle forme di cui al comma 3 entro il termine di un anno dalla scadenza del contratto non rinnovato". A seguito del positivo esercizio del diritto di prelazione, prosegue la norma, "si instaura un nuovo rapporto di affitto alle medesime condizioni del contratto concluso dal locatore con il terzo". In pratica, ciò significa che si viene a determinare una sostituzione ex lege di un contraente (cioè il precedente affittuario che ha esercitato il diritto di prelazione) ad un altro (quello individuato dal locatore); si tratta sempre dell'esercizio di un diritto di prelazione, ma con una conseguenza diversa da quella di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 40 (ipotesi per la quale la sentenza 19 agosto 2003, n. 12098, di questa Corte già avvertiva l'impossibilità di una sostituzione autoritativa dell'originario conduttore al soggetto al quale l'immobile sia stato nuovamente locato).
3.2. Fin qui il testo della legge.
Questa Corte, nell'unico precedente in cui ha affrontato il problema (sentenza n. 10818 del 2004), ha affermato che le tre condizioni di cui all'art. 4-bis cit., così come indicate dalla Corte d'appello, devono coesistere affinchè possa essere riconosciuto il diritto di prelazione. Occorre, cioè, che "il concedente a) abbia ricevuto (evidentemente provocate dalla manifestazione della intenzione di concedere nuovamente in affitto il fondo, il cui affitto, già disdettato, sta per scadere) offerte di affitto da parte di terzi; b) non abbia comunicato all'affittuario, almeno novanta giorni prima della scadenza del contratto, le offerte ricevute; c) abbia concesso il fondo in affitto a terzi entro i sei mesi dalla scadenza del contratto" (così la citata sentenza).
La Corte d'appello di Bari, richiamandosi a questa decisione, ha affermato che per aversi lesione del diritto di prelazione dell'affittuario le tre condizioni ora indicate debbono sussistere tutte; per cui anche la mancanza di una sola di esse è indice che quel diritto non è stato leso.
Il ricorrente, come si è detto, censura detta interpretazione rilevando che essa costringerebbe l'affittuario cessato ad una probatio diabolica; e suggerisce, come "unica interpretazione possibile" in grado di risolvere l'apparente disarmonia tra il comma 1 e il comma 4, quella "di ritenere che il legislatore abbia inteso stabilire una presunzione iuris et de iure secondo cui i contratti di affitto che risultano stipulati entro i sei mesi dalla scadenza del precedente rapporto siano l'effetto dell'accettazione di proposte risalenti ad epoca anteriore ai novanta giorni precedenti tale scadenza e per le quali, quindi, sussisteva l'obbligo della denuntiatio".
3.3. Ritiene il Collegio che tale censura, sebbene argomentata in modo elegante e suggestivo, non possa essere accolta.
Il dato normativo sopra illustrato, infatti, non consente simile interpretazione. Così come non ammette altre opzioni ermeneutiche che, ragionando de iure condendo, potrebbero rendere la norma in esame maggiormente in grado di tutelare le esigenze dell'affittuario.
E' vero, infatti, che, in considerazione della libertà di forma che la legge prevede per i contratti di affitto agrario (L. n. 203 del 1982, art. 41), le trattative finalizzate alla conclusione di un contratto del genere non hanno alcun vincolo formale e sono per tale ragione di dimostrazione assai difficile. Per la comunicazione (notifica) al coltivatore o al confinante, da parte del proprietario venditore, della proposta di alienazione del fondo, ai fini della prelazione di cui alla L. n. 590 del 1965, art. 8 e alla L. n. 817 del 1971, art. 7 è richiesta la forma scritta ad substantiam, trattandosi di un atto preparatorio di una fattispecie traslativa avente ad oggetto un bene immobile (giurisprudenza costante: v. per tutte le sentenze 20 aprile 2007, n. 9519, 31 maggio 2010, n. 13211, e 8 novembre 2018, n. 28495). Simile vincolo, invece, non c'è per l'affitto, per cui le trattative svoltesi nel periodo fissato dall'art. 4-bis cit., comma 1 (fino a novanta giorni prima della scadenza) potrebbero facilmente sfuggire ad una dimostrazione che è a carico di chi intende esercitare la prelazione. Questo è un elemento di indubbia criticità della disposizione in esame, che però non consente letture ortopediche della stessa.
Nessun elemento permette, infatti, di affermare che la legge abbia previsto una presunzione iuris et de iure nei termini auspicati dall'odierno ricorrente, perchè una simile eventualità dovrebbe trovare un riscontro nella norma. Come pure si deve escludere, sulla base del testo di legge, che sussista in capo al locatore l'obbligo di comunicare anche le proposte contrattuali a lui pervenute dopo la scadenza del termine di novanta giorni antecedenti la scadenza del contratto e, a maggior ragione, quelle pervenute nei sei mesi successivi alla scadenza; benchè in entrambe tali ipotesi possa esistere il ragionevole dubbio che le trattative siano state intraprese, in effetti, nel periodo sospetto fissato dal legislatore.
4. Tirando le fila del discorso svolto fin qui, la Corte afferma che la sentenza impugnata ha compiuto un'interpretazione corretta della norma di legge. In mancanza, infatti, di diversi indici legislativi, le tre condizioni indicate nella sentenza n. 10818 del 2004 devono coesistere; per cui la mancanza di una sola di esse esclude che vi sia stata lesione del diritto di prelazione.
E' opportuno aggiungere, del resto, che, poichè il diritto di prelazione costituisce una limitazione della libertà legale di contrarre, è il titolare di questo a dover dimostrare l'esistenza delle condizioni di legge. Se l'onere di provare l'esistenza di una trattativa non comunicata non ricadesse sul conduttore, si arriverebbe alla conclusione che il comma 1 della norma in oggetto sarebbe inutile; nel senso che il fatto puro e semplice dell'intervenuta stipula di un contratto di affitto con un altro soggetto entro i sei mesi dalla conclusione del precedente darebbe diritto all'esercizio della prelazione. Senza contare l'evidente disarmonia che si verrebbe a creare nel momento in cui si sostenesse che il proprietario locatore è onerato della prova di non aver ricevuto alcuna offerta nel c.d. periodo sospetto che termina novanta giorni prima della scadenza del precedente contratto di affitto.
Così correttamente ricostruiti i termini giuridici del problema, poichè nel caso di specie il ricorrente non ha dimostrato che il contratto di affitto concluso tra l'Istituto diocesano ed il Co. era frutto di una trattativa svoltasi entro il termine di novanta giorni di cui all'art. 4-bis, comma 1, cit., a lui non comunicata in violazione di tale disposizione, si deve affermare che il diritto di prelazione del C. non esisteva.
5. Il ricorso, pertanto, è rigettato.
Attesa la novità e complessità della questione esaminata e tenendo conto degli esiti alterni dei due giudizi di merito, sussistono ragioni per la compensazione integrale delle spese del giudizio di cassazione.
Non si fa luogo al pagamento del doppio del contributo unificato, trattandosi di causa esente per legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.