Per modificare le modalità di affidamento dei figli minori, il giudice sarà tenuto ad accertare la veridicità dei fatti oggetto dei comportamenti indicati come significativi di una sindrome di alienazione parentale, servendosi dei comuni mezzi di prova.
Il Tribunale di Venezia disponeva, tra le altre cose, l'affidamento esclusivo del minore al padre. Mediante reclamo, la madre chiedeva che il figlio fosse nuovamente affidato ad entrambi i genitori con collocamento presso di lei, deducendo l'inaffidabilità dal punto di vista scientifico della qualifica di “genitore alienante” a lei attribuita nel provvedimento impugnato.
Il Giudice...
Svolgimento del processo
Con decreto emesso il (omissis) il Tribunale di Venezia ha disposto: l'affidamento esclusivo del minore M.F. (nato il (omissis)) al padre M.M., con attribuzione dell'esclusivo esercizio della responsabilità anche con riferimento alle decisioni di maggiore interesse relative ad educazione, istruzione e salute; l'obbligo a carico della madre, T.S., di contribuire al mantenimento del figlio con la somma mensile di Euro 250,00, oltre al 50% delle spese straordinarie; l'incarico ai servizi sociali di continuare a svolgere attività di sostegno e vigilanza, attraverso un calendario d'incontri tra i genitori in spazio protetto con frequenza settimanale.
Detto ciò, il Tribunale, nel decreto reclamato, aveva ritenuto che: l'affidamento esclusivo del minore al padre si giustificasse per le carenze della capacità genitoriale della madre la quale non comprendeva i bisogni del figlio, nè assumeva decisioni nel suo interesse, pur garantendole un incontro settimanale con il figlio; era superflua l'audizione del minore infradodicenne, in quanto sentito varie volte dai servizi sociali, in mancanza di esigenze di approfondimento di specifiche questioni.
Al riguardo, tale decreto modificò la precedente disciplina dell'affidamento del minore, disposta con anteriore decreto emesso il 3.10.16 dalla Corte d'appello; era stata espletata c.t.u. rilevando una situazione di grave pregiudizio del minore, esposto a vissuti materni pervasivi e penalizzanti che lo imbrigliavano all'interno di un "patologico" "conflitto di lealtà" che impediva l'accesso al padre. Pertanto, la Corte territoriale aveva ritenuto di affidare il minore ai servizi sociali, mantenendo la collocazione del bambino alla madre, confidando sulla sua disponibilità a collaborare nella direzione di una reale apertura alla relazione padre-figlio.
Intanto, nel gennaio 2017, il padre del minore promosse nuovo procedimento, lamentando che la madre lo aveva estromesso dalla vita del figlio dal giugno del 2015, non garantendogli le visite come prescritte dalla Corte d'appello.
Con il reclamo avverso il predetto decreto emesso dal Tribunale T.S. aveva chiesto che: il figlio fosse di nuovo affidato ad entrambi i genitori con collocamento presso di lei; ciascun genitore provvedesse al mantenimento diretto del minore; quest'ultimo fosse iscritto alla scuola pubblica. Al riguardo, a sostegno delle suddette istanze, la reclamante deduceva: l'inaffidabilità scientifica della qualifica di "genitore alienante" contenuta nel decreto impugnato; l'inadeguatezza della motivazione sull'inidoneità della madre all'affidamento del minore e sulla limitazione della responsabilità genitoriale, tenuto conto dell'interesse del minore e della forte criticità dei rapporti tra la T., il c.t.u. e i servizi sociali; la mancata valutazione dello stato psicologico del minore e dei motivi ostativi all'affidamento condiviso, nonchè la mancata audizione del minore; che il Tribunale si era conformato acriticamente alle indicazioni del c.t.u. e dei servizi sociali i quali avevano assunto un atteggiamento rigido e parziale nei suoi confronti.
Con decreto emesso il 3.10.19, la Corte d'appello ha respinto il reclamo, osservando che: il giudizio non era stato condizionato da un'errata diagnosi ma dall'ostinazione con la quale la reclamante, disattendendo le indicazioni del c.t.u. e dei servizi sociali, aveva rifiutato di consentire anche all'altro genitore di mantenere un rapporto con il figlio; già con il decreto della stessa Corte d'appello del 3.10.16, all'esito di c.t.u., era stato disposto l'affidamento del minore ai servizi sociali mantenendone il collocamento presso la T. confidando nel fatto che ella non avrebbe impedito gli incontri con il padre; falliti i tentativi di indurre la reclamante al rispetto delle prescrizioni sancite dal decreto del 2017, il decreto provvisorio del giugno 2017 aveva rilevato che negli ultimi anni la reclamante aveva disatteso tutte le statuizioni dei provvedimenti giudiziali circa la frequentazione regolare padre-figlio nell'interesse del minore; sul punto, nella relazione dei servizi sociali del (omissis) era stato segnalato che la madre versava in una situazione di accentuata autoreferenzialità che limitava le sue capacità di riconoscere le esigenze del minore, non collaborando più con gli operatori dal (omissis), e rimproverando al figlio quanto gli era stato attribuito nelle relazioni; gli incontri e le telefonate con il figlio costituivano momento di forte criticità se non di possibile pregiudizio per il minore il quale presentava uno stato di sofferenza reattiva, specie nei momenti in cui la madre esprimeva la propria rabbia; la coppia M.- R. aveva espresso il desiderio di continuare il percorso intrapreso, promuovendo un ambiente capace di supportare la crescita del minore, senza precludere gli incontri con la madre; non erano emersi motivi ostativi per impedire al minore di frequentare la scuola privata dove era stato trasferito nell'anno (omissis), anche perchè l'anno si era concluso positivamente.
Ricorre in cassazione T.S. con tre motivi, illustrati con memoria.
M.M. resiste con controricorso, illustrato con memoria.
Motivi della decisione
Il primo motivo denunzia, anzitutto, violazione del principio del contraddittorio, omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo, quale la sussistenza della sindrome di alienazione parentale in ordine alla coppia genitoriale e del connesso conflitto di lealtà. Al riguardo, la ricorrente si duole che la Corte d'appello avrebbe pronunciato in acritica ed integrale adesione alle conclusioni del c.t.u. circa l'affidamento super-esclusivo del minore al padre, omettendo di pronunciarsi sulle sue difese in ordine all'erronea diagnosi della PAS e alla relativa infondatezza scientifica, sebbene la Corte territoriale avesse invece escluso di aver deciso per tali ragioni.
La ricorrente lamenta altresì che la c.t.u. utilizzata dal Tribunale e dalla Corte territoriale fosse in contrasto con alcuni principi della scienza medica, per aver i giudici di merito: trascurato le varie denunce per violenza presentate nei confronti del padre del minore; stravolto le finalità della c.t.u. che aveva valorizzato il criterio della "buona genitorialità" - che attribuiva rilevanza al genitore che favorisce l'accesso all'altro - senza invece tener conto dei diritti primari del figlio; aver utilizzato costrutti non fondati scientificamente, come il "conflitto di lealtà" ed "alienazione parentale", peraltro senza tener conto delle pronunce giurisprudenziali in materia; stravolto l'esperienza e i vissuti del minore riferiti alla consulente, considerando che il bambino non era mai stato considerato affetto da patologie; omesso di valutare la relazione dell'assistente sociale del (omissis) in occasione della collocazione del minore presso la residenza neutra in (omissis) laddove il rapporto con il padre era risultato del tutto sereno e senza alcun disagio, emergendo dunque che non vi era alcuna alienazione del figlio rispetto al padre.
Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 337 ter e 337 quater c.c., L. n. 54 del 2006, nella parte in cui il decreto impugnato aveva confermato l'affidamento super-esclusivo del minore al padre, nonchè omessa motivazione su fatto controverso e decisivo, cioè l'inidoneità della madre del minore all'affidamento condiviso, tenuto conto dello stato psicologico del minore stesso e della situazione di forte criticità dei rapporti tra la medesima madre con il c.t.u. e i servizi sociali. In particolare, la ricorrente lamenta che la Corte d'appello non avrebbe considerato che la madre non presentava problemi psichici, essendo profondamente legata al figlio, essendosene sempre occupato in maniera esclusiva e proficua per i primi dieci anni di vita, nella totale inerzia del padre, e che non avrebbe motivato sul fatto che l'affidamento esclusivo al padre costituisse l'unica soluzione utile ad evitare pregiudizi al minore ed a assicurargli una stabilità affettiva nell'ottica del suo diritto ad un'effettiva bigenitorialità.
Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 37 octies c.c., art. 315 bis c.c., comma 3, art. 336 bis c.c., art. 38 disp. att. c.p.c., in relazione al mancato ascolto del minore, anche considerando la mancata redazione di verbali aventi ad oggetto le dichiarazioni rese dallo stesso ai servizi sociali.
Il ricorso non può essere accolto.
I primi due motivi, esaminabili congiuntamente perchè tra loro connessi, sono inammissibili. Invero, la Corte territoriale ha fondato la propria decisione sul contenuto della c.t.u. i cui punti salienti non sono censurabili in questa sede. Al riguardo, la Corte territoriale, in sostanza, ha disposto il "super-affido" del minore a favore del padre, con incontri settimanali con la madre in spazi protetti, sul rilievo che la condotta della madre, in quanto conflittuale con il c.t.u., i servizi sociali e con l'ex-partner, sarebbe stata finalizzata all'estraneazione del minore dal padre, ovvero ad allontanarlo da quest'ultimo.
Va osservato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell'altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sè, indicati come significativi di una sindrome di alienazione parentale (PAS), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità del fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena (Cass., n. 6919/16).
E' stato altresì affermato che nei giudizi in cui sia stata esperita c.t.u. medico-psichiatrica (allo scopo di verificare le condizioni psico-fisiche del minore e conclusasi con un accertamento diagnostico di sindrome dell'alienazione parentale), il giudice di merito, nell'aderire alle conclusioni dell'accertamento peritale, non può, ove all'elaborato siano state mosse specifiche e precise censure, limitarsi al mero richiamo alle conclusioni del consulente, ma è tenuto - sulla base delle proprie cognizioni scientifiche, ovvero avvalendosi di idonei esperti e ricorrendo anche alla comparazione statistica per casi clinici - a verificare il fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale e che risulti, sullo stesso piano della validità scientifica, oggetto di plurime critiche e perplessità da parte del mondo accademico internazionale, dovendosi escludere la possibilità, in ambito giudiziario, di adottare soluzioni prive del necessario conforto scientifico e potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che intendono scongiurare (Cass., n. 7041/13; n. 13217/2021).
Ora, delineati i principi affermati da questa Corte in fattispecie analoghe, occorre rilevare che, nel caso concreto, il contenuto e le conclusioni della c.t.u., recepiti dalla Corte territoriale, sono chiari circa la ritenuta carenza delle capacità genitoriali della ricorrente. Anzitutto, non è contestato che quest'ultima abbia intrattenuto un rapporto conflittuale con il compagno cercando, in qualche occasione, di ostacolare o impedire le visite del padre al figlio e che la ricorrente non abbia collaborato con il c.t.u. e con i servizi sociali, al fine di non consentire al figlio di mantenere i rapporti con il padre, facendo riferimento a condotte ritenute "destabilizzanti" per il figlio, quale l'episodio in cui ella aveva indossato una maglietta con la scritta "vittima", in quanto allusiva nei confronti del padre (figurativamente rappresentato come il cattivo di una serie televisiva).
Va osservato, altresì, che il riferimento della Corte di merito alla condotta tesa ad estraniare il figlio dal padre costituisce, in realtà, la risultante di una ampia e complessa valutazione della condotta della T., elaborata sulla base della c.t.u., dalla quale è emerso che: constatata l'impossibilità di una collaborazione fra i genitori, già con il decreto emesso il 3.10.16 era stato disposto l'affidamento del minore ai servizi sociali, mantenendone il collocamento alla madre nella speranza che la stessa, nell'interesse del figlio, mutasse il proprio atteggiamento e non ostacolasse gli incontri con l'altro genitore; nel corso del giudizio la ricorrente è stata diffidata dal tenere atteggiamenti ostruzionistici nei confronti del padre del minore ed era stata nuovamente verificata la sua disponibilità al rispetto delle prescrizioni del regime di visita disposto dal giudice; fallite tali opzioni, era stato prima disposto, con decreto del 30.6.17, il collocamento provvisorio del minore presso il padre e, poi, l'affidamento esclusivo a quest'ultimo a seguito del persistente comportamento ostruzionistico della T., la quale continuava ad impedire la frequentazione del minore con il padre, rendendosi anche irreperibile ai c.t.u.; negli ultimi anni, in definitiva, la ricorrente aveva disatteso completamente tutte le statuizioni dei provvedimenti giudiziali che nel tempo hanno regolamentato il regime di visita e le condizioni di affidamento del figlio minore; era stato riscontrato che nella madre permaneva un quadro di accentuata autoreferenzialità, che limitava la capacità di riconoscere le esigenze del bambino; talvolta, la stessa madre sembrava rimproverare al figlio quanto le era stato attribuito nelle relazioni, ponendolo nella situazione di esprimersi su argomenti che lo ponevano in difficoltà o su decisioni che non dipendevano da lui; gli incontri e le telefonate tra la madre e il figlio costituivano momenti di forte criticità, se non di possibile pregiudizio per quest'ultimo il quale si spaventava quando la madre esprimeva la propria rabbia; il minore, su richiesta della madre, aveva frequentato una scuola statale ma, successivamente, su specifica richiesta del medesimo minore, il padre era stato autorizzato a trasferirlo, con il parere positivo del servizi sociali, presso un istituto già frequentato nel corso della scuola elementare, in un ambiente conosciuto che consentiva di affrontare con maggiore serenità gli impegni scolastici.
Alla luce di quanto esposto, può affermarsi che le doglianze della ricorrente afferenti all'affidamento esclusivo del minore al padre, in quanto disposto in applicazione di principi non aventi dignità scientifica, fondati sulla cd. PAS o sindrome dell'alienazione parentale, sono dirette sostanzialmente al riesame dei fatti, in quanto la Corte d'appello ha pronunciato senza uno specifico o aprioristitico riferimento alla suddetta sindrome, ma ha dettagliatamente argomentato da una complessiva e persistente condotta della ricorrente ritenuta lesiva del principio di bigenitorialità, inquadrata nell'ambito di un lungo e graduale percorso che inizialmente, come detto, aveva visto dapprima l'affidamento del bambino ai servizi sociali, con collocamento presso la madre, per poi concludersi con il contestato affidamento esclusivo al padre una volta constatato l'atteggiamento ostinato della madre volto ad impedire all'altro genitore l'accesso al figlio. Al riguardo, la stessa Corte territoriale ha evidenziato significativamente che il giudizio non è stato condizionato da un'errata diagnosi, fondata su costrutti pseudo-scientifici relativi alla cd. sindrome di alienazione parentale, ma si è svolto perseguendo il miglior interesse del bambino, rilevando che sono stati compiuti molteplici tentativi per non modificare il regime della responsabilità genitoriale e il collocamento del minore.
Il terzo motivo è infondato. Secondo l'orientamento di questa Corte, in tema di provvedimenti in ordine alla convivenza dei figli con uno dei genitori, l'audizione del minore infradodicenne capace di discernimento costituisce adempimento previsto a pena di nullità, a tutela dei principi del contraddittorio e del giusto processo, in relazione al quale incombe sul giudice che ritenga di ometterlo un obbligo di specifica motivazione, non solo se ritenga il minore infradodicenne incapace di discernimento ovvero l'esame manifestamente superfluo o in contrasto con l'interesse del minore, ma anche qualora opti, in luogo dell'ascolto diretto, per quello effettuato nel corso di indagini peritali o demandato ad un esperto al di fuori di detto incarico, atteso che solo l'ascolto diretto del giudice dà spazio alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo riguarda (Cass., n. 1474/2021; n. 12018/19; n. 7478/14).
Nel caso concreto, la Corte territoriale ha motivato adeguatamente in ordine ad entrambi i requisiti: la superfluità dell'ascolto, in relazione alle ragioni della conflittualità tra i genitori ed I grave pregiudizio per il minore derivante dal caricarlo di responsabilità non adeguate alla sua età, essendo emersa in modo univoco, secondo quanto accertato dalla Corte d'Appello, alla luce della consulenza tecnica d'ufficio e dell'osservazione ripetuta da parte dei Servizi territoriali, la sua posizione e la contrarietà rispetto alle esigenze di sviluppo equilibrato e sereno di un suo ulteriore diretto coinvolgimento nel conflitto in atto.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 2400,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% a titolo di rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.
Dispone che i dati identificativi delle parti siano oscurati nel caso di pubblicazione del provvedimento, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.