La Cassazione rigetta il ricorso del contribuente precisando che, nel caso di estinzione di un ente non riconosciuto, l'azione accertativa può essere fatta valere nei confronti di coloro che hanno agito in nome e per conto dell'ente cui è succeduto.
L'ultimo rappresentante di un'associazione non riconosciuta impugnava l'avviso di accertamento dell'Agenzia delle Entrate emesso nei confronti dell'ente e notificato al ricorrente stesso, deducendo l'inesistenza dell'atto impositivo poiché il soggetto si era estinto.
Rigettato il gravame da parte della CTR Veneto, il...
Svolgimento del processo
che:
Z.P.G., in proprio e nella qualità di ultimo legale rappresentante dell'Associazione Gruppo Ciclistico Sportivo Dilettantistico Alto Vicentino, impugnava l'avviso di accertamento per Iva, Irap e Ires per il 2006 emesso nei confronti dell'associazione e dell'ex legale rappresentante, e notificato a quest'ultimo, in relazione a operazioni oggettivamente inesistenti per prestazioni pubblicitarie e sponsorizzazioni.
Il ricorrente deduceva l'inesistenza dell'atto impositivo in quanto emesso nei confronti di soggetto che era già cessato e, nel merito, l'infondatezza della pretesa.
L'impugnazione, accolta dalla CTP di Vicenza, era rigettata dalla CTR in epigrafe che riteneva correttamente intestato l'avviso alla associazione, essendo stati rettificati i suoi proventi, cui era seguita, attesa l'intervenuta estinzione della stessa, la notifica dell'atto al soggetto nei cui confronti permanevano i rapporti non definiti.
Il contribuente propone ricorso per cassazione, con due motivi. L'Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Motivi della decisione
che:
1. Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 38 c.c., per aver la CTR ritenuto l'avviso di accertamento valido ancorchè emesso a carico di soggetto non più esistente.
Rileva, in particolare, che ai sensi dell'art. 38 c.c., l'atto avrebbe dovuto essere intestato al soggetto materiale esecutore dell'attività effettivamente svolta e fondativa delle obbligazioni dell'associazione, condizioni la cui prova era, inoltre, a carico dell'Agenzia delle entrate.
2. Il motivo è infondato.
2.1. Occorre premettere, in primo luogo, che l'estinzione o la cessazione dell'ente di diritto comune ossia, nella specie, dell'associazione (non riconosciuta) non preclude, di per sè, all'Amministrazione finanziaria la possibilità di far valere le pretese fiscali emerse con riguardo al periodo di sua esistenza.
Milita in tal senso la circostanza che per l'erario i termini per l'accertamento, previsti quanto all'Iva dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, e per le imposte dirette dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, decorrono dall'anno (successivo) a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, sicchè, ove si ritenesse che l'estinzione del soggetto intervenuta nelle more fosse idonea ad impedire la ripresa, ne deriverebbe una ingiustificata riduzione dei termini in deroga delle norme in questione.
2.2. E' invece esatto che, cessato il soggetto, l'azione accertativa (fuori dalle ipotesi D.Lgs. n. 175 del 2014, ex art. 28, comma 5, qui non rilevante e, comunque, non applicabile ratione temporis) non può più essere esperita direttamente nei confronti dell'ente, nè ad esso, in quanto non più esistente, può essere notificato l'avviso.
In questa evenienza, difatti, la pretesa può essere rivolta solo nei confronti di coloro che sono succeduti nella posizione che era propria già dell'ente.
Con riguardo alle società, invero, le Sezioni Unite, dapprima con le decisioni 22 febbraio 2010, n. 4060, n. 4061 e n. 4062 (chiarendo che la norma sulla cancellazione riguardava le società sia di capitali che di persone), poi, con intervento specifico rilevante anche sulle questioni qui in rilievo, con le sentenze 12 marzo 2013, n. 6070, n. 6071 e n. 6072, hanno precisato che l'estinzione della società si produce anche qualora rimangano debiti insoddisfatti, poichè, in tale evenienza, i creditori potranno far valere le loro ragioni nei confronti dei soci, considerati successori universali seppur sui generis, e, se in colpa, nei confronti dei liquidatori. Si è inoltre affermato, con le medesime pronunce, che, dopo l'estinzione, la società non può agire in giudizio o essere legittimamente convenuta.
2.3. La vicenda in giudizio invero riguarda un soggetto diverso dalle società poichè viene in considerazione una associazione non riconosciuta, rispetto alla quale diversamente si atteggiano i presupposti per la sua estinzione e per la responsabilità residua per le obbligazioni pregresse.
Sotto il primo profilo, infatti, l'associazione non riconosciuta (diversamente da quella riconosciuta) si estingue immediatamente, ipso facto, con il verificarsi di una delle cause di estinzione (identiche a quelle previste per l'associazione riconosciuta) e la liquidazione si attua secondo le modalità stabilite dallo statuto o dall'assemblea, senza che si applichi ex lege il particolare procedimento di liquidazione previsto per le associazioni riconosciute dagli artt. 29, 30, 31 e 32 c.c., e dal relativo art. 11 disp. att..
Sotto il secondo profilo, l'art. 38 c.c., prevede "Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l'associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione": ne deriva che, in caso di estinzione dell'associazione non riconosciuta, la pretesa può legittimamente essere fatta valere nei confronti di coloro che "hanno agito in nome e per conto dell'associazione" e, dunque, nei confronti, in particolare, dell'"ultimo" legale rappresentante della associazione stessa, destinatario di una obbligazione personale e solidale.
2.4. Da tale premessa emerge chiaramente che la pretesa può essere legittimamente fatta valere, una volta estinta l'associazione non riconosciuta, direttamente nei confronti del legale rappresentante, al quale l'atto, pur intestato all'associazione, deve essere notificato.
L'irrilevanza della intestazione dell'atto al soggetto cessato e la necessità, invece, che l'atto sia notificato agli "eredi" trova, del resto, un preciso riscontro normativo nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, comma 4, secondo il quale "La notifica degli atti intestati al dante causa può essere effettuata agli eredi impersonalmente e collettivamente nell'ultimo domicilio dello stesso..." (v. anche Cass. n. 31037 del 28/12/2017; Cass. n. 25487 del 12/10/2018, che precisa che la notifica al socio dell'atto impositivo intestato alla società "trova fondamento nel fenomeno successorio che si realizza con riferimento alle situazioni debitorie gravanti sul dante causa, con ciò realizzandosi comunque lo scopo della citata disciplina, che è quello di rendere edotto almeno uno dei successori della pretesa azionata nei confronti della società"; da ultimo Cass. n. 7545 del 31/03/2021 in motivazione).
Occorre infine precisare, sul punto, che, in questa evenienza, tale soggetto può essere destinatario della pretesa e dell'avviso sotto la duplice veste di responsabile diretto e solidale e, in via "successoria", di ex legale rappresentante dell'associazione stessa.
2.5. Nella vicenda in giudizio è incontroverso che l'associazione era già cessata al momento dell'emissione dell'avviso e, anzi, prima ancora dell'avvio della verifica.
L'avviso, tuttavia, è stato espressamente intestato nei confronti sia dell'associazione, sia dell'ex legale rappresentante della stessa, tant'è che - come riprodotto nello stesso ricorso - l'avviso era corredato di due pagine n. 1, la prima riferita all'associazione "rappresentata dal Signor Z.", la seconda direttamente al "Signor Z. in qualità di legale rappresentante".
L'atto impositivo, infine, è stato notificato direttamente al sig. Z.. Ne deriva che, da un lato, l'avviso era stato, ab origine, emesso sia nei confronti dell'associazione, sia nei confronti del soggetto responsabile in solido ex art. 38 c.c.; dall'altro, la stessa circostanza che l'atto fosse stato notificato al medesimo sig. Z., con spendita della qualità in concreto rilevante, rende ben chiaro - come del resto accertato in fatto dalla CTR - che l'intestazione dell'avviso all'associazione non riconosciuta e la determinazione dei rilievi in riferimento all'attività svolta da parte della stessa individuava non già il destinatario, non più esistente, ma il titolo della ripresa e della responsabilità dell'ex rappresentante legale, cui l'atto era rivolto anche nella sua qualità di "successore".
2.6. E' invece inammissibile l'ulteriore profilo dedotto nel motivo relativo alla asserita insufficienza della qualità formale di legale rappresentante e alla necessità della prova dell'effettivo svolgimento dell'attività rilevante ai fini della responsabilità ex art. 38 c.c..
Si tratta, difatti, di questione che viene posta per la prima volta in sede di legittimità, e, comunque, resta ininfluente ai fini della responsabilità del contribuente in via "successoria".
3. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, commi 1 e 2, per non aver la CTR annullato l'avviso in quanto motivato per relationem ad atti non disponibili perchè coperti da segreto istruttorio penale.
Lamenta, inoltre, la violazione dell'art. 2697 c.c., per aver la CTR ritenuto legittima la pretesa ancorchè sfornita di prova.
3.1. Il motivo è inammissibile per entrambi i profili.
Quanto all'asserito difetto di motivazione dell'avviso per mancata allegazione e/o riproduzione degli atti richiamati per relationem è dirimente che la CTR, con puntuale accertamento in fatto, neppure censurato, ha rilevato che "gli atti richiamati sono stati notificati al legale rappresentante legale e giudiziale della associazione e pertanto sono perfettamente conoscibili", da cui l'insussistenza del lamentato vizio e l'inammissibilità della doglianza.
Quanto all'asserita carenza di prova, la doglianza è parimenti inammissibile in quanto carente di specificità, risolvendosi, in realtà, in una mera generica contestazione sulla valutazione delle prove da parte della CTR, senza neppure prendere in considerazione l'ampia e puntuale disamina operata dal giudice d'appello, corredata da precisi riscontri agli elementi di fatto e alle fonti di prova (v. in particolare pag. 4, terzo capoverso, della sentenza impugnata).
4. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese sono regolate per soccombenza come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese a favore dell'Agenzia delle entrate, che liquida in complessive Euro 4.500,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.