
Ai fini dell'integrazione del reato di furto, non è necessario che gli agenti abbiano posto in essere l'allaccio abusivo alla rete di distribuzione di gas e di energia elettrica, essendo sufficiente che essi lo abbiano anche solo utilizzato.
La Corte d'Appello di Catanzaro confermava la decisione emessa dal Tribunale al termine del giudizio abbreviato, riconoscendo gli attuali ricorrenti colpevoli del furto di energia elettrica e di gas, avvenuto attraverso un allaccio abusivo alle reti di distribuzione.
Gli imputati impugnano la suddetta decisione mediante ricorso per cassazione.
Con la...
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la decisione, resa, all'esito del giudizio abbreviato, dal Tribunale di Lametia Terme nei confronti di Be.Vi. e P.P., riconosciute colpevoli dei furti aggravati a loro rispettivamente ascritti, per essersi impossessate di energia elettrica e di gas attraverso un allaccio abusivo alle reti di Enel Distribuzione s.p.a. e Italgas Reti, nonchè di B.M.G., dichiarata colpevole del solo furto di energia elettrica a lei ascritto, commesso con analoghe modalità; ha, invece, riformato la decisione del primo giudice riguardo a Be.Co., anche lui condannato per avere sottratto energia elettrica e gas, riconoscendo in suo favore il beneficio della sospensione condizionale della pena.
2. Propongono ricorso per cassazione tutti e quattro gli imputati con separati atti: Be.Co., Be.Vi. e B.M.G. con il ministero dell'avvocato Alessandro Guerriero; l'avvocato Daniela Palaia nell'interesse di P.P..
I ricorsi svolgono motivi comuni, come di seguito sintetizzati:
2.1. violazione dell'art. 360 c.p.p. e correlato vizio della motivazione, perchè apparente, in relazione alla non rilevata inutilizzabilità dell'accertamento svolto dal verificatore Enel, mai nominato ausiliario di p.g. e, comunque, chiamato a svolgere un'attività irripetibile. La Difesa contesta, in particolare, che l'attività svolta dall'accertatore sia assimilabile a un verbale ispettivo, per inesorabile modifica dello stato dei luoghi, mediante bonifica; trattasi, piuttosto, di accertamento tecnico non più ripetibile, svolto senza dare i necessari avvisi alle parti.
2.2. violazione di legge e vizio della motivazione (carente e illogica) in relazione ai reati di furto non essendo stato svolto alcun accertamento da parte della p.g. circa la ascrivibilità della condotta a ciascuno dei ricorrenti, non avendo tale portata dimostrativa il solo fatto che essi siano stati trovati all'interno dell'appartamento (di cui non erano nè proprietari, nè possessori), al momento del controllo; si segnala che in sede di udienza di convalida il militare accertatore non ha saputo fornire indicazioni utili non essendo stato svolto alcun accertamento in merito.
2.3. analoghi vizi sono dedotti per il mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4, nonostante la Corte di Appello non abbia potuto quantificare l'entità del danno arrecato e in assenza di considerazioni sugli ulteriori ed eventuali effetti pregiudizievoli arrecati alla persona offesa dalla condotta complessivamente valutata.
2.4. Nell'interesse di B.M.G. e di P.P. si denuncia vizio della motivazione in relazione alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena, segnalando che entrambe le ricorrenti risultano gravate da due soli precedenti condanne a pena cumulativamente inferiore a due anni di reclusione.
2.5. Ancora vizio della motivazione si denuncia nell'interesse di Be.Co., di Be.Vi., di B.M.G. e di P.P. in relazione alla determinazione della pena, non attestata nel minimo edittale, pur essendo state riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti.
3. Il Procuratore Generale ha concluso, con requisitoria scritta, per l'inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione
I ricorsi svolgono motivi che si rivelano tutti infondati.
1.Il primo motivo, che invoca il riconoscimento della inutilizzabilità delle verifiche effettuate presso gli appartamenti in uso ai ricorrenti, (compiute da un servizio interforze composto da personale di polizia giudiziaria, da personale Aterp e da dipendenti specializzati Enel e Italgas,) in quanto rese in violazione di legge, senza la somministrazione degli avvisi, è infondato. Innanzitutto, perchè, in ragione della scelta processuale compiuta dagli imputati, optando per il rito abbreviato, come ha già correttamente osservato la Corte di appello, sono rilevabili e deducibili solo le nullità di carattere assoluto e le inutilizzabilità c.d. patologiche, con la conseguenza che l'irritualità dell'acquisizione dell'atto probatorio è neutralizzata dalla scelta negoziale delle parti, di tipo abdicativo, che fa assurgere a dignità di prova gli atti di indagine compiuti senza il rispetto delle forme di rito (Sez. 3, n. 23182 del 21/03/2018 Rv. 273345; Sez. 3, n. 882 del 09/06/2017 (dep. 2018) Rv. 272258); cosicchè, ad esempio, sono ritenuti utilizzabili, a fini di prova, le dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta alle indagini alla polizia giudiziaria, perchè l'art. 350 c.p.p., comma 7, ne limita l'inutilizzabilità esclusivamente al dibattimento (Sez. 5, n. 32015 del 15/03/2018, Rv. 273642; conf. Sez. 3, n. 20466 del 03/04/2019, Rv. 275752).
1.1. Ma è destituita di fondamento anche la affermazione secondo cui i verificatori avrebbero agito quali privati cittadini, giacchè, invece, la norma di riferimento per valutare il regime di utilizzabilità degli atti in questione è l'art. 220 disp. att. c.p.p., che estende la applicabilità delle norme del codice di procedura penale alle attività di ispezione o vigilanza compiute da persone non appartenenti alla polizia giudiziaria prima dell'avvio del procedimento penale. Sviluppando ulteriormente tali indicazioni, il collegio osserva che, tra le disposizioni del codice di procedura penale, che devono essere applicate, non possa che essere ricompreso l'art. 348 c.p.p., e che (Sez. 2, n. 8604 del 05/11/2020 (dep. 2021) Rv. 280905) i verificatori Enel-Italgas sono incaricati di un pubblico servizio, di tal chè, in quanto tali, essi hanno legittimamente compiuto l'attività accertativa, ai sensi del combinato disposto dell'art. 220 disp. att. c.p.p., in relazione all'art. 348 c.p.p., agendo con i poteri propri della polizia giudiziaria, la quale, ai sensi dell'art. 55 c.p.p., che individua le funzioni delle polizia giudiziaria, ha anche il compito di "assicurare le fonti di prova e raccogliere quanto altro possa servire per l'applicazione della legge penale".
1.2.Nè l'attività con cui, attraverso la verifica dello stato dei luoghi, la polizia giudiziaria trae elementi per l'accertamento di un reato costituisce atto irripetibile, a cui abbia diritto di assistere il difensore, ai sensi dell'art. 360 codice di rito, in quanto le garanzie difensive trovano applicazione solo quando si eseguano prelievi o manipolazioni tali da modificare in qualche modo la situazione obbiettiva preesistente. L'assistenza del difensore dell'interessato è essenziale appunto nei casi in cui l'operazione tecnica non potrebbe essere ripetuta nelle stesse condizioni. Il nuovo codice consente l'assistenza del difensore, senza previo avviso, appunto alle operazioni irripetibili compiute dalla polizia giudiziaria, quali le perquisizioni, gli accertamenti sui luoghi o cose o persone, o l'apertura di plichi o di corrispondenza (art. 356). Non la prevede nelle semplici operazioni tecniche della stessa polizia, anche se compiute con esperti della materia (art. 348 c.p.p.) (Sez. 1, n. 12564 del 11/11/1991 Rv. 189531).
2.Sono manifestamente infondati gli altri motivi. I giudici di merito hanno ben descritto le modalità attraverso le quali le condotte accertate sono state ascritte ai ricorrenti, sulla base delle verifiche effettuate nell'immediatezza, che davano conto dell'erogazione in corso in favore dell'immobile abitato da ciascuno. Non considerano i ricorrenti che la sottrazione illecita realizzata mediante l'abusivo allaccio alla rete di alimentazione integra il reato di furto ancorchè detto allaccio non sia stato posto in essere dall'agente il quale si sia limitato unicamente a farne uso (Sez. 5 n. 24002/2014), dal momento che ciò che rileva, ai fini della integrazione del reato ascritto è l'effettivo utilizzo della energia, dato che integra la sottrazione (Sez. 5 n. 19119 del 16/03/2004 Rv. 227749). L'illecita fruizione altro non rappresenta che l'impossessamento della "res", attuato attraverso l'uso di mezzi necessari per superare la contraria volontà dell'ente erogatore (Sez. 5, n. 1353 del 23/03/1999 Rv. 213121), senza che assuma rilievo neppure la circostanza del mancato accertamento in ordine alla entità dell'indebito prelievo energetico, per difetto di registrazione. Nel caso in esame l'effettivo utilizzo dell'energia elettrica e di gas all'interno dell'appartamento abitato, rispettivamente, dai ricorrenti, risulta sufficientemente dimostrato atteso che l'erogazione era in atto al momento dell'accesso, pur senza registrazione del consumo (così la sentenza di primo grado), mentre le deduzioni difensive, piuttosto che aggredire la motivazione nella sua tenuta logica, mirano a conseguire, inammissibilmente, una diversa valutazione dei fatti e delle fonti di prova, ciò che non è consentito nel giudizio di legittimità, giacchè la Corte di Cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, essendo inammissibile una rivalutazione del compendio probatorio.
3. Per analoghe ragioni è manifestamente infondato anche il terzo motivo di ricorso, con il quale si invoca la circostanza attenuante del danno lieve, poichè non ci si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, la quale ha ben posto in rilievo la circostanza che i ricorrenti occupino i rispettivi appartamenti da svariati anni; ha dato atto della mancata allegazione, da parte della Difesa, di elementi utilmente valutabili ai fini invocati, e ben argomentato circa la irrilevanza dello stato di indigenza, peraltro solo dedotto ma indimostrato, dei ricorrenti, essendo irrilevante la capacità del soggetto passivo di sopportare il danno economico derivante dal reato (Sez. 4, n. 6635 del 19/01/2017, Rv. 269241; nonchè, ex plurimis, Sez. 4, n. 16218 del 02/04/2019 Belfiore, Rv. 275582.). Trattasi anche in questo caso di valutazione discrezionale propria del giudice di merito, non sindacabile in questa sede di legittimità, perchè esente da incongruenze logiche.
4. Altrettanto manifesta è l'infondatezza del motivo di ricorso proposto nell'interesse di B. e di P., non potendo e sere accordato il beneficio della sospensione condizionale alla terza condanna, in pena detentiva, stante il limite posto dall'art. 164 c.p., comma 4.
5. Anche le doglianze formulate con riguardo alla determinazione della pena risultano genericamente prospettate, dal momento che la determinazione della pena è rimessa alla valutazione discrezionale dei giudici di merito e il sindacato in sede di legittimità è consentito solo in presenza di manifeste incongruenze della motivazione o di violazioni di legge, nel caso di specie insussistenti, e neppure segnalate dai ricorrenti che si limitano a una generica doglianza incentrata sul mancato assestamento della pena nel minimo edittale. Non considerano, però, che i giudici di merito hanno tenuto conto al momento della individuazione della pena, della gravità del fatto e l'intensità del dolo(così il Tribunale, con valutazione condivisa dalla Corte di appello).
6. Al rigetto dei ricorsi consegue, ex lege, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.