La mancata osservanza delle formalità previste dall'art. 261 c.p.p. ai fini della rimozione e riapposizione dei sigilli non comporta alcuna nullità, non essendo tale sanzione espressamente prevista dal legislatore.
La Corte d'Appello di Bari confermava la sentenza con cui il G.U.P. aveva condannato l'imputato per avere illecitamente detenuto presso la sua abitazione (ove si trovava in regime di arresti domiciliari) un certo quantitativo di cocaina.
L'imputato propone ricorso per cassazione contro la suddetta pronuncia, eccependo, tra le altre cose, la violazione insanabile della disciplina...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 21 aprile 2020, la Corte di appello di Bari confermava la sentenza del 12 giugno 2019, con cui il G.U.P. presso il Tribunale di Bari aveva condannato M.V. alla pena di anni 4 di reclusione ed Euro 20.000 di multa, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1, a lui contestato per avere illecitamente detenuto presso la propria abitazione, dove si trovava in regime di arresti domiciliari, sostanza stupefacente di tipo cocaina, da cui erano ricavabili 465 dosi, così precisata l'originaria imputazione, fatto accertato in (omissis).
2. Avverso la sentenza della Corte di appello pugliese, M., tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico e articolato motivo, con cui la difesa deduce la nullità della sentenza per difetto totale di motivazione e per l'omessa considerazione e travisamento delle censure sollevate nell'atto di appello, eccependo altresì la violazione insanabile della disciplina processuale in tema di apposizione e rimozione dei sigilli, oltre che di conservazione e custodia del corpo di reato; sotto quest'ultimo aspetto, in particolare, la difesa evidenzia che, come si evince dai verbali di arresto e di perquisizione, il (omissis), M., a richiesta dei Carabinieri operanti, consegnava spontaneamente plurimi involucri di cellophane, tutti chiusi con nastro isolante, contenenti asseritamente vari quantitativi di cocaina.
Tali reperti, costituenti corpo del reato, non solo venivano sottoposti a pesatura presso una locale farmacia, ma venivano anche analizzati mediante narcotest, in assenza di qualsivoglia contraddittorio sia con il difensore sia con l'interessato.
Al termine di tali operazioni non veniva osservata dagli operanti la disciplina in tema di conservazione e custodia delle cose sequestrate, nè quella in tema di apposizione e rimozione dei sigilli ex art. 259, 260 e 261 c.p.p. e art. 81 e 82 disp. att. c.p.p., avendo i Carabinieri di Casamassima dato atto nel verbale di arresto, in perfetta buona fede, che la sostanza contenuta negli involucri di cellophane, anzichè essere assicurata e custodita come prescritto, sarebbe stata sottoposta ad analisi qualitative e quantitative a cura di personale del LASS del Comando Provinciale dei Carabinieri di Bari. Ciò avvenne in effetti il (omissis), senza alcun contraddittorio con la difesa, sebbene il giorno precedente si fosse svolto l'interrogatorio di garanzia alla presenza dell'interessato e del difensore, che dunque ben potevano essere avvisati tempestivamente dello svolgimento delle operazioni di analisi; dunque, osserva la difesa, non risulta con quali confezionamenti e sigilli i corpi di reato siano partiti da Casamassima e giunti a Bari, nè risulta se e da chi siano stati apposti i sigilli prima della partenza per Bari, nè ancora se, in che modo e da chi tali sigilli siano stati rimossi a Bari, prima del rientro dei corpi di reato a Casamassima.
La procedura seguita dagli operanti, quindi, in quanto contraria alle norme in tema di assicurazione, conservazione e custodia delle cose sequestrata, non era idonea a fornire la prova positiva che le sostanze stupefacenti poi analizzate dal perito nominato dal G.I.P. fossero le stesse sequestrate in precedenza a M.. Pertanto, le analisi effettuate in solitudine nei laboratori baresi, senza alcuna documentazione dei "passaggi di mano" delle sostanze sequestrate, sarebbero affette da nullità assoluta per violazione del diritto di difesa e del contraddittorio, avendo le operazioni peritali confermato la mancata documentazione della cd. "catena di custodia" a partire dal sequestro del (omissis) e fino al (omissis), data in cui i sigilli furono rimossi dal Comandante F..
A tali censure la Corte territoriale non avrebbe dato risposta, limitandosi la sentenza impugnata a richiamare e ricopiare la sentenza di primo grado, senza un alcun confronto critico con le argomentazioni riportate nell'impugnazione, desumendosi dagli scarni sei righi di motivazione che i giudici di secondo grado non hanno ben compreso il senso delle doglianze difensive, liquidandole peraltro come riferite a una mera irregolarità amministrativa, senza tenere conto della rilevanza penalistica delle violazioni procedurali segnalate nell'appello.
2.1. Tali argomenti sono stati ulteriormente sviluppati dalla difesa con la memoria di replica alle conclusioni del Procuratore generale trasmessa il 19 aprile 2021, D.L. n. 137 del 2020, ex art. 23, comma 8, dall'avvocato Domenico Conticchio, difensore di fiducia del ricorrente, che ha insistito nell'accoglimento del ricorso, richiedendo in via subordinata di rimettere il ricorso alle Sezioni Unite, al fine di dirimere il contrasto sulla questione su se possa ritenersi o meno prova genuina quella costituita da un corpo di reato del quale la difesa eccepisca il difetto di prova sulla sua identità o genuinità, per non essere stato lo stesso assicurato al procedimento penale e conservato con l'osservanza delle formalità prescritte dal c.p.p..
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato.
1. Occorre in primo luogo evidenziare che, a differenza di quanto lamentato dalla difesa, la Corte di appello non si è limitata a un recepimento acritico delle conclusioni del G.U.P., ma si è sufficientemente confrontata con i motivi di impugnazione, rilevandone l'infondatezza con argomentazioni non illogiche.
Ciò è avvenuto in particolar modo rispetto alla doglianza articolata nell'odierno ricorso e sviluppata nella memoria di replica, relativa cioè all'asserita violazione della disciplina processuale in tema di apposizione e rimozione dei sigilli.
Al riguardo deve tuttavia osservarsi che la questione, nel caso di specie, è destinata a rimanere priva di sostanziali ripercussioni pratiche, atteso che, come si evince dalle sentenze di merito con affermazione non smentita dalla difesa, l'imputato ha confessato gli addebiti elevati a suo carico, ciò a ulteriore suggello di un quadro probatorio già esauriente, integrato dalle attività di perquisizione e sequestro operate il pomeriggio del (omissis) presso l'abitazione sita in (omissis), dove M.V., all'epoca in regime di arresti domiciliari, deteneva numerosi involucri contenenti sostanza stupefacente di tipo cocaina, oltre a due bilancini di precisione perfettamente funzionanti, a vari rotoli di nastro isolante e a fogli manoscritti con diversi nomi di persone, in corrispondenza dei quali erano riportate somme di denaro.
Ciò posto, sia il G.U.P. che la Corte di appello non hanno mancato di prendere in considerazione i rilievi difensivi, volti a rimarcare l'illegittimità degli accertamenti tecnici condotti dalla Sezione Investigazioni Scientifiche dei Carabinieri, che hanno quantificato in 172 grammi il peso netto della sostanza stupefacente sequestrata, tra l'82% e l'84% il principio attivo e in 943 le dosi medie ricavabili. Al fine di dirimere eventuali incertezze scaturite dalle indagini tecniche compiute dalla P.G., il G.U.P. ha affidato a un perito, il Dott. N.S., l'accertamento tossicologico allo scopo di stabilire la natura e la quantità della sostanza de qua. Orbene, l'analisi svolta dal perito ha in parte ridimensionato la verifica operata dalla P.G., essendo stato cioè accertato che la sostanza sequestrata era sì costituita dalla cocaina, ma il principio attivo aveva un valore medio pari al 42,71%, corrispondente a 69,77 gr., suscettibile di produrre 465 dosi singole.
La diversità del risultato, ha spiegato il perito, si spiega in ragione della diversa tecnica di campionatura, nel senso che la P.G. ha prelevato il campione solo dalla superficie del reperto, dove potrebbe concentrarsi una maggiore quantità di principio attivo, mentre il Dott. N. ha eseguito il prelievo del campione da più punti, previa "frantumazione" dello stesso, così da ottenere un esito più omogeneo e rappresentativo, avendo in ogni caso il perito escluso che vi siano state criticità nel repertamento della sostanza, pur avendo dato atto dell'assenza nei plichi dei verbali relativi alla cd. "catena di custodia" dal sequestro delle sostanze all'analisi narcotest, dal trasferimento dei reperti da Casamassima ai Laboratori Lass di Bari, fino al rientro delle sostanze da Bari a Casamassima.
Ciò posto, sia il G.U.P. che la Corte di appello hanno ribadito che i reperti esaminati dal perito sono gli stessi che erano stati rinvenuti e sequestrati a casa di M., dovendosi diversamente ritenere ideologicamente falsi, in mancanza di alcuna prova, una serie di atti fidefacienti, immaginando cioè che la P.G. abbia consegnato agli operatori del Lass reperti privati del loro contenuto per poi consegnare all'Ufficio Corpi di reato sostanze diverse da quelle in sequestro, il che presupporrebbe il compimento di una serie di reati rimasti del tutto indimostrati, non potendosi desumere dalla mancata verbalizzazione dei singoli spostamenti dei plichi contenenti la droga l'illiceità delle operazioni svolte.
E ciò senza considerare che, come rilevato dai giudici di merito, il quantitativo netto di cocaina misurato dal Lass in 172 grammi coincide con quello indicato dall'imputato nel corso del suo interrogatorio, in cui M. ha dichiarato di aver acquistato proprio "170 grammi" di droga, "182 con l'imballaggio e tutto".
Devet in ogni caso, evidenziarsi che la condanna dell'imputato è stata riferita dai giudici di merito non agli esiti delle indagini tecniche della P.G., ma a quelli, più favorevoli alla difesa, dell'accertamento peritale compiuto dal Dott. N..
2. A ciò deve solo aggiungersi che, non essendovi dubbi sulla correttezza sostanziale delle operazioni di repertamento dei campioni, non appaiono decisive le obiezioni difensive circa il mancato rispetto delle modalità formali segnalate dalla difesa, dovendosi in tal senso richiamare la condivisa e prevalente affermazione di questa Corte (cfr. n. 37669 del 20/05/2014, Rv. 260345), secondo cui, in tema di custodia delle cose sequestrate, l'inosservanza delle formalità prescritte dall'art. 261 c.p.p. per lo svolgimento delle operazioni di rimozione e riapposizione dei sigilli non comporta alcuna nullità, non essendo tale sanzione specificamente comminata dal legislatore.
Si tratta peraltro di un approdo ermeneutico sufficientemente consolidato che non rende indispensabile l'intervento nomofilattico delle Sezioni Unite, essendosi già precisato (Sez. 6, n. 25383 del 27/05/2010, Rv. 247825) che le modalità di custodia delle cose sequestrate, descritte negli art. 259 e 260 c.p.p., costituiscono prescrizioni meramente indicative che, da un lato, sono derogabili per ragioni di impossibilità o di opportunità e, dall'altro lato, non sono astrattamente contestabili, salvo il caso in cui vengano specificamente dedotti inconvenienti sostanziali attinenti ad ipotesi concrete di alterazione, modificazione o sostituzione dei reperti. Ne consegue che la mera inosservanza delle disposizioni sopra indicate non è sanzionata da alcuna ipotesi di nullità, ma può incidere unicamente sul diverso profilo della valutazione della genuinità della prova, secondo le regole generali dettate dall'art. 192 c.p.p..
Sulla stessa falsariga, è stato inoltre affermato (Sez. 6, n. 5529 del 24/01/2018, Rv. 272213) che, in tema di sostanze stupefacenti, la nullità dell'atto di campionatura per la violazione delle garanzie difensive previste dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 87, riferendosi a un'attività successiva al sequestro delle piante, non comporta l'invalidità del sequestro, nè pregiudica l'utilizzazione probatoria del reperto e degli accertamenti tecnici eseguiti sullo stesso.
Ne consegue che non vi è spazio per l'accoglimento delle censure sollevate nel ricorso, che in parte ripropongono temi che, sia in punto di fatto che di diritto, hanno già trovato adeguate risposte nelle due conformi sentenze di merito.
3. In conclusione, alla luce delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell'interesse di M. va rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ex art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.