La Cassazione accoglie il ricorso dei contribuenti ripercorrendo nella sentenza in commento i vari indirizzi giurisprudenziali sul tema.
In un giudizio vertente la legittimità degli avvisi di liquidazione per l'imposta di registro dovuta su un provvedimento di condanna, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso dei contribuenti con la sentenza n. 26340 del 29 settembre 2021.
Tra i motivi di gravame, i ricorrenti chiedevano l'annullamento...
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
p. 1. M.C.A. e R.R. propongono quattro motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 5574/46/14 del 3.6.14 con la quale la commissione tributaria regionale della Campania, in riforma della prima decisione, ha ritenuto legittimi gli avvisi di liquidazione loro notificati per l'imposta di registro dovuta sulla sentenza del Tribunale di Noia n. 935 del 2012, con la quale erano stati condannati, in solido con altri, al risarcimento del danno oltre interessi e rivalutazione.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che:
l'appello dell'agenzia delle entrate era tempestivo perchè consegnato all'ufficio postale per la notifica in data 19 novembre 2013 (e non 20 novembre 2013 come sostenuto dai contribuenti appellati), secondo quanto "attestato da ricezione con timbro da parte della stessa agenzia postale"; ciò a fronte di sentenza di primo grado, non notificata, pubblicata il 4 aprile 2013;
gli avvisi di liquidazione erano motivati sufficientemente con riguardo sia alla normativa applicata sia alla sentenza oggetto di registrazione, "ben nota ai contribuenti appellati ed oggetto, peraltro, di prosecuzione di ulteriori giudizi civili".
L'agenzia delle entrate si è costituita al solo Fine dell'eventuale discussione in udienza.
Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
Fissato all'udienza pubblica del 17 giugno 2021, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal D.L. n. 137 del 2020, sopravvenuto art. 23, comma 8-bis, inserito dalla legge di conversione L. n. 176 del 2020, senza l'intervento in presenza del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.
p. 2. Con il primo motivo di ricorso si lamenta - ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 - violazione e falsa applicazione della L. n. 341 del 1990, art. 3, L. n. 212 del 2000, art. 7 ed art. 8 tariffa parte prima D.P.R. n. 131 del 1986, nonchè omesso esame del fatto decisivo costituito dalla mancanza, negli avvisi di liquidazione opposti (riportati in ricorso), di sufficienti elementi motivazionali.
Contrariamente a quanto laconicamente affermato dalla commissione tributaria regionale, gli avvisi di liquidazione in oggetto andavano annullati perchè privi di adeguata motivazione sotto i seguenti profili:
- della mancata specificazione del tribunale che aveva emesso la sentenza oggetto di registrazione, indicata negli avvisi soltanto con il numero di pubblicazione (935/12), e non allegata;
- della mancata esplicitazione del criterio di calcolo adottato dall'ufficio che aveva portato ad una liquidazione abnorme di Euro 450.359,00, non corrispondente all'aliquota proporzionale (3%) applicata agli importi in condanna.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 57 nonchè omesso esame di fatto decisivo. Per non avere la Commissione Tributaria Regionale considerato che la somma intimata non corrispondeva al 3% dell'importo posto in condanna di essi ricorrenti (Euro 3.315.646,53); nè tenuto conto del fatto che la loro responsabilità solidale era stata dal Tribunale limitata fino alla concorrenza di quest'ultimo importo, risultando i ricorrenti invece del tutto estranei alle altre e maggiori voci risarcitorie poste dalla sentenza a carico di altri soggetti ritenuti responsabili.
Con il terzo motivo di ricorso si denuncia l'omesso rilievo da parte della Commissione Tributaria Regionale della tardività dell'appello proposto dall'agenzia delle entrate, in quanto consegnato all'ufficio postale per la notificazione non già il 19 novembre 2013 (come erroneamente affermato) bensì il 20 novembre 2013, secondo quanto risultante dall'estratto del sito web poste.it che la Commissione Tributaria Regionale non aveva neppure preso in esame.
Con il quarto motivo di ricorso si deduce - ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 - violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 e art. 342 c.p.c.; per non avere la Commissione Tributaria Regionale accolto l'eccezione di inammissibilità dell'appello dell'agenzia delle entrate anche perchè privo di motivi specifici di impugnazione, in quanto limitato alla mera riaffermazione, in contrasto con la prima decisione, della sufficienza motivazionale degli avvisi di liquidazione.
p. 3.1 Ragioni logiche e giuridiche impongono di trattare prioritariamente il terzo ed il quarto motivo di ricorso, rilevandone l'infondatezza.
Per quanto concerne l'asserita tardività dell'appello proposto dall'agenzia delle entrate (terzo motivo), il termine "lungo" di impugnazione ex art. 327 c.p.c. andava a scadere il 19 novembre 2013, e proprio in questa data l'agenzia appellante provvedeva a consegnare l'atto di gravame all'ufficio postale per la notificazione, così avvalendosi del noto principio di scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario.
La circostanza - prettamente fattuale - dell'effettiva consegna del plico all'ufficio postale il suddetto ultimo giorno utile è stata fatta oggetto di puntuale disamina da parte della Commissione Tributaria Regionale, il cui convincimento in tal senso è dipeso, come testualmente indicato in sentenza, "dall'attestato di ricezione con timbro da parte della stessa agenzia postale". Attestato postale dal quale doveva appunto evincersi che la data di consegna andava esattamente individuata nel 19 novembre 2013 e non, come erroneamente sostenuto dagli appellati, nel giorno successivo.
Orbene, con il motivo di ricorso per cassazione qui in esame i ricorrenti non affermano che dall'attestato dell'ufficio postale esaminato dal giudice di appello emergesse una data diversa e successiva al 19 novembre 2013 (chè, se così fosse, si verterebbe di motivo finanche inammissibile in quanto involgente un tipico errore percettivo o sensoriale nella lettura del documento, come tale suscettibile di revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4)), ma sostengono invece che la data della consegna del plico andrebbe aliunde individuata nel 20 novembre 2013 "come comprovato anche dall'estratto del sito www.poste.it che si produce anche in questa sede" (ric. pag.16).
Sennonchè, l'istanza volta a dimostrare la data di perfezionamento della notificazione (nei confronti del notificante) mediante l'estratto del sito web in questione urta con l'indirizzo di legittimità secondo cui l'esibizione o la produzione in giudizio di copia della stampa degli esiti della notificazione emergenti dal sito Poste Italiane non sono idonee a provare l'avvenuta notificazione, rilevando unicamente, a tal fine, il timbro datario apposto dall'ufficio postale che ha preso in consegna l'atto (Cass. n. 25285/14; 6524/18 ed altre).
Nel caso di specie, l'estratto del sito web non era dunque in condizione di comprovare alcunchè, tanto più che le sue risultanze datarle si ponevano in contrasto con l'unica risultanza ufficiale a tal fine probante, appunto costituita - sulla base di quanto rilevato e riferito dal giudice di merito - dalla data (19 novembre 2013) apposta dall'agente postale al momento della consegna del plico da parte dell'appellante.
p. 3.2 Per quanto concerne l'asserita inammissibilità dell'appello dell'agenzia delle entrate per difetto di specificità dei motivi (quarto motivo), va intanto rilevato come la doglianza non riproduca il contenuto testuale dei motivi di appello asseritamente generici, così da palesarsi finanche inammissibile per genericità e difetto di autosufficienza, parametri che il ricorso per cassazione deve soddisfare quand'anche riferito a vizi concernenti eventi del processo; eventi con riguardo ai quali il giudice di legittimità può sì attingere al "fatto", ma sempre sulla base di risultanze processuali specificamente individuate e ricostruite dal ricorrente.
In ogni caso, risulta dallo stesso ricorso per cassazione (pag.3) che l'agenzia delle entrate avesse, nell'atto di gravame, censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva rilevato il difetto di motivazione degli avvisi di liquidazione opposti, assumendo testualmente che - al contrario - tali avvisi dovevano ritenersi sufficientemente motivati in quanto contenenti sia "gli estremi della sentenza civile registrata" sia della "normativa di riferimento".
Al momento volitivo dell'impugnazione si associava dunque anche un momento di tipo argomentativo, secondo cui la sola indicazione di questi due elementi (estremi della sentenza da registrare e della normativa di riferimento) doveva ritenersi di per sè sufficiente a denotare l'errore nel quale era caduto il primo giudice.
Sebbene si trattasse della riaffermazione di una tesi giuridica già svolta nel primo grado di giudizio, quanto così affermato dall'agenzia delle entrate nell'atto di appello doveva ritenersi sufficientemente specifico in rapporto alla natura - estremamente circoscritta e puntuale - della controversia in materia; così da soddisfare quanto stabilito da Cass.n. 32954/18 (ed altre) secondo cui: "nel processo tributario la riproposizione a supporto dell'appello delle ragioni inizialmente poste a fondamento dell'impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della dedotta legittimità dell'accertamento (per l'Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l'onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall'atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci".
Deve dunque ritenersi che la Commissione Tributaria Regionale, facendo applicazione dello stesso principio nel caso di specie, abbia ritenuto implicitamente infondata l'eccezione di inammissibilità dell'appello così come proposta dagli appellati; e tale conclusione risulta, come detto, corretta in diritto.
p. 4.1 Sono invece fondati, nei termini che seguono, il primo ed il secondo motivo di ricorso, unificabili perchè entrambi concernenti la carenza motivazionale degli avvisi di liquidazione opposti.
In base alla previsione generale di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7 l'atto dell'amministrazione finanziaria deve essere motivato alla stregua dei provvedimenti amministrativi, L. n. 241 del 1990, ex art. 3 indicando "i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che determinano la decisione dell'amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama".
Con specifico riferimento all'imposta di registro, viene stabilito (con riguardo alla tassazione di atti traslativi di beni immobili o aziende, ma in ragione di una regola di più ampia portata) che l'atto deve "indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato", aggiungendosi che "se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama, salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale" (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 2 bis come introdotto dal D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 4).
Nell'adattare queste prescrizioni alla liquidazione dell'imposta di registro sugli atti giudiziari D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 37 questa corte di legittimità ha recentemente stabilito - con ciò raggiungendo un condivisibile punto di equilibrio, in chiave di effettività della tutela del contribuente, tra precedenti orientamenti interpretativi non del tutto univoci - che: "in tema di imposta di registro, l'avviso di liquidazione emesso D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 54, comma 5, in relazione ad un atto giudiziario deve contenere l'indicazione dell'imponibile, l'aliquota applicata e l'imposta liquidata, ma non deve necessariamente recare, in allegato, la sentenza o il suo contenuto essenziale, rispondendo l'obbligo di motivazione di cui all'art. 7 St. contr. all'esigenza di garantire il pieno ed immediato esercizio delle facoltà difensive del contribuente, senza costringerlo ad attività di ricerca, e non riguardando perciò atti o documenti da lui conosciuti o conoscibili, sempre che il contenuto delle informazioni fornite garantisca la conoscenza dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa fiscale e si tratti di informazioni facilmente intellegibili" (Cass. n. 239/21).
Nello stesso senso si è espressa Cass. n. 15895/21 la quale, nel ripercorrere anch'essa le diverse opzioni interpretative, ha individuato nell'autosufficienza (indipendentemente dalla materiale allegazione dell'atto giudiziario) il criterio discretivo fondamentale della adeguatezza motivazionale dell'avviso di liquidazione.
Tra la tesi della necessaria ed "esimente" allegazione all'avviso dell'atto giudiziario tassato (v. Cass. nn. 18532/10; 12468/15; 29402/17) e quella, opposta, della non necessità in ragione del fatto che il contribuente, in quanto parte del processo, sempre conosce o è comunque in grado di conoscerne l'esito e gli effetti anche fiscali (Cass. nn. 24098/14; 21713/20; 9344/21), si è addivenuti ad una soluzione intermedia che respinge l'assolutezza di entrambe, ed i cui passaggi argomentativi fondamentali possono così individuarsi:
- la natura di "imposta d'atto" attribuibile al registro (ancora da ultimo ribadita anche dal giudice delle leggi; v. C. Cost. nn. 158/20 e 39/21) rileva pure nell'ipotesi di liquidazione dell'imposta dovuta sugli atti giudiziari e, in particolare, sulle sentenze, nel qual caso per stabilire i presupposti e i criteri della tassazione (tanto ai fini della base imponibile D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 43, comma 4, quanto ai fini dell'aliquota applicabile ex art. 8 Tariffa, Prima Parte, all. al D.P.R. cit.) occorre fare riferimento al contenuto ed agli effetti che emergono dalla sentenza stessa, senza possibilità di utilizzare elementi ad essa estranei nè di ricercare contenuti diversi da quelli su cui si sia formato (se si è formato) il giudicato (Cass. nn. 12013/20; 19247/2012; 23243/06);
- è indifferente, ai fini qui considerati, che gli elementi da porre a base della liquidazione dell'imposta di registro siano desumibili direttamente dalla motivazione dell'atto impositivo, ovvero indirettamente dal contenuto di un diverso atto da questo richiamato (seppure ad esso non allegato) allorchè si tratti di un atto conosciuto o comunque agevolmente conoscibile dal contribuente; ciò perchè l'obbligo di motivazione non può essere inteso in senso formalistico e va anch'esso reso coerente con il principio di collaborazione e buona fede nei rapporti tra amministrazione finanziaria e contribuente (L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 1), in modo tale che "l'obbligo per l'amministrazione finanziaria di comunicare, in allegato all'avviso di liquidazione, un atto già noto al contribuente integrerebbe un adempimento superfluo ed ultroneo, che, da un lato, determinerebbe un eccessivo aggravamento degli oneri connessi all'esercizio della potestà impositiva e, dall'altro, non varrebbe a fornire elementi utili e significativi per la tutela del diritto di difesa nei confronti della pretesa tributaria" (Cass. n. 21713/2020 cit.);
- non è neppur detto, per contro, che l'obbligo motivazionale sia sempre e comunque soddisfatto con la sola allegazione all'avviso di liquidazione dell'atto giudiziario tassato, dovendosi anche in tal caso, ed in attuazione dello scopo pratico ed effettivo della motivazione, verificare caso per caso se il contribuente sia stato con ciò solo posto in condizione di prontamente (al fine di evitare attività di ricerca ed indagine erosive dei tempi liberi di impugnazione) ed esattamente (al fine di ben delimitare petitum e causa petendi dell'eventuale impugnazione) cogliere tutti gli elementi (fattuali, giuridici e matematici) del prelievo, tanto che: "la mera allegazione della sentenza civile può essere talora insufficiente ad integrare il contenuto dell'avviso di liquidazione, come nel caso in cui l'elevato grado di complessità delle statuizioni giudiziali non assicuri un'agevole comprensione in ordine alle modalità di individuazione della base imponibile ed ai criteri di calcolo dell'imposta" (Cass. n. 21713/20 cit.);
- ne segue che, allorquando il contribuente deduca il mancato assolvimento dell'obbligo motivazionale gravante sull'amministrazione finanziaria stante la affermata esistenza di ben specificati elementi di dubbio e di non comprensibilità della pretesa, la valutazione di fondatezza di questa deduzione non si esaurisce nel mero riscontro della formale allegazione all'avviso della sentenza assoggettata all'imposta di registro (trattandosi di atto che, per un verso, si presume conosciuto o comunque conoscibile dal contribuente e che, per altro verso, può essere caratterizzato, sotto il profilo del contenuto informativo che qui interessa, dai più vari ed anche complessi enunciati), richiedendo piuttosto una globale valutazione di sufficienza circa l'indicazione degli elementi essenziali (sia normativi sia applicativi, quali la base imponibile e l'aliquota applicata: Cass. n. 13402/20) sui quali la liquidazione dell'imposta si fonda; e ciò tanto nel caso in cui questi elementi siano immediatamente riportati nell'avviso impugnato, tanto in quello in cui essi siano desumibili dal provvedimento giudiziario richiamato nell'atto impositivo (anche se a quest'ultimo non materialmente annesso), purchè in entrambi i casi si tratti di un corredo di informazioni che integri, anche per relationem, una motivazione dell'atto impositivo adeguata secondo i suddetti parametri di sostanza ed effettività (Cass. n. 9344/21);
- nel caso di sentenze o lodi, in particolare, questa valutazione di congruità motivazionale non può prescindere dalla maggiore o minore complessità e varietà tipologica e di effetti delle statuizioni giudiziali tassate in ragione, a titolo meramente esemplificativo, del numero delle parti interessate dal giudizio; del numero, complessità, interdipendenza e connessione dei capi decisori e della loro specifica riferibilità ed inerenza (in caso di pluralità di parti) alla sfera giuridica del contribuente inciso quale parte in senso sostanziale del rapporto racchiuso nel giudizio e dei suoi effetti decisori; della eventuale sussistenza di fenomeni successori nel processo che possano aver determinato la scissione soggettiva tra parte del medesimo e parte del rapporto tributario da esso poi derivato; della più o meno immediata individuabilità in esse degli elementi economici rilevanti per l'imposizione; della presenza di dubbi interpretativi sulla reale portata della statuizione, così come desumibile dall'integrazione di motivazione e dispositivo; della pluralità delle voci tariffarie astrattamente applicabili agli effetti giuridici del decisum ecc...
Deriva quindi da questa impostazione, volta ad ampliare e non a restringere la tutela del contribuente, che il criterio discretivo non passa attraverso la formalità della "allegazione - non allegazione", vista una varia e sfuggente fenomenologia che può presentare tanto avvisi adeguatamente motivati pur in assenza di allegazione dell'atto giudiziale in esso specificamente indicato, quanto avvisi non adeguatamente motivati pur in presenza di allegazione - bensì attraverso un controllo sostanziale ed effettivo (spettante al giudice di merito perchè di natura prettamente fattuale) della concreta congruità motivazionale dell'avviso nella valutazione complessiva ed interdipendente del contenuto suo proprio (livello di specificazione ed identificazione del provvedimento giudiziale tassato, oltre che degli elementi essenziali e dei parametri di liquidazione dell'imposta applicati), degli elementi già noti al contribuente (in quanto parte del processo definitosi con quel provvedimento), del livello di maggiore o minore complessità ed intellegibilità di tale provvedimento in rapporto alla imposizione.
Riassumendo, in materia di imposta di registro su atti giudiziari definitori di procedimenti nei quali il contribuente sia stato parte, l'avviso di liquidazione può ritenersi adeguatamente motivato anche quando, riportando esso gli estremi identificativi essenziali sia dell'atto giudiziario medesimo (natura del provvedimento, ufficio emanante, estremi di ruolo e pubblicazione) sia dei criteri normativi e matematici di determinazione del dovuto (base imponibile, aliquota tariffaria applicata ed imposta), non alleghi l'atto in sè. Tuttavia, nel caso in cui il contribuente contesti in maniera specifica e circostanziata la sufficienza motivazionale dell'avviso e la comprensibilità della pretesa impositiva rinveniente da quelle sole indicazioni, il giudice di merito deve procedere al vaglio complessivo del livello motivazionale dell'avviso stesso, indipendentemente dalla allegazione o non allegazione ad esso dell'atto giudiziario tassato, anche in relazione agli eventuali elementi di complessità ed equivocità che possano in concreto emergere da quest'ultimo.
p. 4.2 Orbene, nel caso di specie l'avviso di liquidazione (riportato nel ricorso per cassazione) faceva riferimento alle norme applicate (D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 37 e 57, art. 8 Tariffa all.) ed al numero (935/12) della sentenza tassata (senza peraltro indicare il tribunale che l'aveva emessa), limitandosi poi a quantificare l'imposta con la seguente motivazione: "registro: altre voci - prop. 2.09T 450.359,00").
Ancorchè i contribuenti intimati avessero effettivamente partecipato al giudizio, da questo solo elemento non scaturivano elementi di immediata ed esatta percezione del criterio di determinazione dell'imposta dovuta: non quanto alla base imponibile, e neppure quanto all'aliquota applicata.
Secondo l'indirizzo interpretativo di cui si è poc'anzi dato conto, la mancata specificazione di questi elementi applicativi fondamentali determinava in effetti una lesione dei diritti dei contribuenti, anche e soprattutto in considerazione del fatto che la sentenza tassata (il cui dispositivo è stato anch'esso trascritto nel ricorso per Cassazione) presentava (in accoglimento di una articolata azione sociale di responsabilità a carico di numerosi convenuti, tra amministratori e sindaci) vari capi di condanna, con importi risarcitori diversi a seconda della quota-parte di responsabilità accertata in capo a ciascuno (per funzione, permanenza in carica ed imputabilità temporale del danno risarcibile), e sulla base di un rapporto di solidarietà almeno apparentemente limitato ai convenuti ritenuti responsabili per la stessa quota-parte.
Questa situazione denotava di per sè la necessità che l'ufficio procedesse ad esplicitare con chiarezza nell'avviso di liquidazione - indipendentemente dalla allegazione o non allegazione della sentenza - i criteri seguiti nel calcolo dell'imposta.
E ciò a maggior ragione considerando che l'importo intimato con l'avviso di liquidazione (Euro 450.359,00) non rispondeva all'aliquota tariffaria del 3% nè sull'importo posto in condanna dei contribuenti (Euro 3.315.646,53 oltre rivalutazione ed interessi), nè su quello posto globalmente in condanna di tutti indistintamente i convenuti ritenuti responsabili (di oltre 18 milioni di Euro).
Il che ha costretto i ricorrenti a basare la propria opposizione all'avviso di liquidazione su ipotesi ricostruttive meramente congetturali di applicazione dell'imposta, il che è certamente contrario ai principi di tutela sostanziale ed effettiva di cui si è dato conto.
Va inoltre considerato come, nella complessità della fattispecie, l'amministrazione finanziaria dovesse farsi carico anche del fatto che la tassazione dell'atto giudiziario implica la considerazione del rapporto giuridico dedotto in giudizio, al fine di ravvisare ed argomentare la qualità di parte sostanziale assunta in quest'ultimo dal contribuente raggiunto dall'avviso di liquidazione; ciò a maggior ragione in un contesto di responsabilità solidale per quote tra numerosi soggetti, avvinti processualmente da un litisconsorzio meramente facoltativo (Cass. nn. 12009/20; 17513/17 cit.).
Ne segue in definitiva l'accoglimento del ricorso con la cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito, ex art. 384 c.p.c., mediante accoglimento del ricorso originario dei contribuenti ed annullamento degli avvisi di liquidazione opposti.
Le spese dell'intero giudizio vanno compensate in ragione del non del tutto univoco indirizzo giurisprudenziale in materia.
P.Q.M.
la Corte:
- accoglie il ricorso;
- cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario dei contribuenti;
- compensa le spese dell'intero giudizio.