Con la sentenza depositata oggi, la Cassazione precisa che il concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone si configura solo se egli agisce senza perseguire interessi diversi da quelli del creditore.
L'imputato prestava 300euro al figlio per l'acquisto di un'auto usata. Tuttavia, l'acquisto non andava a buon fine, dunque l'auto veniva restituita al concessionario. L'imputato era stato inizialmente condannato per il reato di tentata estorsione, poi riqualificato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, avendo egli minacciato con un taglierino il titolare della concessionaria al fine di ottenere la restituzione della somma già versata in previsione dell'acquisto dell'auto (pari a euro 1800).
L'imputato impugna la suddetta decisione mediante ricorso per cassazione, dolendosi del fatto che la condotta a lui contestata avrebbe dovuto essere qualificata come estorsione, non essendo egli titolare di alcun diritto alla restituzione delle somme versate dal figlio.
Con la sentenza n. 36126 del 4 ottobre 2021, la Suprema Corte dichiara fondato il ricorso, ribadendo che il delitto di estorsione si differenzia da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni per via dell'elemento psicologico, il quale va accertato sulla base delle regole probatorie ordinarie.
Con riferimento alla posizione del terzo, invece, è stato affermato che «il concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone è configurabile nei soli casi in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senza perseguire alcuna diversa ed ulteriore finalità».
Ciò posto, nel caso di specie non è chiaro se l'imputato avesse agito con lo scopo di tutelare il diritto del figlio alla restituzione della somma versata oppure ai fini di un proprio interesse.
Per questa ragione, gli Ermellini annullano la decisione impugnata con rinvio per un nuovo giudizio attorno alla qualificazione giuridica del fatto al Giudice di merito.
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Novara condannava il T. riqualificando il fatto, inizialmente contestato come "tentata estorsione", come "esercizio arbitrario delle proprie ragioni". Secondo l'accusa il T. aveva prestato 300 euro al figlio per l'acquisto di una macchina usata che; l'acquisto non andava a buon fine e l'auto veniva restituita al concessionario; al T. si contestava di avere illecitamente minacciato con un taglierino il titolare della concessionaria al fine di ottenere la restituzione della somma già versata (euro 1800) in previsione dell'acquisto.
2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il Procuratore della repubblica presso il Tribunale di Novara che deduceva:
2.1. violazione di legge: il fatto avrebbe dovuto essere qualificato come estorsione in quanto il T. non sarebbe titolare di alcun diritto alla restituzione delle somme versate a titolo di acconto dato che la contrattazione per la vendita della autovettura era stata gestita integralmente dal figlio; si deduceva altresì che non era emerso che l'imputato fosse stato incaricato dal figlio di agire per ottenere la restituzione della somma e che le prove raccolte erano pacificamente indicative del dolo tipico del reato di estorsione.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato.
1.1. In materia di identificazione degli elementi differenziali tra il delitto di estorsione e quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni il collegio riafferma che i due reati si differenziano tra loro in relazione all'elemento psicologico, da accertarsi secondo le ordinarie regole probatorie (Sez. U - , Sentenza n. 29541 del 16/07/2020, F., Rv. 280027 - 02).
Con specifico riguardo alla posizione del terzo si è invece affermato che il concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone è configurabile nei soli casi in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senza perseguire alcuna diversa ed ulteriore finalità (Sez. U - , Sentenza n. 29541 del 16/07/2020, F., Rv. 280027 - 03)
1.2. Nel caso in esame non risulta chiarito se il T. avesse agito solo per tutelare il diritto del figlio alla restituzione delle somme o invece per tutelare un "interesse proprio" correlato al fatto che lo stesso aveva impiegato la somma di euro 300 per l'acquisto della autovettura; non risulta chiaro neanche se la somma fosse stata versata dal T. al concessionario o al figlio e chi avesse avviato e concluso il rapporto contrattuale.
Occorre pertanto un nuovo scrutinio (a) sulla eventuale esistenza di un interesse proprio del ricorrente alla restituzione di tutta la somma versata in acconto o di parte di essa; (b) sulla identificazione dell'elemento psicologico che ha caratterizzato l'azione.
La sentenza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Torino che effettuerà un nuovo esame delle prove alla luce dei principi di diritto sopra indicati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio in ordine alla qualificazione giuridica del fatto alla Corte di appello di Torino.